mercoledì 26 luglio 2023

La gravissima crisi del sistema fiscale

Il sistema fiscale italiano versa in una crisi gravissima che ne mina il corretto funzionamento e la stessa legittimazione. Il problema è particolarmente grave dato che in Italia, come negli altri Paesi dell’Europa, una elevata pressione fiscale è necessaria al finanziamento dei sistemi di welfare moderni. Una corretta distribuzione del carico fiscale è quindi un elemento fondamentale del contratto sociale in cui i cittadini dovrebbero riconoscersi.

A denunciare la crisi del sistema fiscale italiano sono stati, con un appello, molti economisti tra i quali Vincenzo Visco, Roberto Artoni, Massimo Bordignon, Vieri Ceriani, Antonio Di Majo, Silvia Giannini, Ruggero Paladini, Alessandro Petretto.

Il testo dell’appello è il seguente:

“Gli elementi che caratterizzano questa crisi sono noti.

La massiccia evasione di intere categorie di contribuenti che nascondono al fisco il 65-70% della loro base imponibile proveniente da redditi di lavoro autonomo e da impresa individuale.

Agli stessi contribuenti è poi riservata una imposta sostitutiva, con determinazione forfettaria dell’imponibile e aliquota piatta, molto favorevole cui si è aggiunta, per chi non aderisce al regime forfettario, l’aliquota piatta sugli incrementi di reddito.

Il trattamento agevolato per lavoratori autonomi e professionisti si traduce in una serie di distorsioni che aggravano la scarsa produttività del settore dei servizi, uno dei limiti principali dell’economia italiana.    

La frammentazione del sistema di imposizione per cui non solo le diverse tipologie di reddito sono trattate differentemente, ma esistono differenziazioni anche all’interno di tali categorie, con la conseguenza che, pure a parità di reddito, i contribuenti subiscono prelievi molto diversi.

I regimi cedolari e sostitutivi, molto diffusi, sottraggono una parte rilevante dei redditi alle addizionali comunali e regionali all’Irpef, e quindi al dovere di contribuire al finanziamento dei servizi pubblici locali.

Il trattamento difforme dei diversi redditi di capitale, il cui onere varia da 0 al 26%, influisce negativamente su una corretta allocazione del risparmio, e quindi sugli investimenti.

La struttura delle aliquote effettive dell’Irpef, caratterizzata dall’esistenza di aliquote implicite molto elevate, con effetti negativi sulla trasparenza delle imposte, che, a causa del sistematico svuotamento della sua base imponibile, riserva sempre più la progressività del prelievo ai soli redditi di lavoro dipendente e pensione.

La pianificazione fiscale aggressiva dei gruppi multinazionali.

Il meccanismo di pagamento concentrato su due versamenti, a saldo e in acconto, che crea seri problemi di liquidità a molti contribuenti.

L’arretratezza del catasto che penalizza i proprietari di immobili di minor pregio rispetto a quelli di maggior valore.

L’eccesso del prelievo fiscale e contributivo sul lavoro rispetto agli altri redditi e agli altri fattori di produzione.

Il sistema di riscossione totalmente inefficiente che determina la concessione di periodiche cancellazioni di ruoli, di cui molti perfettamente esigibili.

Il ricorso continuo a misure di definizione agevolata dei carichi tributari che coltiva la convinzione dell’impunità per l’infedeltà fiscale.

La mancanza di volontà per trovare le soluzioni legislative e amministrative necessarie a consentire il pieno utilizzo di tutte le banche dati sia per il contrasto preventivo dell’evasione sia per l’efficientamento dell’attività di riscossione.

Si potrebbe continuare, ma in sostanza tutti i principi fondamentali di un buon sistema fiscale sono da noi inapplicati, con gravi conseguenze non solo di disparità di trattamento, ma anche di distorsioni economiche che determinano una riduzione della crescita.

Sono ormai numerosi gli studi che dimostrano come una significativa riduzione dell’evasione fiscale, conseguita a parità di pressione fiscale complessiva, determinerebbe un significativo aumento del Pil italiano.

Non è possibile continuare ad ignorare questa ed altre analoghe evidenze.

I promotori di questo appello hanno preso atto che la delega fiscale recentemente approvata dal Governo non affronta, anzi trascura ed appare in contrasto con le necessità di riforma, ritengono necessaria una presa di coscienza e una mobilitazione per promuovere un cambiamento che renda di nuovo il fisco la casa di tutti e non più una fabbrica di abusi, privilegi e iniquità, integrando al tempo stesso il sistema di welfare, che va esteso in tutte le sue componenti anche ai lavoratori indipendenti, per motivi di equità e per evitare che le lacune esistenti possano diventare un alibi per l’infedeltà fiscale”.

domenica 23 luglio 2023

Forte riduzione dei salari

E’ noto che negli ultimi periodi in Italia si è verificata una notevole riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, dovuta sì all’inflazione ma anche alla diminuzioni dei redditi, in primo luogo di quelli dei lavoratori dipendenti. Un recente rapporto dell’Ocse, un’organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico, lo dimostra.

Secondo l’Ocse, infatti, l’Italia è il Paese che ha registrato il calo dei salari reali più forte tra le principali economie delle nazioni aderenti a questa organizzazione.

Del rapporto dell’Ocse ne riferisce “Collettiva”, il sito web della Cgil.

Alla fine del 2022, erano crollati del 7% rispetto al periodo precedente la pandemia. Una discesa continuata nel primo trimestre di quest’anno, con una diminuzione su base annua del 7,5%.

L'aggressione russa contro l'Ucraina ha contribuito a un'impennata dell'inflazione, che non è stata accompagnata da una corrispondente crescita dei salari nominali. Di conseguenza, i salari reali sono diminuiti praticamente ovunque.

Ma emerge il record negativo del nostro Paese.

In media, nel primo trimestre 2023 i salari reali sono diminuiti del 3,8% rispetto all'anno precedente (i dati disponibili sono su 34 Paesi Ocse).

Ma noi abbiamo fatto peggio degli altri, il 7,5%, praticamente il doppio.

A soffrire, ovviamente, sono soprattutto le famiglie a basso reddito.

“Nonostante il relativo aiuto arrivato grazie agli interventi pubblici, la perdita di potere d'acquisto è particolarmente problematica per i lavoratori del ceto basso” , si legge nel rapporto.

Nel quale si precisa: “Questi ultimi hanno meno libertà di azione per far fronte all'aumento dei prezzi attingendo ai propri risparmi o prendendo a prestito, e si trovano spesso di fronte a un'inflazione effettiva più elevata man mano che viene destinata una parte maggiore della loro spesa in energia e alimentazione”.

Anche le previsioni non sono buone.

Da un lato, nei prossimi due anni il mercato del lavoro rimarrà sostanzialmente stabile, con una crescita dell'occupazione totale inferiore all'1% sia nel 2023 sia nel 2024 (a maggio il tasso di disoccupazione il  in Italia era al 7,6%, la media Ocse è 4,8%).

Dall’altro, i salari nominali aumenteranno del 3,7% nel 2023 e del 3,5% nel 2024, ma l’inflazione si attesterà al 6,4% nel 2023 e al 3% nel 2024.

Alla conclusione della sua analisi, l’Ocse offre anche alcune soluzioni per mitigare la perdita di potere d'acquisto dei lavoratori e garantire una più equa distribuzione dei costi dell'inflazione tra imprese e lavoratori.

“Il mezzo più diretto per aiutare questi ultimi - si legge nel rapporto - è quello di aumentare i loro salari, compreso il salario minimo legale, che è fissato dallo Stato”.

Sull’Italia pesa “l’assenza di un salario minimo” (presente in 30 Paesi Ocse su 38), ha precisato il direttore per l'Impiego e il lavoro Stefano Scarpetta.

L'economista ha rimarcato “l'importanza di avere in momenti come questo un salario minimo, accompagnato da una commissione tripartita per valutarne il livello”. Secondo l’esponente dell’Ocse il nostro Paese dovrebbe fare come la Germania, che nel 2015 ha introdotto il salario minimo pur avendo (come l'Italia) una “forte contrattazione collettiva”.

La seconda soluzione, appunto, è la contrattazione collettiva.

Ma c’è un “però”: in Italia i salari fissati dai contratti collettivi sono diminuiti in termini reali di oltre il 6% nel 2022. L’Ocse, infatti, sottolinea che “i significativi ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi (oltre il 50% dei lavoratori è coperto da un contratto scaduto da oltre due anni) rischiano di prolungare la perdita di potere d'acquisto per molti lavoratori”.

Nello stesso tempo, in generale, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ritiene che ci sia “spazio per i profitti per assorbire aumenti salariali, almeno per i lavoratori a bassa retribuzione” e che i governi “dovrebbero riorientare i sostegni pubblici in maniera più mirata a favore delle famiglie a basso reddito”.

mercoledì 19 luglio 2023

Sudan, negli ultimi 3 mesi 5.000 morti

 

Tantissimi bambini e adulti sono stati attaccati durante l’escalation di violenze nella regione sudanese del Darfur. Save the Children chiede urgentemente alle parti di concordare un'immediata cessazione delle ostilità dopo quasi tre mesi di conflitto.

Recenti testimonianze dal Darfur occidentale dipingono un quadro terrificante di bambini, uomini e donne uccisi a decine, persone armate che entrano nei villaggi, saccheggiano e bruciano le case e sparano sui residenti in fuga.

Gli operatori di Save the Children, costretti a scappare dalla città di Geneina, raccontano di aver visto i corpi di centinaia di persone - tra cui anche bambini - abbandonati lungo la strada, coperti di mosche, sottolineando che non sembrava esserci alcuna differenziazione tra l'età o il sesso delle vittime: tra i morti c’erano bambini, donne e uomini

“Abbiamo trascorso 49 giorni al chiuso perché fuori i cecchini non si fermavano. Il nostro unico desiderio era quello di alzarci nelle prime ore del mattino per prendere una tanica d'acqua prima che ricominciassero i combattimenti”, ha raccontato Ahmed, che lavora per Save the Children nel Darfur occidentale e recentemente è fuggito dalle violenze, trovando rifugio nello Stato di Kassala.

“Quando finalmente siamo riusciti ad andarcene, nella città di Geneina c'erano corpi ovunque. C'erano migliaia di uomini, donne e bambini, nessuno è stato risparmiato.

I leader della comunità hanno stimato che oltre 5.000 persone sono state uccise.

Altre quattro scuole sono state saccheggiate e rase al suolo a Geneina. Ormai ci sono solo soldati, tutti i civili sono fuggiti o sono morti.

Il percorso è stato molto complicato. Abbiamo incontrato decine di check point lungo la strada. L'autista dell'autobus ha dovuto pagare più di 1 milione di Sdg (1.660 dollari) per farci passare. Ora, finalmente, siamo in una zona sicura. Tutti i membri della mia famiglia e il nostro staff sono al sicuro. Tutto ciò a cui riesco a pensare è che le persone hanno bisogno di un sostegno urgente in questo momento”, ha concluso Ahmed.

Sono state descritte esecuzioni sommarie e l'uccisione di civili sulla strada tra Geneina e il confine.

In un rapporto si parla di 20 bambini uccisi in una città del Darfur occidentale.

A maggio, in un altro attacco nella stessa regione, documentato da Human Rights Watch, almeno 40 civili sono stati uccisi e 14 feriti, tra cui cinque donne e quattro bambini. I minori sopravvissuti hanno dovuto assistere a brutali omicidi e uomini armati hanno poi saccheggiato e bruciato la maggior parte della città, costringendo migliaia di residenti a fuggire attraverso il confine con il Ciad.

Nel Darfur meridionale, secondo il governo sudanese, 30 civili sono stati uccisi e 45 feriti tra il 23 e il 27 giugno a causa degli scontri nella città di Nyala.

In tutto il Darfur, l'aumento dei combattimenti ha limitato in modo significativo l'accesso umanitario. Secondo le Nazioni Unite, più di 3,1 milioni di persone sono state sfollate dall'escalation di violenza di aprile, tra cui oltre 700.000 sono fuggite nei Paesi vicini.

A Genenia molte strutture civili sono state distrutte o rase al suolo, con scuole prese di mira e abbattute e almeno 0,7 km quadrati colpiti o bruciati dal fuoco - quasi il doppio dell'area del Paese più piccolo del mondo , la Città del Vaticano.

“Il mondo dice ‘mai più’, eppure le uccisioni che si stanno verificando in Darfur ricordano tristemente gli omicidi su scala di massa a cui il mondo ha assistito due decenni fa.

Siamo preoccupati per il benessere di tutti coloro che vivono sulla strada, in alcune parti della regione, la situazione è completamente fuori controllo e sembrano non esistere più leggi”, ha dichiarato Arif Noor, direttore di Save the Children in Sudan, che ricorda che è essenziale che i Paesi continuino a tenere aperte le frontiere per accogliere coloro che vi cercano rifugio e che siano messi in atto meccanismi per garantire che i bambini e le loro famiglie da entrambi i lati delle frontiere ricevano il sostegno necessario.

“Senza un'azione forte da parte della comunità internazionale, compresa l'apertura dell'assistenza umanitaria transfrontaliera, ad esempio dal Ciad al Darfur occidentale e centrale, non potremo che assistere a un ulteriore deterioramento della situazione.

Non possiamo consentire che ciò accada. Il mondo non deve permetterlo”, ha aggiunto Noor.

“Per le bambine e i bambini che fuggono verso i Paesi vicini, è essenziale che le loro famiglie possano accedere rapidamente ai servizi essenziali, tra cui le strutture sanitarie, educative e di protezione dell’infanzia”, ha concluso Noor.

domenica 16 luglio 2023

Il presidente della Federcalcio si deve dimettere

La nazionale italiana di calcio non è riuscita, per la seconda volta, a partecipare ai mondiali. L’under 21, più recentemente, non è stata in grado di qualificarsi, per l’ennesima volta, alle olimpiadi del prossimo anno. Mi sembrerebbe doveroso che il Presidente della Fgci (Federazione giuoco calcio), Gabriele Gravina, si debba dimettere.

E invece Gravina non ci pensa nemmeno.

Non si assume affatto la responsabilità dei fallimenti citati all’inizio.

Tutt’altro. E i presidenti federali delle varie discipline sportive, tra i quali anche Gravina, cercano di togliere il limite dei mandati ai loro incarichi. Anche loro sono attaccati alle poltrone.

Ci si dovrebbe interrogare sulle cause alla base dei fallimenti. Anche Gravina dovrebbe farlo, ma non si assume alcuna responsabilità.

Quindi anche nello sport, nel calcio in primo luogo, non esiste la cultura dell’addio, del ricambio, del passaggio di consegne, quando i risultati sono del tutto insoddisfacenti.

Peraltro Gravina scarica le colpe su altri.

Dopo la nuova eliminazione della nazionale dalla partecipazione ai mondiali dichiarò che essa sarebbe stata penalizzata dall'atteggiamento dei club.

Infatti affermò: “Manca una capacità da parte dei primi fornitori del materiale umano, abbiamo il 30% di italiani che giocano nelle Primavere...

I tecnici hanno una missione pressoché impossibile nel fare selezione: si cerca di valorizzare il più possibile i giovani che hanno poco impiego nelle loro società…”.

Secondo Gravina poi ha inciso in maniera negativa anche il calendario, e il mancato rinvio dell'ultima giornata di campionato con la Lega Serie A che si è opposta.

Questo perché i club non accettano mai di buon grado il fatto di lasciar partire i propri calciatori: “I ragazzi arrivano con grande entusiasmo, ma a ogni convocazione c'è sempre grande resistenza da parte dei club. La nazionale è vista dai club più come fastidio che come opportunità”.

Dunque, secondo Gravina, il più grande fallimento sportivo dell'Italia sarebbe anche legato alle società, che dovrebbero avere più a cuore le sorti della nazionale.

Le responsabilità delle società sono evidenti.

Ma il presidente della Fgci non può fare niente per superare i problemi che creano i club?

E non ha alcuna responsabilità per il fatto che esistano quei problemi?

Pertanto se, come credo, anche lui avrebbe dovuto impegnarsi per superare i problemi che ha evidenziato e non lo ha fatto, dovrebbe dimettersi.

mercoledì 12 luglio 2023

Bosnia, non dimenticare il genocidio di Srebrenica

L’11 luglio del 1995 si verificò a Srebrenica, in Bosnia, il primo genocidio commesso sul suolo europeo dopo il 1945. Nel giro di alcuni giorni del luglio 1995, in quello che è passato alla storia come il genocidio più breve, quanto meno della storia recente, vennero uccisi più di 10.000 musulmani bosniaci, per la maggioranza ragazzi e uomini.

Il genocidio fu perpetrato da unità dell'Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, guidate dal generale Ratko Mladic (condannato in primo grado all'ergastolo dal Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia), in quella che nel 1993 era stata dichiarata dall'Onu “zona protetta” e che si trovava, nel 1995, sotto la tutela di un contingente olandese.

La “zona protetta” di Srebrenica fu delimitata dopo un'offensiva serba del 1993 che obbligò le forze bosniache a una demilitarizzazione sotto controllo dell'Onu. Le delimitazioni delle zone protette furono stabilite a tutela e difesa della popolazione civile bosniaca, quasi completamente musulmana.

Il 9 luglio 1995, la “zona protetta” di Srebrenica e il territorio circostante furono circondati dalle truppe dell'Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, che l'11 luglio riuscì a entrare definitivamente nella città.

Perché Srebrenica?

Perché era un’anomalia: un’enclave a maggioranza musulmana in una parte di Bosnia ormai del tutto “serbizzata”.

Per stabilire una volta per tutte i confini della “nuova” Bosnia, che sarebbero stati sanciti negli accordi spartitori di Dayton, occorreva mettere fine a quell’anomalia.

La storia (non la giustizia, purtroppo) ci dirà se i leader internazionali dell’epoca erano consapevoli del progetto genocida che si stava per compiere.

Dall'11 luglio, i maschi dai 12 ai 77 anni (e non solo loro) furono separati dalle donne, dai bambini e dagli anziani, apparentemente per essere interrogati. In realtà vennero uccisi e sepolti in fosse comuni.

Circa 15.000 uomini e ragazzi cercarono rifugio in quella che fu chiamata la Marcia della morte fra Srebrenica e Tuzla e solo 6.000 riuscirono a salvarsi, scappando attraverso boschi e villaggi su strade accidentate e sentieri fangosi, percorrendo oltre 100 chilometri.

Ancora oggi in memoria di quel percorso molte presone lo percorrono a ritroso per 35 km al giorno, in quella che oggi è chiamata la marcia della Pace.

L'orrore delle loro storie è accentuato dal fatto che i massacri si sono svolti solo in pochi giorni.

Circondare migliaia di uomini, catturarli, ucciderli, bruciarli, scavare fosse per seppellirli è stato uno sforzo mostruoso che è stato possibile portare a termine in alcuni giorni solo perché ci furono migliaia e migliaia di partecipanti al genocidio.

Il processo nei confronti dell'ex leader militare serbo bosniaco Ratko Mladic è stato uno dei più lunghi della storia, a causa della vastità delle accuse, della quantità di prove (compresi 592 testimoni) e dei vari tentativi della difesa di ritardare o far terminare il procedimento giudiziario.

Il processo d'appello, tenutosi nel 2021 presso il Tribunale internazionale dell’Aja ha confermato la condanna all’ergastolo emessa dal tribunale di primo grado.

Ratko Mladic, in quanto comandante dell’esercito serbo bosniaco, fu giudicato colpevole di 10 imputazioni su 11. L’ex generale serbo bosniaco è stato giudicato responsabile, tra l’altro, di genocidio, persecuzione per motivi etnici e religiosi ai danni di musulmani bosniaci e croato bosniaci, sterminio, deportazione, omicidio, terrore, attacchi illegali contro i civili e cattura di ostaggi.

Circa 6.700 corpi (anche se la Icmp - International commission of missing persons - parla di piu’ di 7.000) di persone sono state riconosciuti, solo 29 nel 2022, e sono stati riesumati, identificati e sepolti nel memoriale di Potocari dove ogni 11 luglio si svolge una dolorosa cerimonia commemorativa, tra questi anche bambini, un neonato e una donna di 94 anni.

Sono numerose perciò le persone che non hanno ancora neanche una tomba dove piangere i loro cari uccisi nel genocidio.

Ci sono poi i resti di altre 14 persone identificate, ma per le quali non è ancora stata data l’autorizzazione alla tumulazione da parte dei familiari perché sono state ritrovate solo alcune parti del corpo, e per le famiglie è difficile fare una scelta del genere. Spesso, preferiscono attendere nella speranza che si ritrovino altre parti dello scheletro.

I corpi degli uccisi nel genocidio, infatti, sono stati occultati in diverse fosse comuni anche molto distanti fra loro. Esistono casi di persone i cui resti sono stati trovati, a distanza di anni, anche in cinque fosse diverse.

L’Istituto nazionale per le persone scomparse subisce, anno dopo anni, tagli dei finanziamenti e questo accresce le difficoltà di riuscire, col passare del tempo, a dare un nome a poveri resti umani.

I leader politici e le leggi della Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina, una delle due entità che gli accordi di Dayton del 1995 hanno creato nella Bosnia dopo la guerra, non hanno ancora riconosciuto il genocidio di Srebrenica, al quale non vi è alcun riferimento persino nei programmi scolastici.

Il processo di riconciliazione non ha fatto passi avanti, anche per un clima islamofobico dilagante, e le divisioni tra i gruppi nazionali all’interno del Paese proseguono.

Nonostante i processi conclusi dal Tribunale penale per l’ex Jugoslavia e quelli ancora in corso presso il cosiddetto “Meccanismo residuale internazionale” nei confronti dei principali ideatori del genocidio di Srebrenica, il numero dei casi giudiziari irrisolti è estremamente lungo e, salvo i casi particolarmente gravi, tutte le cause “minori” sono passate ai tribunali locali.

E’ legittimo quindi sostenere che ne è derivata un’impunità dilagante.

I processi per crimini di diritto internazionale nei tribunali della Bosnia ed Erzegovina sono molto lenti e condizionati da fattori esterni, tra cui l'assenza di programmi di protezione per i sopravvissuti e i testimoni.

In assenza della necessaria volontà politica, la stragrande maggioranza delle persone sospettate di crimini di guerra e crimini contro l’umanità non verrà mai chiamata a rispondere del suo operato.

Nel frattempo prende sempre più campo il negazionismo al punto che l’attuale amministrazione municipale serbo-bosniaca, in continuità con le posizioni del governo, è dichiaratamente negazionista rispetto al genocidio.

Ed è evidente la volontà da parte dei serbo-bosniaci negazionisti di cancellare le tracce, i luoghi della storia.

A distanza di 28 anni, le donne di Srebrenica continuano a piangere i loro morti.

Alcuni resti non si troveranno mai più.

domenica 9 luglio 2023

Per l'Uif in aumento il riciclaggio e l'evasione fiscale

 

E’ stata presentata la relazione annuale dell’Unità di informazione finanziaria (Uif) della Banca d’Italia, molto importante per avere un quadro aggiornato sul sistema dell’anticiriclaggio. Nel 2022 le segnalazioni di operazioni sospette sono aumentate dell’11% rispetto all’anno precedente.

L’Uif nel 2022 ha ricevuto oltre 155.000 segnalazioni di operazioni sospette (Sos), appunto l’11% in più rispetto a quelle del 2021, gran parte delle quali inoltrate dal sistema bancario e finanziario.

Un importante contributo è giunto dagli operatori non finanziari e dai prestatori di servizi di gioco, mentre l’apporto dei professionisti ha registrato variazioni più contenute.

Le comunicazioni trasmesse dalle pubbliche amministrazioni si sono mantenute su livelli esigui, a testimonianza della loro insufficiente percezione dell’antiriciclaggio come snodo cruciale per rafforzare i presidi di legalità.

Ma il poderoso intervento pubblico nell’economia che caratterizza l’attuale momento storico rende auspicabile, secondo l’Uif, un ruolo più attivo e consapevole degli uffici pubblici.

L’andamento crescente del flusso segnaletico, confermato anche per il primo semestre del 2023 (intorno al 5% su base annua), è da leggersi positivamente nella misura in cui rispecchia una maggiore consapevolezza del ruolo della collaborazione attiva.

Negli ultimi tempi tuttavia si è riscontrato un tendenziale decadimento qualitativo delle segnalazioni. Sono frequenti quelle basate esclusivamente su anomalie formali o sulla mera riproposizione di informazioni già poste all’attenzione dell’Unità senza che vengano evidenziati i motivi di sospetto ovvero in assenza di ulteriori elementi di rilievo che ne giustifichino la reiterazione.

Nel 2022 circa il 30% delle Sos è stato valutato dall’Uif come privo di sufficienti profili di rischio o connotato da deboli elementi a supporto del sospetto.

All’interno della Uif sono state introdotte nuove metodologie per la selezione e la classificazione delle segnalazioni. Anche grazie a questi nuovi strumenti si è stati in grado di fronteggiare l’incremento del flusso segnaletico, registrando solo un modesto incremento delle giacenze, peraltro in via di progressiva riduzione. Gli esiti investigativi e i riscontri della Direzione antimafia confermano l’efficacia dell’attività svolta.

Sono pervenute, soprattutto dalle Pubbliche amministrazioni, le prime segnalazioni collegate all’attuazione del Pnrr.

Le Sos hanno spesso evidenziato la presenza di reti di imprese indebitamente beneficiarie di finanziamenti agevolati o per cui si è registrato un utilizzo distorto delle risorse stanziate, frequentemente destinate all’estero e la presenza di professionisti con ruoli di facilitatori.

Oltre il 18% delle Sos ricevute è risultato collegato alla criminalità organizzata.

Le Sos riguardanti il finanziamento del terrorismo sono state 342, in diminuzione del 41% rispetto al 2021.

Le comunicazioni oggettive e i dati Sara rilevano una ripresa delle operazioni in contanti.

L’uso del contante resta complessivamente su livelli inferiori a quelli pre-pandemia, indicando una possibile modifica strutturale delle abitudini di pagamento.

L’analisi strategica della Uif si è concentrata sullo studio di indicatori di opacità delle imprese italiane, sull’individuazione di imprese potenzialmente funzionali agli interessi della criminalità organizzata e sull’approfondimento dei flussi commerciali internazionali, anche al fine di individuare triangolazioni anomale con la Russia.

Con riferimento alle sanzioni internazionali collegate all’attacco militare russo nei confronti dell’Ucraina, la Uif ha raccolto i dati sui depositi di cittadini russi e bielorussi e le comunicazioni sull’esistenza di beni e disponibilità economiche sottoposti a vincoli di congelamento.

E’ stato anche rilevata un’evasione fiscale in costante aumento.

Il comparto tasse ha pesato per oltre un quinto sul totale delle Sos del 2022, il 20,2% rispetto al 16,8% registrato nel 2021.

Per la prima volta l’Uif ha riscontrato una diminuzione dei fenomeni tradizionali di evasione, restano invariate le segnalazioni relative alle fatturazioni, mentre aumentano quelle relative alla cessione dei crediti d’imposta previsti dal decreto Rilancio.

Invece, altre comunicazioni hanno posto l’accento su sospette operazioni finanziarie finalizzate ad aggirare la normativa fiscale.

E’ il caso della interposizione tra soggetti italiani ed esteri, allo scopo di celare l’identità del reale destinatario di alcuni compensi. Operazioni che avrebbero lo scopo di sottrarre i capitali alla tassazione dell’Italia.

mercoledì 5 luglio 2023

Perchè non ricordare Francesco Nuti?

 

Francesco Nuti è morto nello stesso giorno in cui è morto Silvio Berlusconi. Forse anche per questo motivo Nuti non è stato ricordato sufficientemente dai media. Non è stato programmato nemmeno un suo film dalla Rai, a ulteriore testimonianza del progressivo declino della televisione pubblica.

Invece Francesco Nuti va ricordato per quello che ha fatto e per quello che poteva fare, se il destino non fosse stato così crudele nei suoi confronti, al di là dei suoi errori, che pur ha commesso.

Un modo per ricordarlo è riportare una parte di quanto scritto su di lui, stranamente dall’agenzia Ansa, appena si è saputo della sua morte

“Morto Francesco Nuti, l'irregolare di talento

Chissà cosa sognava Francesco Nuti, quando sognava, nei lunghi anni in cui un destino atroce e capriccioso lo ha tenuto lontano dal suo mondo e dalla vita reale.

Probabilmente sognava splendide storie, grandi amori, quelle commedie giocose e acri per cui era diventato un beniamino del pubblico e che oggi ci passano davanti agli occhi mentre lo salutiamo per l'ultima volta.

La sua è stata l'esistenza naturale del ‘fool’ shakespeariano, non tracotante come Falstaff, semmai simile ad Ariel nella ‘Tempesta’, il fedele servo di Prospero che sa vedere oltre l'apparenza e condurre gli spettatori nel territorio del sogno.

Eppure Francesco Nuti, che se ne è andato stamane a 68 anni in una clinica romana così lontana da quella Firenze in cui era nato il 17 maggio del 1955, è stato anche un mago, come Prospero: toccava le storie e i personaggi e li trasformava a sua immagine e somiglianza, creando una strana magia empatica per cui generazioni diverse si sono rispecchiate in quel Francesco detto ‘il Toscano’ che poi si sarebbe nascosto dietro altri pseudonimi: Romeo, Caruso, Willy, Lorenzo, Dado, Pinocchio.

Che l'incontro con il suo conterraneo Collodi e il burattino discolo fosse da sempre un punto d'arrivo nei sogni di Francesco Nuti era chiaro fin dall'inizio: purtroppo quando i due si incontrarono davvero (OcchioPinocchio, 1994) l'attore-regista era già preda del demone autodistruttivo, tra alcool e depressione, che avrebbe segnato il suo declino e il film resta ancor oggi una grande opera incompiuta in cui solo a tratto balugina il suo talento irregolare e ribelle.

Ma prima ci sono titoli memorabili (all'inizio condivisi con Maurizio Ponzi alla regia), da Madonna che silenzio c'è stasera (1982) a Io, Chiara e lo Scuro (1983), da Son contento (1983) fino a Casablanca Casablanca che nel 1985 lo promuove a regista di se stesso in un seguito ideale di Io, Chiara e lo Scuro.

E’ il suo momento d'oro in cui coniuga con leggerezza e inventiva tutte le doti messe in mostra fin da ragazzino e poi in teatro e tv al fianco di Alessandro Benvenuti e Athina Cenci nel gruppo dei Giancattivi con cui aveva conosciuto la popolarità in No Stop (grande fucina televisiva di talenti firmata da Enzo Trapani con il talent scout Bruno Voglino) e l'esordio al cinema con Ad ovest di Paperino (1981).

Nella sua età felice Francesco Nuti è un one-man-band capace di generare dolcezza, incanto poetico, satira e romanticismo in un solo mix irripetibile, portando sullo schermo una ‘toscanità’ ruspante che coincideva con la scoperta del ‘regionalismo’ da parte della commedia italiana.

Nonostante gli altalenanti successi successivi, il suo talento si disperse lentamente dopo la metà degli anni '80, prima in un'ossessiva ricerca di diversificare se stesso (Tutta colpa del paradiso, 1985, Caruso Pascoski di padre polacco, 1988, Willy Signori e vengo da lontano, 1989) e poi alla rincorsa del tempo perduto (Il signor Quindicipalle, 1998).

Lo abbiamo visto per l'ultima volta sullo schermo nel 2005, attore in Concorso di colpa, poliziesco troppo poco visto di Claudio Fragasso.

A quel punto l'appuntamento col destino è già dietro l'angolo: sempre meno presente a se stesso, l'anno dopo cade dalle scale di casa e il trauma cranico è gravissimo. Entrerà in un tunnel di faticosa rieducazione, ricadute, tiepide speranze che non gli consentirà più di riprendersi la scena anche se gli amici della giovinezza non smetteranno di stargli vicino, il fratello Giovanni lo aiuterà a scrivere una biografia molto personale (Sono un bravo ragazzo - Andata, caduta e ritorno, 2011, Rizzoli) e si moltiplicheranno spettacoli e monologhi di cui è l'indiretto protagonista.

In una toccante intervista la figlia Ginevra (avuta con Anna Maria Malipero) dirà: ‘Francesco è e sarà sempre il mio papà anche se non può più parlare, muovere le mani e camminare ed è giusto che mi occupi di lui’.

E così è stato fino all'ultimo giorno.

Francesco Nuti ha attraversato il cinema come una luminosa meteora, sempre inclassificabile tra passione per il biliardo - grande co-protagonista dei suoi film migliori in coppia col campione Marcello Lotti -, la musica (ha calcato il palco di Sanremo e la sua discografia fa da controcanto alle sue regie), gli amori e le delusioni private.

Ci lascia in eredità 10 film e 15 titoli da attore, un pugno di premi (l'ultimo dei quali alla memoria di Vincenzo Crocitti gli è stato consegnato nel 2019) e troppi sogni ancora da realizzare.

La sua parabola assomiglia a quella di un altro sfortunato talento come è stato Rino Gaetano a cui lo legava una strana assonanza caratteriale e una radice calabrese che, per parte di madre, Francesco affiancava allo spiritaccio toscano del Mugello da cui veniva suo padre.

Così oggi per lui viene voglia di dire: Francesco, il cielo è sempre più blu: quello è il tuo posto…”

domenica 2 luglio 2023

Che cos'è la bioeconomia e quanto è importante

 

E’ stato recentemente presentato il nono rapporto sulla bioeconomia, realizzato dalla direzione studi e ricerche della banca Intesa Sanpaolo. Nel 2022 l’insieme delle attività connesse alla bioeconomia in Italia ha generato un valore della produzione pari a 415,3 miliardi di euro, occupando circa due milioni di persone.

Innanzitutto è bene precisare che cos’è la bioeconomia.

La bioeconomia comprende e interconnette quelle attività economiche che utilizzano risorse biologiche rinnovabili della terra e del mare- come colture, foreste, pesci, animali e microrganismi – per produrre cibo, materiali ed energia.

Della bioeconomia fa parte il sistema socio-economico legato ai comparti della produzione primaria - per esempio agricoltura e acquacoltura - e i settori industriali che utilizzano o trasformano le risorse biologiche provenienti da questi comparti, come l’industria alimentare, quella della cellulosa e della carta, ma anche parte dell’industria chimica, energetica e biotecnologica.

L’approccio bioeconomico mette al centro del suo modello la natura, promuove un’industrializzazione intelligente, che utilizza risorse biologiche, convertite in prodotti a valore aggiunto come cibi e bevande, ma anche bioenergie, biocarburanti, bioplastiche, servizi.

La crescita osservata nel 2022 (+15,9%), sostenuta soprattutto dall’incremento dei prezzi, ha portato la bioeconomia italiana a pesare l’11% sul totale del valore della produzione, in netto aumento rispetto al 9,9% del 2019.

Anche negli altri Paesi europei considerati nel rapporto, la bioeconomia ha registrato lo scorso anno una sensibile crescita: nel complesso di Francia, Germania, Italia e Spagna, la bioeconomia ha generato nel 2022 un output di circa 1.740 miliardi di euro, occupando oltre 7,6 milioni di persone.

Un ruolo chiave nella bioeconomia, in particolare in Italia, è ricoperto dalla filiera del tessile-abbigliamento, protagonista di una profonda trasformazione negli ultimi decenni che ha portato allo spostamento del baricentro produttivo mondiale verso l’Asia e ad una diminuzione dell’utilizzo di input bio-based: la quota sul commercio mondiale di input, filati e tessuti bio è scesa dal 16,1% medio del 2007-08 al 14,8% del 2018-19.

La filiera del tessile-abbigliamento in Italia ha raggiunto 63,5 miliardi di euro di fatturato nel 2022 (l’1,5% del totale e il 5,5% del manifatturiero), occupando circa 300.000 addetti, l’8% degli addetti della manifattura italiana. L’Italia resta protagonista in questo settore: nono produttore mondiale per numero di addetti, quinto per valore della produzione e per quota di mercato nei prodotti di fascia alta.

Il nostro Paese mantiene una quota di produzione bio-based tra le più elevate nel contesto europeo e risulta quarto esportatore mondiale di fibre, filati e tessuti bio-based.

I dati di una inchiesta ad hoc sulle imprese della bioeconomia, evidenziano come oltre il 40% dei soggetti intervistati nella filiera del tessile-abbigliamento dichiara di voler ampliare le proprie produzioni bio-based nei prossimi 3 anni.

La filiera del tessile-abbigliamento è al centro di significativi cambiamenti in ottica di maggiore sostenibilità e circolarità. Con l’introduzione dell’obbligo di raccolta differenziata dei tessili già partita in Italia e di prossima applicazione nel resto dell’Unione europea, il tema dell’economia circolare, del riuso e riutilizzo dei rifiuti tessili e dei tessili usati diventerà ancora più rilevante.

Si assisterà a un aumento dei quantitativi di rifiuti da trattare e gestire e ne cambierà anche il mix con l’ampliamento dell’incidenza dei rifiuti di peggiore qualità e privi di valore. In questo contesto la capacità di recuperare materia in una logica fiber to fiber diventerà fondamentale.

Il riutilizzo degli scarti dei processi produttivi della filiera tessile in un’ottica circolare è rilevante ma residuano ampi spazi di miglioramento, attivabili attraverso un miglior funzionamento del mercato delle materie prime seconde. Le potenzialità sono desumibili dall’analisi dei quantitativi di rifiuti tessili prodotti dalla filiera della moda che risultano pari a 510.000 tonnellate a livello europeo. In Italia per ogni addetto dell’industria della moda si producono 508 kg di rifiuti.

I rifiuti post consumo raccolti in modo differenziato ammontano complessivamente a livello di Europa a 27 a 790.000 tonnellate nel 2020, in accelerazione negli ultimi anni grazie alla crescente diffusione della raccolta differenziata.

In Italia la raccolta differenziata dei rifiuti tessili è in progressivo ampliamento (nel 2021 circa 140.000 tonnellate) ma sconta differenziali territoriali significativi: il quantitativo di rifiuti pro-capite tessili raccolti al Sud è pari a 2,1 kg, rispetto ai 2,8 kg per abitante registrati al Nord e ai 3 kg del Centro Italia.