lunedì 31 maggio 2021

Contano solo i soldi

 

Vicende più o meno recenti, il notevole numero dei morti sul lavoro, il crollo del ponte Morandi, dimostrano che in Italia contano sempre di più i soldi. Contano sempre di più gli interessi economici.

Lo dimostra anche la tendenza molto diffusa, nei mesi passati, nella gestione dell’emergenza sanitaria, a richiedere un forte allentamento delle misure restrittive, anche quando ciò sarebbe stato molto rischioso, senza tenere nella giusta considerazione le esigenze della sicurezza.

Certamente, anche alcuni anni, o decenni, fa, gli interessi economici erano fortemente presenti nella società italiana.

Ma, mi sembra, negli ultimi anni, la tutela esclusiva degli interessi economici, personali e di gruppi sociali, è considerevolmente aumentata.

I motivi? Difficile individuarli con precisione.

Ma è già importante riconoscere la gravità della situazione.

E’ auspicabile un cambiamento negli atteggiamenti culturali, nella mentalità degli italiani, per contrastare quella tendenza.

Io, però, sono scettico sul fatto che questo cambiamento possa verificarsi in tempi brevi.

E allora?

Limitandomi ad affrontare solo la questione degli incidenti mortali sul lavoro (considerazioni simili però possono risultare valide anche in altri casi), la via maestra è rappresentata da una forte crescita dei controlli.

Il che significa soprattutto accrescere considerevolmente il numero di coloro che si devono occupare dei controlli ed inoltre non avere remore di alcun tipo nell’intensificare i controlli stessi.

Io, nel breve periodo, non individuo nessuna altra alternativa valida, purtroppo.

giovedì 27 maggio 2021

In forte crescita i cervelli in fuga

 

Non si ferma l'emorragia di studiosi, scienziati, ricercatori dalle università italiane tanto che la Corte dei Conti ha valutato in 8 anni un incremento del 41,8% della cosiddetta “fuga dei cervelli” dall'Italia. Inoltre, secondo il referto sul sistema universitario 2021 in Italia, redatto appunto dalla Corte, la quota dei giovani adulti con una laurea è aumentata costantemente durante l’ultimo decennio, ma è rimasta comunque inferiore rispetto agli altri Paesi dell’Ocse.

Quest’ultimo fenomeno è riconducibile sia alle persistenti difficoltà di entrata nel mercato del lavoro sia al fatto che il possesso della laurea non offre, come invece avviene in area Ocse, possibilità d’impiego maggiori rispetto a quelle di chi ha un livello di istruzione inferiore.

Per quanto riguarda la scelta di molti laureati di lasciare l’Italia è dovuta, secondo la Corte, alle loro limitate prospettive occupazionali, con un’adeguata remunerazione.

Nell’osservare il mancato accesso o l’abbandono dell’istruzione universitaria dei giovani provenienti da famiglie con redditi bassi, la Corte dei conti attribuisce la circostanza, oltre che a fattori culturali e sociali, al fatto che la spesa per gli studi terziari, caratterizzata da tasse di iscrizione più elevate rispetto a molti altri Paesi europei, grava quasi per intero sulle famiglie, vista la carenza delle forme di esonero dalle tasse o di prestiti o, comunque, di aiuto economico per gli studenti meritevoli meno abbienti.

Il referto evidenzia, inoltre, profili di criticità nell’ambito della ricerca scientifica in Italia con particolare attenzione a quella del settore università: “nel periodo 2016-2019 l’investimento pubblico nella ricerca appare ancora sotto la media europea, mentre le attività di programmazione, finanziamento ed esecuzione delle ricerche si caratterizzano per la complessità delle procedure seguite e la duplicazione di organismi di supporto…”

Poi, la notevole percentuale del lavoro precario nel settore della ricerca determina la dispersione delle professionalità formatesi nel settore.

Risultano, poi, ancora poco sviluppati i programmi di istruzione e formazione professionale, le lauree professionalizzanti in edilizia e ambiente, energia e trasporti, ingegneria, e mancano i laureati in discipline Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) e questo incide negativamente sul tasso di occupazione.

Le informazioni contenute nel referto della Corte dei conti non rappresentano, purtroppo, una novità.

I problemi evidenziati, relativi al sistema universitario italiano, sono noti, infatti, ma non si riesce ad affrontarli adeguatamente.

Da tempo si sostiene la necessità di promuovere gli investimenti nella ricerca e nel sistema formativo, in primo luogo in quello universitario.

Ma i risultati ottenuti sono del tutto insufficienti.

Il Recovery Plan potrà contribuire a modificare la situazione esistente?

E’ auspicabile. Sembra che consistenti risorse finanziarie siano destinate ad affrontare i problemi prima citati.

Si tratta di verificare se siano sufficienti e se saranno spese bene.


lunedì 24 maggio 2021

Bene Letta sulla tassa di successione ai giovani ma non basta

 

Il segretario del Pd Enrico Letta ha recentemente avanzato una proposta per dotare di una somma di circa 10.000 euro ogni diciottenne, finanziata incrementando la tassa di successione sui grandi patrimoni.

Vi sono alcuni aspetti positivi della proposta di Letta.

Innanzitutto, la tassa di successione sui grandi patrimoni è in Italia, rispetto ad altri Paesi, particolarmente bassa e innalzarla non è affatto un’eresia, considerando fra l’altro che negli ultimi anni anche in Italia le diseguaglianze economiche sono fortemente aumentate.

Utilizzare per i giovani l’aumento della tassa di successione, poi, è un fatto positivo.

Quindi le critiche, le definirei di natura ideologica, avanzate dalla destra alla proposta di Letta sono infondate, proposta che però rappresenta un timido segnale della volontà del segretario del Pd di attuare una politica a favore dei giovani, normalmente trascurati come molte iniziative governative del recente passato dimostrano, in primo luogo la cosiddetta quota 100 per i pensionamenti anticipati.

Il limite della proposta di Letta è rappresentato dal fatto che dotare di 10.000 euro i diciottenni è del tutto insufficiente.

Per attuare una politica davvero a favore dei giovani serve ben altro.

Si sostiene che nel Recovery Plan già sono previsti interventi rivolti alle giovani generazioni.

Si tratta di verificare con esattezza la loro entità e la loro potenziale efficacia.

Perché ciò che serve soprattutto ai giovani sono interventi finalizzati ad accrescere considerevolmente la loro occupazione, prevalentemente a tempo indeterminato, riducendo in misura notevole la precarietà che caratterizza da tempo il lavoro giovanile ed interventi  che favoriscano la crescita del tasso di natalità, tramite anche l’ampliamento degli assegni e dei servizi sociali riguardanti i figli delle giovani coppie.

Quindi la proposta di Letta assume, in parte, un carattere populista, con pochi effetti pratici.

Peraltro, il giusto aumento della tassa di successione dovrebbe essere inserito in un progetto di riforma fiscale più generale, peraltro richiesto per l’attuazione del Recovery Plan.

giovedì 20 maggio 2021

Ai Paesi occidentali interessa poco degli uiguri

 

E’ noto che il governo cinese spesso vengono violati diritti umani fondamentali. Si pensi a quanto avviene in Tibet e a Hong Gong. Pochi sanno che un’inaccettabile repressione viene esercitata nei confronti di una minoranza, musulmana, gli uiguri, nella provincia dello Xinjiang.

Qual è la situazione degli uiguri? E soprattutto come si comportano i Paesi occidentali nei confronti del governo cinese?

Informazioni molto interessanti ed utili sono contenute in un articolo di Alessia Amighini, pubblicato su www.lavoce.info.

Tra l’altro, sono stati istituiti dei veri campi di rieducazione in cui molti uiguri lavorano, in condizioni inaccettabili.

Molti Paesi, in primo luogo la Germania, hanno fornitori localizzati nella provincia dello Xinjiang, che utilizzano proprio il lavoro degli uiguri che svolgono le loro attività in quei campi.

In passato le aziende tedesche hanno fatto finta di niente.

Ora c’è una maggiore consapevolezza di quanto avviene agli uiguri, ma non quanto sarebbe necessario.

Così scrive Alessia Amighini: “Ma oggi che la Germania si è accorta del pragmatismo ancor più spietato del capitalismo di stato cinese negli affari, e la questione è stata formalmente aperta a livello politico, si ritrovano dilaniate da un dilemma atroce: continuare a rifornirsi anche nello Xinjiang, e quindi perdere sui mercati occidentali, oppure mostrarsi apertamente a favore dei diritti umani dei lavoratori uiguri, e quindi perdere sul mercato cinese (che boicotta immediatamente chiunque si schieri contro le posizioni di Pechino).

La Cina ha reagito alla decisione europea di applicare delle sanzioni imponendo a sua volta sanzioni a scienziati, studiosi e membri del Parlamento europeo.

Da quel momento, la situazione si è fatta ancora più tesa: il 5 maggio, Bruxelles ha deciso di sospendere la ratifica dell’accordo di protezione degli investimenti (Cai) tra Ue e Cina. L’intesa è stata firmata alla fine dello 2020, dopo sette anni di negoziati ed è ritenuta uno dei maggiori successi della presidenza tedesca del Consiglio europeo.

Già dopo l’introduzione delle sanzioni cinesi contro i parlamentari europei si poteva dubitare che Parlamento e Consiglio avrebbero ratificato l’accordo, ora la sospensione rende ancor più complicata la situazione.

Come se non bastasse, i motivi di conflitto con la Cina crescono.

Il 23 aprile, il governo tedesco ha approvato la ‘seconda legge per aumentare la sicurezza dei sistemi informatici’.

Il vero obiettivo è regolamentare il fornitore cinese di comunicazioni mobili Huawei: non gli sarà impedito di partecipare all’espansione della rete 5G in Germania, ma saranno poste alte barriere.

In precedenza, l’ambasciatore di Pechino a Berlino, Wu Ken, aveva apertamente minacciato che il suo Paese non sarebbe “rimasto a guardare” se Huawei fosse stata esclusa dalla rete 5G.

Eppure, nonostante tutto, le relazioni economiche continuano a fiorire e a intensificarsi.

Nel 2019 (l’ultimo anno con statistiche complete), Pechino è stata il più grande partner commerciale della Germania per il quarto anno di fila: le case automobilistiche tedesche vendono più veicoli in Cina che sul territorio nazionale.

Non stupisce allora che il ministro degli Esteri Heiko Maas si sia sentito in dovere di dichiarare, dopo i colloqui con il suo omologo cinese Wang Yi della scorsa settimana, che, nonostante tutte le sfide, un ‘disaccoppiamento’ di Cina e Germania sarebbe la strada sbagliata da seguire.

Per lo stesso motivo, l’Europa tutta non può aderire alla narrativa del ‘disaccoppiamento’ che Donald Trump ha inaugurato e che Joe Biden non ha ancora concretamente smentito, sebbene siano in schiacciante minoranza le imprese statunitensi che hanno dichiarato di prendere in considerazione variazioni significative della loro esposizione verso la Cina.

Al contempo, però, non è neppure accettabile continuare ad aderire alla narrativa cinese, quella che Xi avrebbe nuovamente ricordato alla cancelliera Merkel al telefono prima delle consultazioni intergovernative di inizio aprile.

Secondo l’agenzia di stampa statale cinese Xinhua, Xi ha chiesto all’Ue di ‘eliminare i disturbi’ e di ‘raggiungere la sua autonomia strategica’.

Oggi il trattamento degli uiguri da parte di Pechino è usato dagli Stati Uniti e dall’Europa in modo totalmente strumentale.

Washington ha minacciato la possibilità di un boicottaggio delle Olimpiadi invernali del 2022 a Pechino, mentre il Bundestag discuterà a metà maggio se il trattamento degli uiguri debba essere etichettato come ‘genocidio’ (fattispecie ampiamente discutibile).

Entrambi usano la questione uigura per mostrare a Pechino che hanno qualche punto di forza e non sono totalmente succubi del mercato cinese. Ma Pechino sa bene che non si tratta di una minaccia credibile.

Intanto, alcune imprese tedesche hanno chiuso anche l’altro occhio e tolto dai loro siti le dichiarazioni contrarie all’utilizzo di fornitori dello Xinjiang, per non subire il boicottaggio dei consumatori cinesi.

Con buona ‘pace’ delle comunità uigure”.

Quindi ancora una volta si dimostra che, purtroppo, prima della tutela dei diritti umani vengono gli interessi economici.

lunedì 17 maggio 2021

Il principale risultato di Draghi, la credibilità internazionale

 

Sono passati da poco tre mesi dall’insediamento del governo presieduto da Mario Draghi. Quale il bilancio dei suoi primi 100 giorni? A mio avviso il bilancio è sostanzialmente positivo, per un motivo principale: il notevole aumento della credibilità internazionale dell’Italia.

In realtà è stata la credibilità internazionale di Mario Draghi ad accrescere la credibilità internazionale del nostro Paese.

La manifestazione più evidente della notevole credibilità internazionale di Draghi si è verificata quando, alcuni giorni prima del termine per la presentazione del Recovery Plan italiano all’Unione europea, soprattutto alcuni funzionari dell’Unione avevano avanzato critiche prevalentemente sulle possibilità di attuazione del nostro Piano.

Draghi è intervenuto nei confronti della presidente dalla commissione dell’Unione europea, rilevando che lui stesso si faceva garante dell’attuazione del Piano, soprattutto in relazione all’effettiva realizzazione delle riforme previste, da quella della giustizia a quella della pubblica amministrazione.

E di conseguenza le critiche provenienti dall’Unione europea si sono dissolte.

Ma, in altre occasioni, Draghi ha dimostrato di essere diventato uno dei leader più influenti a livello europeo, ad esempio quanto si è trattato di sollecitare con forza le case farmaceutiche per l’invio in Europa di maggiori dosi dei diversi vaccini.

E, più in generale, Draghi sta dimostrando di essere un leader che punta al rafforzamento delle istituzioni dell’Unione europea, ascoltato anche al di fuori dell’Unione, in primo luogo da parte dell’amministrazione Biden.

Tale notevole credibilità, quanto meno a livello europeo, di Draghi viene, per la verità, agevolata dall’indebolimento di altri leader, la Merkel innazitutto, che non si candiderà più in occasione delle prossime elezioni tedesche, ma anche lo stesso Macron la cui capacità di leadership, all’interno e all’esterno della Francia, è andata diminuendo nel corso degli anni (peraltro tra non molto anche in Francia si svolgeranno nuove elezioni e non è detto che Macron ottenga lo stesso successo ottenuto nelle precedenti consultazioni).

Comunque il bilancio del governo Draghi è positivo anche relativamente ai due principali obiettivi che si proponeva e che si propone: la definizione del Recovery Plan, l’attuazione della campagna vaccinazioni e la gestione dell’emergenza sanitaria, anche perché, come in altri ambiti, Draghi ha cambiato rapidamente la “governance”, cioè i responsabili di settori cruciali per il perseguimento degli obiettivi citati.

Alcuni partiti, in primo luogo la Lega, hanno cercato di frapporre degli ostacoli alle attività del governo, ma fino ad ora con scarsi risultati.

Quindi, a mio avviso, sarebbe auspicabile che il governo Draghi continui fino alla scadenza naturale del Parlamento, fino al 2023 cioè. E affinchè ciò avvenga sarebbe opportuno che Mattarella, se gli verrà proposto davvero, venga rieletto presidente della Repubblica, anche solo per alcuni anni.

E questo non solamente perché Mattarella potrebbe essere sostituito da Draghi, quando eventualmente si dimetterà, ma anche perché l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, nel caso in cui non fosse Mattarella, oltre a far nascere ulteriori ostacoli all’azione del governo, potrebbe indurre all’effettuazione di elezioni anticipate, mentre il termine del 2023 per la durata dell’attuale Consiglio dei ministri sarebbe più che necessario per garantire che alcune scadenze fondamentali per l’attuazione del Recovery Plan siano effettivamente rispettate.

giovedì 13 maggio 2021

Dopo la pandemia meno austerità nell'Unione europea?

 

Il cosiddetto patto di stabilità in seguito alla pandemia è stato sospeso, nei Paesi dell’Unione europea. Cosa succederà al patto dopo la pandemia? Molti osservatori sostengono che le regole del patto dovranno essere cambiate.

Ieri, il presidente Draghi, in una risposta al question-time, alla Camera dei Deputati, è stato esplicito: “ Voglio essere molto chiaro. E’ fuori discussione che le regole sul patto di stabilità dovranno cambiare, ma questo dibattito non è ancora partito.

La mia linea è che le attuali regole sono inadeguate, lo erano e lo sono di più per la uscita dalla pandemia. Dovremo concentrarci su un forte slancio della crescita per assicurare la sostenibilità dei conti pubblici”.

Del resto, in passato, lo stesso Prodi definì quelle regole “stupide”.

Ma cos’è il patto di stabilità o meglio il patto di stabilità e crescita, come fu definito successivamente?

E’ un accordo che fu stipulato nel 1997, nella prospettiva della creazione dell’euro, che conteneva prevalentemente delle regole rigide riguardanti i bilanci pubblici dei Paesi dell’Unione europea.

Dovevano essere rispettati, soprattutto, ben precisi valori relativamente al rapporto tra deficit e Pil e tra debito e Pil.

Queste regole furono criticate da molti, politici ed economisti, soprattutto per la loro rigidità. Ma tali critiche furono respinte soprattutto per la contrarietà manifestata da esponenti politici e non tedeschi.

Sono state appunto sospese in seguito ai pesanti effetti economici negativi causati dalla pandemia che richiedevano, per essere contrastati, una crescita della spesa e del debito pubblici tale da non poter rispettare quelle regole.

Ma cosa succederà quando non ci sarà più la pandemia o meglio quando gli effetti economici negativi da essa causati si saranno considerevolmente attenutati?

Draghi, lo ripeto, è stato chiaro e io concordo pienamente con le sue affermazioni.

In sostanza, sostiene Draghi, la sostenibilità dei conti pubblici dovrà essere ottenuta, soprattutto se non prevalentemente, con una forte crescita economica che inciderà sul denominatore dei due rapporti che costituiscono il fulcro del patto di stabilità: il rapporto deficit pubblico e Pil e il rapporto debito pubblico e Pil.

E io penso che, comunque, non dovrà esserci più la rigidità di eventuali regole che dovessero rimanere in futuro, relativamente ai conti pubblici.

Infatti non tutte le spese pubbliche sono uguali.

Una cosa è la spesa corrente frutto di sperperi e altamente improduttiva.

Altra cosa sono gli investimenti pubblici con un elevato moltiplicatore, che determinano cioè una notevole crescita del Pil.

Utilizzando una nota espressione formulata da Draghi, c’è il debito pubblico buono e quello cattivo.

Ha ragione Draghi, non è ancora iniziato il dibattito su come cambiare, concretamente, le regole del patto di stabilità.

La discussione fin qui manifestatasi ha assunto un carattere generale e generico.

Si è rilevato spesso che le regole del patto di stabilità devono cambiare ma non ci si è soffermati, ancora, sul come devono cambiare.

Io ritengo che, quanto prima, invece, si debba iniziare a discutere su come dovranno cambiare le regole del patto di stabilità.

E io spero che quelle regole mutino radicalmente. 

 

 

 

 


lunedì 10 maggio 2021

55 studentesse afgane uccise a Kabul

 

In seguito ad una serie di esplosioni avvenute, nei giorni scorsi, in una scuola di Kabul, sono state uccise almeno 55 studentesse, di età compresa tra gli 11 e i 15 anni. I responsabili non sono stati ancora individuati. I talebani hanno sostenuto di non essere stati loro gli autori della strage.

55 giovanissime studentesse sono state assassinate in un seguito ad alcune esplosioni avvenute nella stessa scuola.

Una vera e propria vergogna.

Sono state volutamente colpite le ragazze e non i ragazzi perché nell’orario in cui si sono verificate le esplosioni c’era proprio il turno delle studentesse che si recavano in quella scuola.

Peraltro è ben noto che in Afghanistan, soprattutto i talebani, da diversi anni, si sono opposti, anche con la violenza, al diffondersi dell’istruzione fra le donne, anche quelle più giovani.

Questa volta sembra che la responsabilità della strage sia da attribuirsi a un gruppo legato all’Isis.

Ma anche i talebani, in passato, hanno compiuto atti simili.

Una prima considerazione.

I soldati americani e quelli di altri Paesi, tra cui l’Italia, stanno per abbandonare l’Afghanistan.

E ciò è molto preoccupante perchè le autorità afgane sono ancora del tutto inadeguate a contrastare atti di violenza di gruppi, come in primo luogo i talebani, che intendono, con la forza, impossessarsi di nuovo del governo dell’Afghanistan.

Quindi, è lecito attendersi, purtroppo, a meno che non ci sia un ripensamento da parte dei Paesi, che ho prima citato, oppure un maggiore coinvolgimento delle forze delle Nazioni Unite, un’escalation della violenza in Afghanistan che colpisca soprattutto le donne.

Ulteriore considerazione.

I media italiani hanno rivolto scarsa attenzione rispetto a quanto avvenuto. Del resto anche i loro utenti, cioè tutti noi, non siamo granchè interessati a quanto si verifica in Paesi lontani, anche quanto ci si trova di fronte a vere e proprie stragi.

Del resto, non è una novità purtroppo, per noi occidentali vi sono morti di serie A e morti di serie B, e questo atteggiamento si è manifestato anche per quanto concerne la pandemia.

giovedì 6 maggio 2021

Purtroppo la sinistra ha bisogno di Fedez

 

E’ ben nota la vicenda che ha interessato Fedez in occasione del concerto del 1° maggio, le sue affermazioni relative al disegno di legge Zan, nel corso del suo intervento, e il tentativo della Rai di impedire che parte di quelle affermazioni venissero effettuate.

A me non piace molto Fedez, come cantante e non solo.

Ma devo ammettere che la sinistra italiana ha bisogno, purtroppo, di Fedez.

Perché?

Perché sul tema dei diritti civili, e quindi sui contenuti del disegno di legge Zan, la sinistra italiana, in primo luogo il Pd che ne è la componente più importante, è molto timida.

Infatti sul tema dei diritti civili la sinistra italiana si limita a rilevare la necessità che tali diritti si estendano (e talvolta non fa nemmeno questo come per quanto riguarda l’eutanasia) ma non si impegna molto affinchè quei diritti realmente si amplino.

Non è sufficiente rilevare la necessità che sia approvata una legge sullo ius soli o il disegno di legge Zan.

Ma sarebbe indispensabile che il tema dei diritti civili, e quindi anche l’approvazione delle leggi citate, diventi prioritaria in quella che generalmente viene definita l’agenda politica della sinistra e del Pd in primo luogo.

Poiché questo non avviene, occorre affidarsi a Fedez affinchè si critichino fortemente alcune prese di posizioni omofobe di esponenti leghisti, facendo nome e cognome, e affinchè si rilevi con decisione la necessità di approvare in tempi rapidi il disegno di legge Zan.

Oppure si deve fare affidamento, sempre sul tema dei diritti civili, su quanto sostengono, ripetutamente, artisti o esponenti dello spettacolo.

Certo, sarebbe più che opportuno che la politica, e in questo caso soprattutto il Pd, non avesse bisogno, sul tema dei diritti civili, di Fedez e di artisti o esponenti dello spettacolo.

Ma la politica, o meglio i partiti, attualmente sono molto deboli e quindi altri soggetti svolgono un ruolo di supplenza che non dovrebbe loro spettare.

Si verifica la stessa situazione, con protagonisti diversi, verificatasi soprattutto in passato, ma talvolta anche adesso, nella quale era la magistratura a sostituirsi alla politica.

E se ad alcuni non va bene che siano Fedez o altri ad assumere le posizioni che assumono sul tema dei diritti civili, costoro dovrebbero prendersela invece con i partiti che abdicano al loro ruolo.

E riconoscere che i partiti (a me interessa il comportamento di quelli di sinistra o di centrosinistra) si debbano rafforzare, anche adottando comportamenti meno timorosi, pur se devono affrontare problematiche senza dubbio complesse e che possono causare delle opposizioni anche nel proprio elettorato.

Nel frattempo, quindi, volenti o nolenti, ben venga Fedez, purtroppo.

mercoledì 5 maggio 2021

Pochi hanno votato nei congressi del Pd in Umbria. Anche ad Orvieto. Congressi "farsa"?

 

Nei congressi di circolo, recentemente svoltisi in Umbria per l’elezione innanzitutto del segretario regionale ed anche dei segretari provinciali e di quelli comunali, la partecipazione al voto degli iscritti è stata molto bassa. E pertanto è stata messa in discussione, giustamente, anche la validità politica degli stessi risultati dei congressi.

Cosa è avvenuto?

In tutta la regione gli iscritti che hanno votato sono stati circa il 50% degli aventi diritto.

Dati più precisi ed ufficiali ci sono per quanto riguarda la provincia di Terni.

Nei 46 circoli della provincia hanno partecipato al voto1.000 iscritti su 1.817 aventi diritto.

A Terni si sono recati al voto 337 iscritti su 656. Ad Orvieto si sono recati al voto 82 iscritti su 163. A Narni avrebbe votato solo il 9% degli iscritti.

Tale situazione è stata criticata, fra gli altri, da 21 segretari di circolo.

Questi segretari parlano di “situazione drammatica del Pd regionale” e di “triste epilogo”.

Il giudizio sull’esito del congresso “farsa” è durissimo: “Abbiamo assistito a una delle più brutte pagine del partito umbro: non ha vinto nessuno ma ha perso il Pd.

Un risultato che ci delegittima - tutti - nella società umbra”.

I 21 firmatari spiegano che a Perugia “il risultato si aggirerebbe intorno al 30%, come anche ad Assisi e a Foligno. In alcuni comuni del Lago i risultati del candidato unico si attestano tra il 25% e il 35%. A Narni il 9%, a Gualdo Tadino l’1,95%, a Cannara zero votanti”.

Del resto, come avevo rilevato in un precedente post, tali risultati non sorprendono affatto se si considera che l’unica candidatura a segretario regionale rimasta, dopo i ritiri degli altri 3 candidati, quella di Tommaso Bori, era fortemente divisiva e ritenuta fortemente inopportuna da parti significative del Pd umbro.

Aggiungo che la delegittimazione degli eletti deriva non solo dalla bassa partecipazione al voto ma anche dal fatto che, in Umbria, pochi sono gli iscritti al Pd, rispetto solamente a pochi anni fa.

Nel comune di Orvieto, una realtà che conosco in modo più approfondito, gli iscritti sono solo 163, quando alcuni anni fa superavano le 300 unità.

In un commento contenuto in un articolo pubblicato su www.umbria24.it, si rileva: “Insomma, Bori ha di fronte una montagna da scalare tra l’aperta ostilità di pezzi di partito, un’identità politica e programmatica - finora assai incerta - da costruire, una trama da riannodare con elettorato e vasti pezzi di società umbra che ormai sono orientati da un’altra parte, lo scoramento dei circoli e una militanza da rianimare e rilanciare, senza dimenticare la tornata elettorale d’autunno, con appuntamenti pesanti a Spoleto, Assisi, Città di Castello e Amelia”.

I 21 segretari di circolo, di cui ho riferito prima, concludono così le loro valutazioni: “Davanti c’è un grande lavoro di ricostruzione e rigenerazione e una comunità ridotta da rilanciare e aprire, con coraggio, a energie nuove.

Siamo consapevoli delle criticità che ereditiamo e delle complessità emerse in questa fase, ma ci impegniamo a risollevare le sorti di un Pd fiaccato da troppi anni di inattività, scontri e personalismi.

Consapevoli della necessità di ripartire, innanzitutto, dalle idee e dalle proposte per il rilancio della nostra comunità politica sentiamo l’urgenza di lanciare quanto prima due appuntamenti: la conferenza programmatica, sul modello proposto dal segretario nazionale Enrico Letta delle Agorà, e la conferenza di riorganizzazione e comunicazione che rappresentino il primo passo verso un nuovo modello di partito”.

Io concordo con le considerazioni svolte dai 21 segretari di circolo, considerazioni che sono valide anche per quanto riguarda il Pd di Orvieto, al quale sono iscritto.