martedì 15 dicembre 2020

In Siria due bambini su tre non vanno a scuola

La metà dei bambini che prima frequentava la scuola nel Nord della Siria  è stata tagliata fuori dall’educazione a causa dell’epidemia di Covid-19. Questo l’allarme lanciato da Save the Children sulla condizione vissuta da tantissimi minori nell’area settentrionale del Paese, dopo quasi dieci anni di conflitto, sfollamenti e povertà. Anche nel resto della Siria comunque la situazione educativa dei bambini è molto difficile.

Si stima, infatti, che in tutta la Siria 2,45 milioni di bambini, ovvero uno su tre, non andassero a scuola già alla fine del 2019. 

Inoltre, la crisi da Covid-19 ha spinto un ulteriore 50% fuori dal sistema educativo nel nord del paese, con il risultato che due terzi dei bambini non vanno a scuola in questa area.

Tra il primo e il secondo trimestre del 2020, il numero di studenti dei programmi educativi di Save the Children è passato da oltre 11.200 a circa 7.775, mentre in alcune aree nel nord-ovest della Siria, i partner dell’associazione hanno raccontato di aver perso, dopo la chiusura delle scuole a marzo, quasi il 50% degli studenti.

Gli insegnanti hanno confermato cifre simili anche per i campi di Al Hol, Roj e Areesha nel nord-est, dove almeno 5.500 bambini hanno smesso di andare a scuola.

Dalle testimonianze degli insegnanti, emerge senza ombra di dubbio che la povertà è alla radice dell'abbandono scolastico dei bambini, causato principalmente dal costo dell'istruzione e dal lavoro minorile, spesso unica fonte di reddito per molte famiglie.

Il lavoro minorile desta particolare preoccupazione nella parte nord-orientale del paese, dove il 79% degli insegnanti ha raccontato che gli studenti hanno abbandonato la scuola perché dovevano sostenere finanziariamente la propria famiglia.

Circa il 60% degli insegnanti ha sottolineato, inoltre, che la pandemia ha avuto un forte impatto sulla continuità dell'istruzione nelle classi.

La perdita di spazi fisici di apprendimento, a causa delle restrizioni per Covid-19, ha trovato nella didattica a distanza l’unica opzione di studio percorribile per molti minori, la maggior parte di loro però non può accedervi a causa della mancanza di mezzi informatici.

Per provare a ridurre le drammatiche conseguenze di questo fenomeno - e nonostante le diverse criticità che rendono arduo l’operato dell’associazione e dei suoi partner, come lo scarso accesso dei bambini a smartphone e internet - quando le scuole sono state chiuse, Save the Children ha promosso, oltre all’insegnamento online, nuovi metodi di apprendimento a distanza, per raggiungere il maggior numero possibile di bambini, compreso quello che prevede che siano gli insegnanti a recarsi  dagli studenti nelle loro case o i servizi di messaggistica di testo.

 “Un decennio di conflitto ha trascinato milioni di famiglie siriane nella povertà, costretto i bambini a lavorare solo per sopravvivere e ha spinto centinaia di migliaia di loro ad abbandonare la scuola, rendendo l'istruzione un sogno irrealizzabile.

Save the Children e altre organizzazioni che operano nel settore dell’educazione hanno fatto il possibile affinché il maggior numero di bambini potesse imparare in uno spazio sicuro, realizzando così il proprio potenziale” ha detto Sonia Khush, direttore in Siria per Save the Children, che ha chiesto la riapertura delle scuole in modo sicuro, con un approccio che combini l'apprendimento in presenza, dove possibile, e l'istruzione a distanza.

“Il Covid-19 ha ulteriormente esacerbato le sfide esistenti che impedivano ai bambini di apprendere. Temiamo che coloro che hanno abbandonato la scuola quest'anno non torneranno mai più. L'abbandono scolastico rischia di vanificare gli immensi sforzi che i bambini e le loro famiglie hanno fatto per continuare ad avere un’istruzione nonostante un decennio di ostacoli” ha sottolineato Sonia Kush.

Il mancato accesso all’educazione da parte dei bambini siriani rischia di avere un impatto devastante sul futuro del Paese. Il settore dell'istruzione ha un disperato bisogno di risorse, e i donatori dovrebbero finanziare interventi destinati a far emergere le famiglie dalla povertà. Solo così i genitori e i tutori potranno garantire ai bambini la frequenza scolastica, anziché essere costretti a farli lavorare per sopravvivere.

Non posso che concordare con quanto sostenuto e richiesto da Save the Children.

Non ci si può dimenticare della Siria e soprattutto dei bambini siriani. E non lo devono fare, in primo luogo, le istituzioni internazionali a cui compete intervenire.

giovedì 10 dicembre 2020

434.000 persone non hanno potuto acquistare medicinali

 

Nel 2020, 434.000 persone povere non hanno potuto acquistare i medicinali di cui avevano bisogno per ragioni economiche. E’ una delle principali conclusioni dell’VIII rapporto “Donare per curare - povertà sanitaria e donazione farmaci”, realizzato da OPSan, l’osservatorio sulla povertà sanitaria, organo di ricerca di Banco Farmaceutico.

Il quadro che emerge dal rapporto è drammatico.

Mentre le persone non povere hanno una capacità di spesa pro-capite mensile per le cure mediche di 65 euro, le persone povere possono spendere solo 10,15 euro, meno di 1/5 dei non poveri.

Le persone non povere, inoltre, possono spendere, in medicinali, 28,18 euro, contro i soli 6,38 euro mensili di chi versa in stato di indigenza.

E le difficoltà non riguardano solo gli indigenti: 7.867.000 persone non povere, già nel corso del 2019 hanno dovuto sospendere o limitare almeno una volta la spesa necessaria per visite mediche e accertamenti periodici.

Con la pandemia la situazione si è aggravata: le persone povere spendono il 63% del loro budget sanitario mensile per acquistare farmaci da banco e destinano solo 3,77 euro alle altre cure necessarie, prevenzione compresa.

Una cifra insufficiente se consideriamo che le persone non povere destinano a queste spese 36,82 euro, cioè 10 volte di più.

Non solo. Se il diffondersi del coronavirus, le restrizioni e la crisi economica innescata da quella sanitaria hanno ulteriormente peggiorato le condizioni della popolazione più fragile, anche gli enti assistenziali hanno subìto un importante impatto negativo: quasi 1 su due ne ha risentito, il 40,6% ha dovuto limitare la propria azione o sospendere qualche servizio per un periodo più o meno lungo. Il 5,9% degli enti ha chiuso e non ha ancora ripreso le attività.

Un’indagine effettuata da OPSan, su un campione rappresentativo di 892 enti assistenziali particolarmente strutturati (che si prendono cura di 312.536 indigenti), ha registrato un calo di oltre 173.000 assistiti (pari al 55% del totale.)

Si tratta di persone che hanno chiesto assistenza a un ente, ma questo era chiuso o aveva ridotto i propri servizi; oppure, di persone che, poiché impaurite dal Covid, hanno rinunciato a farsi curare.

Pertanto, si stima che almeno 1 povero su 2 non abbia potuto curarsi attraverso gli enti che forniscono gratuitamente cure e medicine e sia rimasto ancor più deprivato della necessaria protezione sociale.

"Siamo di fronte ad una situazione particolarmente drammatica quanto inedita - ha dichiarato Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico onlus - tanti enti assistenziali, in tutta Italia, a causa della pandemia, hanno chiuso o ridotto le proprie attività.

Centinaia di migliaia di persone povere che, prima della pandemia, chiedevano loro aiuto, durante la pandemia sono rimaste prive di protezione.

Nel nostro piccolo, lanciamo un grido d’allarme affinché le istituzioni comprendano a fondo il ruolo del Terzo Settore nel nostro Paese.

Da sempre, le organizzazioni dedite all’assistenza e alla solidarietà sociale che ne fanno parte (fondazioni, associazioni, comitati), contribuiscono alla sostenibilità di tanti settori e servizi essenziali, compreso il servizio sanitario nazionale.

Ora come non mai – ha concluso - in questa Italia impoverita dalla pandemia, questa grande rete della solidarietà, che è un patrimonio del nostro Paese, non può essere lasciata sola”.

Non posso che concordare con l’appello lanciato da Sergio Daniotti.

Aggiungo che l’aggravarsi della cosiddetta povertà sanitaria, rende ancora più necessario il verificarsi di un incremento molto consistente delle risorse finanziarie direttamente rivolte ai poveri.

lunedì 7 dicembre 2020

Disabilità, 18 proposte

I rappresentanti di Fish e Fand, due federazioni tra le associazioni che si occupano delle persone con disabilità, sono stati ricevuti dal presidente del Consiglio Conte e dai ministri Azzolina e Manfredi, in occasione della giornata internazionale della disabilità ed hanno consegnato loro un documento con 18 proposte: 7 generali, 11 a breve termine.

4 sono le priorità contenute nel documento: la lotta alla segregazione e supporto alla domiciliarità, il supporto ai caregiver familiari affinché possano operare all’interno di un sistema integrato di interventi e servizi di sostegno, la necessità di ripensare la costruzione degli interventi, in un’ottica di percorsi di vita indipendente, la definizione di piani nazionali per avviare processi di de-istituzionalizzazione e di contrasto ad ogni forma di segregazione con sostegni alla vita autonoma, indipendente e alla domiciliarità.

7 le proposte “generali”.

Partecipazione

In un’ottica di “mainstreaming”le federazioni ritengono prioritario rafforzare il ruolo e le competenze dell’osservatorio nazionale sulla condizione di vita delle persone con disabilità - istituito dalla legge 18/2009 - e del suo comitato tecnico scientifico, anche ipotizzando che sia il luogo futuro di confronto e di discussione del codice sulla disabilità.

Consultazione 

Le federazioni sollecitano l'istituzione di un organo permanente che consulti in modo efficace e significativo le persone con disabilità attraverso le loro organizzazioni, nella realizzazione di tutte le leggi, le politiche e i programmi e che con apposita delega alle due principali federazioni nazionali e con apposita attribuzione di risorse per il suo costante funzionamento, convocato dal governo esprima posizioni e contributi in modo trasversale ad ogni area di intervento possa determinare effetti sulla condizione di vita delle Persone con disabilità e dei loro familiari.

Riforma del welfare 

Questo, attualmente basato principalmente sul sistema di protezione, deve essere profondamente modificato in favore di un nuovo modello basato sui diritti umani, civili e sociali.

Definizione

Introduzione della definizione normativa di disabilità e superamento di tutte le certificazioni e definizioni parziali.

Integrazione

Costruzione di supporti e sostegni nei percorsi di vita delle persone con disabilità, ricomponendo gli interventi settoriali. Integrazione socio-sanitaria e costruzione di un budget di salute e di progetto.

Lep

Costruzione dei livelli essenziali degli interventi e delle prestazioni sociali per le persone con disabilità e non autosufficienti

Lea

Revisione dei Lea sanitari, assistenza socio-sanitaria, integrazione sociale e sanitaria, ricerca e salute come ecosistema integrato”.

11 le proposte “specifiche a breve termine”.

Accanto alle proposte generali, Fish e Fand hanno avanzato proposte specifiche, che richiedono un tempestivo e circoscritto intervento.

Nell'ordine: incremento del fondo non autosufficienza fino a 1 miliardi di euro; incremento del fondo caregiver, che potrà per il momento aggirarsi a circa 100 milioni di euro (+75 milioni di euro), fondo per la vita indipendente, stabile e separato da quello del fondo non autosufficienza, almeno pari a 100 milioni di euro, ricollocamento delle risorse del fondo per il Dopo di noi, visto che l’articolo 9 della Legge n. 112/2016 aveva previsto una copertura delle minori entrate per la fruizione di agevolazioni fiscali e tributarie per 51,958 milioni per l’anno 2017 e però, in base a quanto dichiarato nella seconda relazione al Parlamento sull’attuazione della Legge, in tale anno sono state fruite agevolazioni solo per 946.000 euro, con 51,012 milioni che vanno riallocati sul Fondo, dandogli per l’anno 2021 una dotazione di 127,112 milioni di euro, incremento del fondo politiche sociali, che occorre potenziare prevedendo uno specifico capitolo di spesa aggiuntivo per un importo pari ad almeno 200 milioni di euro da destinare al sostegno ai servizi semiresidenziali, domiciliari e residenziali (+300 milioni di euro).

Particolare attenzione deve essere poi riservata, soprattutto in questo momento, all'accesso alle cure e alla salute: “Deve essere garantito il pieno accesso alle cure e alla salute in condizione di sicurezza ed agibilità anche rispetto alle diverse disabilità, a partire dai futuri vaccini che dovranno essere garantiti per tutte le persone con disabilità e non solo per coloro in stato di ricovero”.

Per quanto riguarda l'inclusione scolastica, è “urgente l’attuazione del Dlgs n. 66/2017 costruendo il nuovo profilo di funzionamento, quale analisi del funzionamento di un dato alunno all’interno del contesto scolastico, e il nuovo modello di Pei che consideri come lavorare sui contesti e come individuare chiari obiettivi di apprendimento e di sviluppo educativo dell’alunno con specifici indicatori di esito, che permettano sia il monitoraggio costante nel corso dell’anno scolastico sia la valutazione finale circa l’andamento del raggiungimento degli obiettivi stessi”.

Viene poi sollecitata “l'approvazione del codice per la disabilità”, così come “la definizione di percorsi di concreta inclusione nel mondo del lavoro completando le riforme e interventi previsti dal programma governativo per l’attuazione dei diritti delle persone con disabilità e prorogando, consolidando e strutturando gli istituti, le misure e le soluzioni sperimentate durante il periodo emergenziale atte a garantire l’effettività nell’accesso e mantenimento dell’occupazione”, tra cui l'emanazione delle linee guida.

Ultimi due punti del documento, sui cui le federazioni sollecitano il governo a intervenire, sono la tutela della parità di genere e il diritto all'accessibilità e alla mobilità, anche attraverso “l’erogazione della european disability card quale strumento di riconoscimento della persona e dell’invalidità per l’accesso a servizi gratuiti o a costo ridotto in materia di trasporti, cultura e tempo libero sul territorio nazionale in regime di reciprocità con gli altri Paesi dell’Unione europea”.

Io spero, ovviamente, che gran parte delle proposte avanzate da Fish e Fand siano accolte e in tempi brevi.

giovedì 3 dicembre 2020

Le mani delle mafie sulla pandemia

 

E’ stato recentemente presentato il rapporto “La tempesta perfetta. Le mani della criminalità organizzata sulla pandemia”, curato dall’associazione Libera, presieduta da don Luigi Ciotti, e da “Lavialibera”, nel quale si analizza il ruolo svolto dalle mafie dopo la diffusione del Covid-19 in Italia.

C’è stata un’impennata del numero di interdittive antimafia che nei primi nove mesi dell’anno, in media sei al giorno, si sono verificate 23 prime attività pre-investigative collegate alla criminalità organizzata con l’interessamento di 26 direzioni distrettuali competenti, con 128 persone coinvolte.

C’è stato un incremento del fenomeni di usura, in crescita del 6,5%, anche perché la carenza di liquidità ha interessato circa 100.000 imprese.

Oggetto di attenzione delle mafie vari settori, dagli alberghi alla ristorazione, dal settore sanitario a quello dei rifiuti, dagli appalti all'energia, fino alla grande finanza.

L’infezione sanitaria del virus ha affiancato l’infezione finanziaria mafiosa.

L’emergenza in atto, inaspettata e di enormi proporzioni, potrebbe determinare una crescita esponenziale dei profitti derivanti dal malaffare.

E se la rapida diffusione del coronavirus in Italia ha colto tutti impreparati, ciò non succede per le grandi organizzazioni criminali che sono in grado di farvi fronte più agevolmente perché nel loro tessuto connettivo è insita la capacità di rapido adattamento ai mutamenti economici e sociali.

Le mafie hanno infatti un enorme vantaggio rispetto allo Stato: la rapidità di pensiero e di esecuzione. Ovviamente sfruttando il vantaggio di non avere regole, se non quelle interne ai clan.

I mafiosi e i corrotti, dopo aver osservato la scena della tragedia, ora sono in agguato o già operanti, come si evidenzia dall’incremento di alcuni reati spia.

Si è registrata un'impennata, nei primi nove mesi dell’anno, con un andamento disomogeneo a livello territoriale, del numero di interdittive antimafia emesse dalle prefetture nei confronti di aziende controllate o condizionate dalle organizzazioni criminali.

Il ministero dell’Interno ne ha  registrate 1.637 (nello stesso periodo del 2019 erano state 1.540) con un incremento del 6,3%.

In seguito agli approfondimenti delle specifiche segnalazioni riguardanti le anomale operatività bancarie così come trasmesse dall’Uif nel periodo aprile-settembre 2020, si sono generati 23 atti d’impulso di indirizzo pre-investigativo collegati alla criminalità organizzata, che ha visto l’interessamento di 26 direzioni distrettuali competenti, con 128 persone coinvolte.

Nel 2019 erano stati 18 gli atti d’impulso di indirizzo pre-investigativo e 62 le persone coinvolte.

Come si legge nella relazione annuale della Dna, nel dettaglio il 31% degli atti di impulso riguardano contesti riferibili alla camorra, seguiti con il 19% dalla ‘ndrangheta e, in percentuale minore, 8% dalla mafia siciliana.

Ben il 38% riguardano le altre organizzazioni criminali con particolare riferimento ai Casamonica e Fasciani.

Da valutare con cautela, infine, l'incremento dei fenomeni di usura, in crescita del 6,5% passando da 92 a 98 episodi denunciati nei primi sei mesi dell'anno rispetto allo stesso periodo del 2019.

 “Se è vero che mafiosi e corrotti approfittano da sempre delle sciagure sociali e naturali, pensiamo solo al malaffare fiorito attorno ai progetti di ricostruzione post-terremoto, è anche vero - ha dichiarato don Luigi Ciotti, presidente di Libera - che le conseguenze della pandemia rischiano di produrre danni permanenti e strutturali se non sarà realizzato quel cambiamento di paradigma politico-economico a cui sempre il Papa ci richiama con forza, nella consapevolezza che quello che ci governa, e dal quale ci lasciamo governare, è un sistema ingiusto alla radice.

Impegno a cui anche questo rapporto ci richiama con forza. Colpisce infatti, tra i molti aspetti denunciati, il rischio di una progressiva assuefazione e, quindi, normalizzazione del fenomeno criminale mafioso e di tutte le storture che lo alimentano. Rischio tanto maggiore in quanto le mafie hanno adottato da tempo una strategia di basso profilo, privilegiando il crimine informatico, la corruzione e tutta una serie di reati collaterali capaci di garantire enormi profitti senza quasi destare allarme sociale.

Conoscenza, corresponsabilità e, quindi, impegno. Ingredienti – ha concluso don Ciotti - necessari per contrastare mafie e altri parassiti del bene comune, ingredienti che più che mai oggi, nella crisi epocale determinata dal Covid, devono ispirare le nostre azioni, affinché dalla crisi scaturisca una svolta”.

Non posso che concordare con quanto dichiarato da don Ciotti, sperando inoltre che siano realizzati non solo i necessari interventi di contrasto nei confronti delle attività delle mafie, in seguito alla situazione venutasi a creare con la pandemia, ma anche efficaci interventi di prevenzione.