Sempre
più spesso si ipotizza che con la diffusione dei robot, con l’intensificazione
della cosiddetta rivoluzione digitale, se non si assisterà, come sostengono i
più pessimisti, alla fine del lavoro, si potrà verificare una consistente
riduzione del numero degli occupati e, di conseguenza, a un aumento di
dimensioni molto rilevanti del numero dei disoccupati e di quello di coloro che
non cercheranno più un lavoro, definiti dagli economisti inattivi.
Effetto di queste previsioni è l’elaborazione di
proposte diverse, spesso poco credibili e talvolta anche fantasiose, quali una
forte riduzione delle ore di lavoro, ben maggiore di quella ipotizzata in
passato e cioè le 35 ore, l’iniziale svolgimento di un’attività lavorativa a
titolo gratuito da parte dei giovani, lo stesso reddito di cittadinanza.
Al di là delle valutazioni esprimibili su queste ed
altre proposte simili, al di là degli altri obiettivi, oltre quello prioritario
connesso all’aumento degli occupati, che potrebbero anche essere considerati
positivamente, a mio avviso non è possibile ritenere che con certezza nel breve
e nel medio periodo si assisterà ad una riduzione strutturale degli occupati e
quindi anche ad un inevitabile aumento dei disoccupati, sempre di natura
strutturale.
Infatti già con la rivoluzione industriale,
soprattutto, e con gli altri processi di innovazione tecnologica che si
verificarono successivamente, le tesi secondo le quali sarebbe avvenuta una
fortissima e definitiva crescita dei disoccupati, furono sempre smentite.
Infatti, dopo un primo periodo più o meno lungo nel
quale effettivamente si assistette ad un incremento della disoccupazione, poi
si crearono nuove attività lavorative che determinarono un aumento consistente
dell’occupazione.
Perché, con la rivoluzione digitale, con la
diffusione dei robot, non dovrebbe essere possibile, se non probabile, il
verificarsi della stessa situazione, quanto meno nel medio periodo?
Nel lungo periodo, come sosteneva Keynes, è meglio
non avventurarsi, perché come affermò il grande economista inglese “saremo
tutti morti”.
Peraltro, nel breve periodo, dopo la crisi economica
che ebbe inizio nel 2007-2008, che ha determinato un considerevole aumento dei
disoccupati, ora un po’ dappertutto il numero degli occupati è aumentato di
nuovo, determinando così una riduzione della disoccupazione.
Certo, se si considerano i Paesi dell’Unione
europea, la situazione del mercato del lavoro è piuttosto diversificata. Non
posso che fare riferimento all’Italia, dove si è verificato sì un aumento degli
occupati e una riduzione dei disoccupati, ma il numero dei disoccupati rimane
più elevato rispetto a quanto avviene in altri Paesi, soprattutto per quanto
riguarda la disoccupazione giovanile.
Ma questi problemi italiani non hanno niente a che
fare con la rivoluzione digitale ma hanno altre cause, tra cui una delle più
importanti è lo squilibrio economico territoriale tra Nord e Sud, insieme
all’insufficiente crescita economica.
In conclusione, è possibile che anche dopo il grande
processo di innovazione tecnologica a cui assistiamo e a cui assisteremo, si
creeranno nuove attività lavorative che compenseranno quelle che scompariranno.
E’ comunque auspicabile che si promuovano politiche
pubbliche che agevolino la creazione di nuovi lavori.
E, pertanto, è più che probabile che anche in futuro
ci sia ancora la festa dei lavoratori, il 1° maggio di ogni anno.