E’ noto che il
governo cinese spesso vengono violati diritti umani fondamentali. Si pensi a
quanto avviene in Tibet e a Hong Gong. Pochi sanno che un’inaccettabile
repressione viene esercitata nei confronti di una minoranza, musulmana, gli
uiguri, nella provincia dello Xinjiang.
Qual è la situazione degli uiguri? E
soprattutto come si comportano i Paesi occidentali nei confronti del governo
cinese?
Informazioni molto interessanti ed utili
sono contenute in un articolo di Alessia Amighini, pubblicato su www.lavoce.info.
Tra
l’altro, sono stati istituiti dei veri campi di rieducazione in cui molti
uiguri lavorano, in condizioni inaccettabili.
Molti
Paesi, in primo luogo la Germania, hanno fornitori localizzati nella provincia
dello Xinjiang, che utilizzano proprio il lavoro degli uiguri che svolgono le
loro attività in quei campi.
In
passato le aziende tedesche hanno fatto finta di niente.
Ora
c’è una maggiore consapevolezza di quanto avviene agli uiguri, ma non quanto
sarebbe necessario.
Così
scrive Alessia Amighini: “Ma oggi che la Germania si è accorta del pragmatismo
ancor più spietato del capitalismo di stato cinese negli affari, e la questione
è stata formalmente aperta a livello politico, si ritrovano dilaniate da un
dilemma atroce: continuare a rifornirsi anche nello Xinjiang, e quindi perdere
sui mercati occidentali, oppure mostrarsi apertamente a favore dei diritti
umani dei lavoratori uiguri, e quindi perdere sul mercato cinese (che boicotta
immediatamente chiunque si schieri contro le posizioni di Pechino).
La
Cina ha reagito alla decisione europea di applicare delle sanzioni imponendo a
sua volta sanzioni a scienziati, studiosi e membri del Parlamento europeo.
Da
quel momento, la situazione si è fatta ancora più tesa: il 5 maggio, Bruxelles
ha deciso di sospendere la ratifica dell’accordo di protezione degli
investimenti (Cai) tra Ue e Cina. L’intesa è stata firmata alla fine dello
2020, dopo sette anni di negoziati ed è ritenuta uno dei maggiori successi
della presidenza tedesca del Consiglio europeo.
Già
dopo l’introduzione delle sanzioni cinesi contro i parlamentari europei si
poteva dubitare che Parlamento e Consiglio avrebbero ratificato l’accordo, ora
la sospensione rende ancor più complicata la situazione.
Come
se non bastasse, i motivi di conflitto con la Cina crescono.
Il
23 aprile, il governo tedesco ha approvato la ‘seconda legge per aumentare la
sicurezza dei sistemi informatici’.
Il
vero obiettivo è regolamentare il fornitore cinese di comunicazioni mobili
Huawei: non gli sarà impedito di partecipare all’espansione della rete 5G in
Germania, ma saranno poste alte barriere.
In
precedenza, l’ambasciatore di Pechino a Berlino, Wu Ken, aveva apertamente
minacciato che il suo Paese non sarebbe “rimasto a guardare” se Huawei fosse
stata esclusa dalla rete 5G.
Eppure,
nonostante tutto, le relazioni economiche continuano a fiorire e a
intensificarsi.
Nel
2019 (l’ultimo anno con statistiche complete), Pechino è stata il più grande
partner commerciale della Germania per il quarto anno di fila: le case
automobilistiche tedesche vendono più veicoli in Cina che sul territorio
nazionale.
Non
stupisce allora che il ministro degli Esteri Heiko Maas si sia sentito in
dovere di dichiarare, dopo i colloqui con il suo omologo cinese Wang Yi della
scorsa settimana, che, nonostante tutte le sfide, un ‘disaccoppiamento’ di Cina
e Germania sarebbe la strada sbagliata da seguire.
Per
lo stesso motivo, l’Europa tutta non può aderire alla narrativa del ‘disaccoppiamento’
che Donald Trump ha inaugurato e che Joe Biden non ha ancora concretamente
smentito, sebbene siano in schiacciante minoranza le imprese statunitensi che
hanno dichiarato di prendere in considerazione variazioni significative della
loro esposizione verso la Cina.
Al
contempo, però, non è neppure accettabile continuare ad aderire alla narrativa
cinese, quella che Xi avrebbe nuovamente ricordato alla cancelliera Merkel al
telefono prima delle consultazioni intergovernative di inizio aprile.
Secondo
l’agenzia di stampa statale cinese Xinhua, Xi ha chiesto all’Ue di ‘eliminare i
disturbi’ e di ‘raggiungere la sua autonomia strategica’.
Oggi
il trattamento degli uiguri da parte di Pechino è usato dagli Stati Uniti e
dall’Europa in modo totalmente strumentale.
Washington
ha minacciato la possibilità di un boicottaggio delle Olimpiadi invernali del
2022 a Pechino, mentre il Bundestag discuterà a metà maggio se il trattamento
degli uiguri debba essere etichettato come ‘genocidio’ (fattispecie ampiamente
discutibile).
Entrambi
usano la questione uigura per mostrare a Pechino che hanno qualche punto di
forza e non sono totalmente succubi del mercato cinese. Ma Pechino sa bene che
non si tratta di una minaccia credibile.
Intanto,
alcune imprese tedesche hanno chiuso anche l’altro occhio e tolto dai loro siti
le dichiarazioni contrarie all’utilizzo di fornitori dello Xinjiang, per non
subire il boicottaggio dei consumatori cinesi.
Con
buona ‘pace’ delle comunità uigure”.
Quindi
ancora una volta si dimostra che, purtroppo, prima della tutela dei diritti
umani vengono gli interessi economici.