In dieci anni
l’apporto delle multinazionali all’economia italiana ha registrato un netto
aumento. Infatti, nel periodo 2009-2019 il numero dei loro occupati è cresciuto
del 23,6% (+289.000 addetti), raggiungendo 1,5 milioni di dipendenti nel 2019, a fronte di una perdita
complessiva di circa 176.000 unità registrata dal nostro Paese nello stesso
arco temporale.
Questo è quanto emerge del rapporto “Le imprese estere in Italia e i nuovi paradigmi della competitività”, realizzato dall’Osservatorio imprese estere della Confindustria e dalla Luiss , il primo a fornire un quadro completo delle multinazionali in Italia, con un’analisi del loro peso sull’economia italiana, le loro caratteristiche strutturali, il posizionamento all’interno delle catene globali del valore e la loro sensibilità sui temi inerenti alla sostenibilità ambientale.
Dall’analisi emerge come attraverso modelli organizzativi improntati alla gestione manageriale, una corporate governance snella ed efficiente, le grandi dimensioni e l’appartenenza alle catene del valore globali, le multinazionali estere riescano a reagire in maniera più tempestiva alle nuove sfide.
Infatti, queste realtà si sono dimostrate particolarmente resilienti rispetto alla crisi pandemica, durante la quale hanno addirittura aumentato la quota di investimenti immateriali.
Le imprese estere in Italia sono 15.779, lo 0,4% del totale, ma occupano l’8,7% degli occupati (più di 1,5 milioni) per un fatturato pari al 19,3% (624 miliardi di euro) e un valore aggiunto pari al 16,3% (134 miliardi) del totale.
Hanno una spiccata organizzazione manageriale: solo una piccola quota (20,2%) è a conduzione familiare.
Hanno una forte vocazione all’export (anche se pesano molto gli scambi transfrontalieri infragruppo), con quasi un terzo (32,1%) delle vendite all’estero e oltre il 46% delle importazioni italiane.
Prestano una forte attenzione al capitale umano: il 59,6% ha dichiarato di aver effettuato attività formative non obbligatorie.
In dieci anni, è aumentato il valore aggiunto generato dalle multinazionali: con +55 miliardi di euro è passato, appunto, a 134 miliardi di euro, una cifra che corrisponde a quasi il 30% dell’incremento del valore aggiunto sul totale della quota paese.
Ma anche il loro fatturato è cresciuto sensibilmente, passando nel 2019 a 624 miliardi di euro: un aumento del 40,4% che rappresenta il 31% dell’incremento totale del fatturato delle imprese residenti.
Molto rilevante risulta anche il loro contributo per la ricerca e sviluppo che, con 4,3 miliardi di euro nel 2019, rappresenta il 26% del totale della ricerca privata realizzata in Italia e imprime un forte impulso all’innovazione.
Dal rapporto risulta inoltre che i profili delle multinazionali estere presenti in Italia sono coerenti con il nuovo paradigma economico, che coniuga crescita, sviluppo sociale e attenzione all’ambiente.
Obiettivi ben integrati nelle loro strategie di business e di tutte le funzioni aziendali, che portano le imprese estere a svolgere anche un’importante funzione di traino per le piccole e medie imprese e i territori in cui operano.
Le realtà a capitale estero risultano infine particolarmente inclini all’adozione di azioni e comportamenti improntati alla sostenibilità ambientale, determinando un livello di impatto di quasi l’8% in più rispetto alle altre imprese.
Dal rapporto emerge una valutazione completamente positiva del ruolo svolto dalle multinazionali estere in Italia, in contrasto con l’opinione di molti osservatori che invece spesso sono critici soprattutto nei confronti dell’acquisizione di imprese italiane da parte di soggetti esteri.
Probabilmente l’opinione di questi osservatori è in parte sbagliata, come dimostrato soprattutto alcuni dati contenuti nel rapporto, ma potrebbe assumere una valenza positiva se la presenza di imprese estere si verifica in settori considerati strategici, dove non sempre è opportuno, per il perseguimento di obiettivi generali relativi al nostro Paese, che decisioni molto importanti siano prese da soggetti esteri.
Quindi il giudizio sulla presenza di imprese estere in Italia va espresso caso per caso, e il governo se ne deve occupare quanto avviene o dovrebbe avvenire in settori strategici, e non può esimersi dalla necessità che venga garantita anche la presenza di imprese italiane all’estero, talvolta ostacolata.