lunedì 31 agosto 2020

I democratici per il no al taglio dei parlamentari

 


 

Io ritengo che in Umbria  e nel resto dell’Italia gli elettori e gli iscritti al Partito democratico debbano aderire al comitato dei democratici per il no al referendum costituzionale sulla riduzione dei parlamentari.

Per quali motivi?

Io credo che sia sufficiente leggere quanto scritto nel sito web del comitato:

“Domenica 20 e lunedì 21 settembre si terrà il referendum sulla riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari.

E’ un male che pochi ne parlino, perché non si cambia la Costituzione senza coinvolgere i cittadini. Questo taglio orizzontale produrrà risparmi risibili e avrà effetti negativi sulla qualità della nostra democrazia.

L’Italia diventerà il paese europeo con il peggior rapporto tra numero di cittadini ed eletti.

Interi territori (e gli italiani all’estero) saranno privati di propri rappresentanti in Parlamento.

E i parlamentari che resteranno saranno scelti dai vertici dei partiti, spezzando qualsiasi legame tra gli elettori e chi li rappresenta.

E’ il cedimento alla demagogia antiparlamentare di chi vede le istituzioni come inutili orpelli e punta a sostituire la democrazia rappresentativa con qualche piattaforma digitale privata.

Si ridimensiona il Parlamento per assecondare una visione meschina della politica, l’idea che rappresentare i cittadini equivalga a occupare una poltrona.

A tutto questo noi diciamo NO.

E lo facciamo da democratici impegnati nel campo del centrosinistra, al di là della nostra militanza o meno in partiti politici. Qui, troverai i materiali e le iniziative della nostra campagna referendaria”.

Chi intende aderire al comitato può farlo visitando il sito https://www.democraticiperilno.it/

giovedì 27 agosto 2020

I problemi della bassa natalità


 

Il problema della denatalità italiana non è tanto la diminuzione della popolazione ma il fatto che si altera il rapporto tra la popolazione attiva e quella anziana. Il post-Covid può essere l’occasione per cambiare rotta rispetto a politiche sbagliate. 

Questa è la tesi sostenuta da Alessandro Rosina in un articolo pubblicato su www.lavoce.info.

“…Nella percezione comune, il fatto di avere meno figli porta a una diminuzione della popolazione.

Ma la questione più problematica non è tanto essere di più o di meno, quanto gli squilibri strutturali che si generano, in particolare nel rapporto relativo tra popolazione in età attiva (a cui è affidata la crescita economica e la sostenibilità del sistema sociale) e popolazione anziana (che tende più ad assorbire che a produrre ricchezza).

La denatalità italiana non ci allontana dai cosiddetti Paesi ‘frugali’ in termini di numero di abitanti (considerato, del resto, che si tratta di nazioni meno popolate della nostra), ma ci rende più fragili rispetto alla capacità di produrre ricchezza e ai costi crescenti legati all’invecchiamento della popolazione.

Nell’economia demografica europea, l’Italia è tra i Paesi membri che più contribuiscono a far lievitare la presenza di anziani e tra quelli che più indeboliscono la presenza delle nuove generazioni e, in prospettiva, della forza lavoro.

I dati del rapporto ‘Ageing Europe - 2019 edition’ indicano come per l’Italia (e il complesso dei Paesi dell’Europa mediterranea) il tasso di dipendenza degli anziani sia spinto verso l’alto dalle dinamiche passate e in corso, fino ad avvicinarsi a 1,5 persone in età lavorativa (15-64 anni) per ogni over 65.

Il valore medio europeo è attorno al 50% (rapporto di 2 a 1), ma tutti i cosiddetti Paesi ‘frugali’ sono ben posizionati sotto tale soglia.

Se poi si aggiungono ‘quota 100’ - ovvero un segnale che va in controtendenza rispetto alle risposte virtuose necessarie per favorire una lunga vita attiva, che ovviamente più che di vincoli di età ha bisogno di favorire pratiche di successo di ‘age management’ nelle aziende -, il record di Neet (gli under 35 che non studiano e non lavorano), una bassa partecipazione femminile (anche per la carenza di misure e strumenti di conciliazione), risulta ben chiaro che non solo la forza lavoro in Italia si riduce come conseguenza della denatalità, ma è ancor più indebolita da politiche sbagliate e carenti.

Dai dati del bilancio demografico nazionale appena pubblicati dall’Istat si vede come da oltre dieci anni (durante e dopo la recessione del 2008-2013) le nascite in Italia siano state in continua caduta: il saldo naturale è passato da valori vicini a zero prima del 2008 a -214.000 nel 2019.

Mentre si è allargato il flusso verso l’estero di cittadini italiani in cerca di migliori opportunità (+8,1% nel 2019 rispetto al 2018).

A confermare un quadro coerente, certificato dal rapporto annuale 2020, a questi dati si aggiunge la mancanza di un processo di convergenza con la media europea della quota di Neet e dell’occupazione delle donne con figli.

Possiamo tranquillamente affermare, guardando ai risultati, che le politiche familiari e quelle di attivazione delle nuove generazioni siano da troppo tempo quantomeno inadeguate, se non fallimentari.

Abbiamo investito poco e male sulle voci più importanti per dare solidità al nostro futuro: formazione, conciliazione, politiche attive, ricerca, sviluppo e innovazione.

Se l’Europa fosse una casa, la parete verso Sud apparirebbe in modo evidente quella più fragile, ma anche quella che ha visto il minore impegno responsabile ed efficace al miglioramento da parte dei più diretti interessati.

L’impatto della pandemia causata da Covid-19 ha ulteriormente complicato il quadro, ma può anche fornire l’opportunità per rafforzare il versante Sud, a beneficio di una maggiore solidità di tutto l’edificio europeo.

Per riuscirci serve, però, la migliore combinazione tra risorse adeguate e scelte responsabili.

In ogni caso, qualsiasi sia l’entità della spinta che ci arriverà dall’Europa, è tempo che l’Italia individui con determinazione e lungimiranza la propria direzione, se non vuole autocondannarsi a una lunga deriva nel resto di questo secolo”.

martedì 25 agosto 2020

I nuovi poveri con il coronavirus

 

Con il focus realizzato dal Censis e da Confccoperative “Covid da acrobati della povertà a nuovi poveri. Ecco il rischio di una nuova frattura sociale” si è analizzata la situazione della povertà in Italia dopo il coronavirus.

Prima del coronavirus, nel 2019, le persone in povertà assoluta erano 4,6 milioni, di cui il 40,5% residente nelle regioni settentrionali e il 45,1% nel Mezzogiorno.

Tra gli individui assolutamente poveri, 1 su 4 erano minori (un esercito da 1,14 milioni di persone), mentre gli stranieri quasi 1 su 3 (1,4 milioni). Le persone senza fissa dimora erano stimate in 112.000, ma l’area dell’indigenza che faceva ricorso agli aiuti alimentari arrivava a comprendere 2 milioni e 700.000 persone.

Durante i mesi di stretto “lockdown” 15 italiani su 100 hanno visto ridursi il reddito del proprio nucleo familiare più del 50%, mentre altri 18 italiani su 100 hanno subìto una contrazione compresa fra il 25 e il 50% del reddito, per un totale di 33 italiani su 100 con un reddito ridotto almeno di un quarto.

Ancora più drammatica la situazione fra le persone con un’età compresa fra i 18 e i 34 anni, per le quali il peggioramento inatteso delle propria situazione economica ha riguardato 41 individui su 100 (riduzione di più del 50% per il 21,2% e fra il 25 e il 50% per il 19,5%).

In sintesi, la metà degli italiani (50,8%) ha sperimentato un’improvvisa caduta delle proprie disponibilità economiche, con punte del 60% fra i giovani, del 69,4% fra gli occupati a tempo determinato, del 78,7% fra gli imprenditori e i liberi professionisti. La percentuale fra gli occupati a tempo indeterminato ha in ogni caso raggiunto il 58,3%.

Con il “lockdown” sono diventate 2,1 milioni le famiglie con almeno un componente che lavora in maniera non regolare.

Ben 1.059.000 famiglie vivono esclusivamente di lavoro irregolare ((sono il 4,1% sul totale delle famiglie italiane). Di queste, più di 1 su 3, vale a dire 350.000, è composta da cittadini stranieri.

Un quinto ha minori fra i propri componenti, quasi un terzo è costituita da coppie con figli, mentre 131.000 famiglie possono invece contare soltanto sul lavoro non regolare dell’unico genitore.

La presenza di famiglie con solo occupati irregolari pesa al Sud dove si concentra il 44,2%, ma le percentuali che riguardano le altre ripartizioni danno conto comunque di una diffusione considerevole anche nel resto del Paese: il 20,4% nel Nord Ovest, il 21,4% nelle regioni centrali e il 14% nel Nord Est.

“Il Paese vede la sua competitività ferma al palo dal 1995. Abbiamo un’occupazione più bassa della media europea. Un deficit che è cresciuto di 20 punti e un Pil che chiuderà con un rosso a due cifre sfondando il tetto del 10%.

Abbiamo una geografia sociale ed economica del Paese molto sbilanciata - ha affermato Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative - con poco meno di 23 milioni di lavoratori, oltre 16 milioni di pensionati, 10 milioni di studenti (con una formazione che non è sempre d’eccellenza) e oltre 10 milioni di poveri.

Il problema non è il deficit, ma la capacità o meno di poterlo pagare.

In merito al Recovery Fund - ha aggiunto Gardini - sono necessarie subito risorse per politiche strutturali che tendano sia alla salvaguardia dell’attuale occupazione, ma soprattutto alla creazione di nuovo lavoro.

Solo rilanciando innovazione, competitività e occupazione potremo far fronte ai debiti che abbiamo contratto, ridurre le diseguaglianze e costruire un modello di Paese più equo, più sostenibile”.

giovedì 6 agosto 2020

No al referendum per il taglio dei parlamentari



Il 20 e il 21 settembre si terrà il referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari. Da tempo si è costituito un comitato per sostenere il No, cioè per impedire che entri in vigore la legge costituzionale che consente quella riduzione.

Anche io sono per il No e per questo ho deciso di riportare una parte delle motivazioni che hanno indotto i promotori a costituire il comitato.

“…Le ragioni del taglio dei parlamentari restano povere, inadeguate…

Tagliare il numero dei parlamentari compromette la potenzialità di avere una rappresentanza parlamentare adeguata. Certo oggi funziona male ma la responsabilità non è solo di un Parlamento di nominati dall’alto, ma dei partiti che decidono nelle segrete stanze chi deve stare in Parlamento, tagliando fuori dalle scelte i cittadini che così non sono veramente rappresentati, perché gli eletti non rispondono a loro.

Tagliando il Parlamento di oltre un terzo, i cittadini saranno meno e peggio rappresentati di oggi, perché da molti anni le leggi elettorali non hanno cercato la rappresentanza migliore ma quella più fedele e manovrabile.

Il taglio del Parlamento colpisce duramente l’architrave della democrazia: il Parlamento, cioè la rappresentanza dei cittadini, che può e deve essere migliore di quella attuale. 

Elettrici ed elettori hanno interesse ad avere una rappresentanza efficace attraverso la quale esprimere i diversi punti di vista.

Difetti di funzionamento nella democrazia italiana ci sono, gravi responsabilità le hanno i Governi che evitano il confronto in Parlamento per imporre con decreti, voti di fiducia e ora anche con i dpcm le proprie scelte al Parlamento, rovesciando di fatto la gerarchia istituzionale prevista dalla Costituzione.

Il Parlamento dovrebbe essere l’architrave istituzionale del nostro Paese, mentre gradualmente è diventato subalterno alle imposizioni del Governo e dei capi partito, lasciando spazio a forti processi di centralizzazione e di personalizzazione della politica, una strada aperta da Berlusconi 20 anni fa, purtroppo seguita da altri, anche a sinistra, al punto che ormai è diffusa.

Va denunciato con forza che si stanno preparando le premesse per una svolta presidenzialista, storico obiettivo della destra, che oggi lo ripropone con raccolte di firme ed altre iniziative che preparano il terreno ad altri stravolgimenti costituzionali.

Gli apprendisti stregoni che hanno proposto il taglio del Parlamento, gli opportunismi che lo hanno subìto perchè hanno scelto di non condurre una limpida battaglia politica per bloccare questa grave deriva populista, stanno preparando il terreno per la destra, perchè al taglio dei parlamentari seguirà un ulteriore indebolimento del Parlamento che potrebbe indurre a forzare la mano per andare al voto politico anticipato per conquistare la maggioranza in parlamento, tanto più che la riduzione degli eletti e la legge elettorale fatta approvare da Calderoli della Lega è pronta ad entrare in vigore.

Potremmo avere il paradosso che il taglio del Parlamento, visto da alcuni come un elisir di lunga vita per il Governo, in realtà potrebbe aprire la strada ad elezioni anticipate, senza dimenticare che chi governerà gestirà ingenti risorse italiane ed europee e quindi sono in campo grandi interessi economici…

Le altre forze democratiche presenti in Parlamento e fuori debbono sapere che il taglio del Parlamento non aiuterà il decollo di una nuova fase politica.

Solo un grande timore, ai limiti dell’irrazionale, può spingere ad appoggiare scelte come questa che consoliderà sugli altri partiti della maggioranza l’ombra del capovolgimento di posizione - senza mai averne dato una reale motivazione - che ha reso possibile l’approvazione del taglio del Parlamento nella quarta lettura parlamentare.

Il pericolo di una fase politica che può offrire alla destra l’opportunità di tornare al Governo nel modo peggiore dovrebbe imporre a tutti un rinsavimento.

Non si cambia la Costituzione, tanto più sul ruolo del Parlamento, senza prendersi una grave, storica, responsabilità che può portare a snaturarla, a cambiarla radicalmente.

Eppure nel programma del centro sinistra era stata definita la Costituzione più bella del mondo.

Ci sono ragioni importanti se l’Anpi ha preso una posizione contraria e prepara una posizione per il No in cui spenderà figure di grande prestigio…

Dobbiamo fare appello alla mobilitazione delle coscienze in nome della Costituzione chiedendo di votare No.

Basta fare vincere il No per bloccare questa controriforma…

Il Comitato nazionale per il No al taglio del Parlamento intende rafforzare il proprio impegno per coordinare e sviluppare insieme le iniziative dei diversi Comitati per il No, a partire da quello dei senatori che hanno promosso il referendum.

Il Comitato per il No deve sviluppare, insieme a tutti i comitati territoriali, un preciso piano di lavoro, da subito, verso gli organi di informazione e predisporre iniziative, contatti, incontri, dibattiti in video quando non è possibile svolgerli in presenza…

Populismo ed opportunismi vari rendono più difficile la vittoria del No, tuttavia l’arroganza del Si è intaccata per l’entrata in campo di soggetti nuovi, di personalità che non hanno timore di dichiarare le loro posizioni, di condurre una limpida battaglia politica senza interessi personali da difendere ma solo per profonde convinzioni.

La vittoria del Si non è più così sicura, il populismo che punta a sfasciare tutto è in difficoltà e la vittoria del No può essere la svolta decisiva per garantire che il futuro confronto politico resterà dentro la nostra Costituzione, bloccando futuri stravolgimenti.

Non sarà facile ma la vittoria del No è possibile.

Dobbiamo impegnarci tutti per realizzarla, per questo il Comitato per il No al taglio del Parlamento fa appello a tutte le persone che non si rassegnano a subìre questa imposizione per costruire insieme una reazione politica che facci vincere il No nel voto”.

Il sito web del comitato è http://www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it/

lunedì 3 agosto 2020

Un milione di imprese rischiano di chiudere


Con il “focus” realizzato dal Censis e dalla Confcooperative “Lo  shock epocale: imprese e lavoro alla prova della ‘lockdown economy’ viene analizzato lo stato dell’economia italiana.

Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, ha riassunto così il quadro che si profila per l’economia italiana commentando i risultati del focus: “L’economia italiana inchioda e occorreranno 2 anni prima di poter ritornare ai livelli di Pil e di crescita stimata fino allo scorso gennaio.

In condizioni di urgenza straordinaria il sistema necessita di misure straordinarie, coraggiose e soprattutto veloci che consentano di non spegnere i motori, altrimenti rischiamo, quando sarà passata l’emergenza, di lasciare sul tappeto 1 milione di imprese”.

“Nonostante tutto - ha continuato Gardini - va visto il bicchiere mezzo pieno, perché le giuste misure di contenimento del coronarivus non hanno bloccato l’intera economia.

Poco più di metà delle imprese e dei loro lavoratori non si sono fermati.

In qualche modo la fase 2 parte da qui, ma va alimentata con coraggio e decisione.

Vanno tenuti accesi i motori del sistema imprenditoriale per consentire la ripartenza appena sarà possibile e cercare il rimbalzo necessario per il nostro Pil.

In caso contrario rischiamo di uscire da questo lockdown lasciando sul tappeto almeno il 20% delle imprese, poco meno di 1 milione di piccole e medie imprese, con conseguenze indescrivibili in termini di fatturato, occupazione e tenuta sociale del Paese

E Gardini ha aggiunto: “Posta l’emergenza sanitaria abbiamo due fronti su cui lavorare, quello europeo e quello italiano.

Partiamo da casa nostra, il tema prioritario è il credito.

Occorrono meccanismi che garantiscano liquidità immediata a tutte le imprese che, dalle più piccole alle più grandi, sono in difficoltà.

Per l’export, a esempio, è a rischio un valore di 280 miliardi pari al 65,8% del valore complessivo.

Ecco perché le misure del governo devono consentire alle banche di essere immediatamente operative con istruttorie con tempi record, degne dei periodi di emergenza, superando il cronico problema della burocrazia che rallenta ogni processo.

E a proposito di liquidità, vanno saldati tutti i debiti della Pubblica Amministrazione.

Siamo maglia nera in Europa, è il minimo che si possa fare: 53 miliardi dovuti dallo Stato alle imprese che non possono continuare a fare da cassa allo Stato e agli enti locali. Solo le cooperative sociali e quelle di produzione lavoro e servizi hanno crediti per circa 2 miliardi di euro.

Questa è una sfida che si può vincere solo con l’Europa che in caso di sconfitta rischia molto più di una grave depressione economica, rischia di veder morire quel sogno chiamato Europa.

E qui arriviamo al secondo fronte.

Da questo shock epocale usciremo vincitori solo con un’Europa unita e solidale.

E’ indispensabile l’emissione di bond europei che non pesino sul debito dei singoli Paesi e siano finalizzati a supportare le economie degli stati membri. Non è un discorso di ‘falchi’ contro ‘colombe’.

Gli effetti del Covid 19 sono insostenibili per i singoli Paesi.  Anche per quelli che lucrano grazie a imprese che spostano ad Amsterdam la propria sede legale per un fisco di favore.

Ricordiamo che le cooperative non delocalizzano, ma creano lavoro e ricchezza in Italia. Erogano servizi in Italia. Pagano le tasse in Italia”. 

Ha poi sottolineato Gardini: “In questa fase c’è da evidenziare il ruolo della cooperazione che nel welfare, con le cooperative sociali e sanitarie, in prima linea, eroga servizi a 6 milioni di persone fragili; le cooperative di produzione lavoro e servizi impegnate nel trasporto valori, merci e persone, nelle pulizie degli uffici della Pubblica Amministrazione e nella sanificazione degli ospedali e nella vigilanza.

Le cooperative della filiera agroalimentare e le cooperative di distribuzione al consumo e al dettaglio che non stanno mancando di rifornire le tavole degli italiani.

Insomma le cooperative stanno dando un contributo fondamentale alla tenuta del fronte. Senza le cooperative avremmo avuto condizioni di maggiore criticità nei servizi alle persone e alle comunità”.