Un quarto delle
vittime di tratta presunte o identificate in Europa sono minorenni e
l’obiettivo principale dei trafficanti di esseri umani è lo sfruttamento
sessuale. Sulle 20.500 vittime di uno dei sistemi più violenti e senza scrupoli
che si conoscano, registrate nell’Unione europea nel biennio 2015-16, il 56%
dei casi riguarda infatti la tratta a scopo di sfruttamento sessuale, con un
pur consistente 26% legato allo sfruttamento lavorativo, una vittima su 4 ha
meno di 18 anni, 2 su 3 sono donne o ragazze. In Italia le vittime di tratta
accertate sono 1.660, con un numero sempre maggiore di minorenni coinvolti,
cresciuti in un anno dal 9% al 13%.
Queste
e molte altre informazioni sono contenuti
nel rapporto “Piccoli schiavi invisibili 2019”, realizzato da Save the
Children.
La
tendenza allo sfruttamento dei minori è in crescita come confermato degli
operatori del progetto Vie d’Uscita di Save the Children, che nel 2018, in sole
5 regioni, hanno intercettato 2.210 vittime di tratta minori e neo-maggiorenni,
un numero cresciuto del 58% rispetto alle 1.396 vittime del 2017.
Benché
questi dati rappresentino solo la superficie di un fenomeno perlopiù sommerso,
la sempre più giovane età delle vittime e la prevalenza dello sfruttamento di
tipo sessuale trova conferma anche tra i 74 nuovi casi di minori che sono
riusciti a uscire dal sistema di sfruttamento nel 2018 nel nostro Paese e sono
stati presi in carico dai programmi di protezione istituzionale
Uno
su 5, infatti, non supera in età i 15 anni e lo sfruttamento sessuale riguarda
quasi 9 casi su 10.
Le
vittime dello sfruttamento sessuale sono in grande maggioranza di origine
straniera.
Provengono
infatti dalla Nigeria o dai Paesi dell’est europeo e dai Balcani le ragazze che
sono maggiormente esposte al traffico delle organizzazioni e reti criminali che
poi gestiscono in Italia un circuito della prostituzione in continua crescita.
Il
numero delle vittime di tratta minori e neo-maggiorenni intercettate in sole 5
regioni dagli operatori del progetto Vie d’Uscita di Save the Children è
infatti cresciuto del 58%, passando dalle 1.396 vittime del 2017 alle 2.210 nel
2018, mentre i Paesi di origine sono per il 64% la Nigeria e per il 34%
Romania, Bulgaria e Albania.
E’
il riscontro diretto di un fenomeno che, se proiettato su tutte le regioni
italiane, in virtù della sua trasversalità territoriale, indica realisticamente
che i minori o neo-maggiorenni sfruttati sessualmente in Italia sarebbero
diverse migliaia.
“Lo
sfruttamento sessuale di vittime così giovani e vulnerabili lascia nelle loro
vite un segno indelebile con gravissime conseguenze. Anche nel caso più
fortunato di una fuoriuscita, sono diversi gli ostacoli che le giovanissime
vittime devono superare durante il percorso di inclusione e integrazione
indispensabile per poter costruire un futuro dignitoso e autonomo.
Sono
molte le testimonianze dirette in questo senso delle realtà che operano sul
territorio che abbiamo voluto mettere in evidenza nel rapporto. Siamo impegnati
da anni sul campo In Italia, con l’obiettivo di costruire relazioni di
collaborazione sempre più forti con le organizzazioni e associazioni presenti
sul territorio, e con le istituzioni ad ogni livello, per scongiurare il
pericolo che la rete di intervento e protezione non riesca a trattenere proprio
le vittime più fragili.
Un
fenomeno di questa gravità e di queste proporzioni necessita infatti di un
intervento nazionale coordinato tra tutti gli attori, in grado di garantire gli
standard necessari ad una vera e propria azione di prevenzione, che deve
scattare con tempestività appena le potenziali vittime entrano nel nostro
Paese, e deve anche fornire i mezzi più efficaci per promuovere la fuoriuscita
delle vittime e il loro percorso di integrazione,” ha dichiarato Raffaela
Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children.
Il
business della tratta internazionale a scopo di sfruttamento sessuale in Italia
si basa su un sistema in continua evoluzione, che si adatta al mutare delle
condizioni.
Ad
esempio, l’adescamento con la falsa promessa di un lavoro in Italia di vittime
anche giovanissime nella Nigeria del sud, dove prevalgono condizioni di povertà
e scarsa scolarizzazione, avveniva in gran parte a Benin City (Edo State), ma
sembra essersi spostato più a sud, nel Delta State, anche per ovviare agli
effetti di un editto della massima autorità religiosa del popolo Edo.
Le
ragazze e le donne nigeriane, una volta giunte in Italia, dopo un viaggio
attraverso la Libia e via mare dove subiscono abusi e violenze, devono
restituire alla maman, la figura femminile che gestisce il loro sfruttamento,
un debito di viaggio che raggiunge i 30.000 € e sono costrette a “lavorare”
fino a 12 ore tutte le notti, anche per 10-20 € a prestazione, raccogliendo dai
300 ai 700 € al giorno.
Buona
parte dei soldi servono però per pagare vitto, alloggio e vestiti, spesso anche
per l’affitto del posto in strada dove si prostituiscono, e l’estinzione del
debito diventa così quasi irraggiungibile. Il controllo delle vittime da parte
dei trafficanti è assoluto e violento.
I
trafficanti hanno inoltre spostato il circuito della prostituzione dai luoghi
più facilmente identificabili, come le piazzole lungo le provinciali o le
maggiori arterie stradali, verso luoghi “meno visibili”, il cosiddetto giro
walk, come le fermate dei bus o i parchi, oppure all’interno delle case, che in
alcuni casi sono connection-house, gestite e frequentate prevalentemente da
connazionali, come quelle segnalate dagli operatori in Campania e Piemonte.
Sulle
nostre strade è rimasta invece costante la presenza di ragazze di origine
rumena o bulgara, ma si segnala un aumento delle ragazze di origine albanese,
un ritorno, che riguarda anche i gruppi criminali albanesi in Italia, secondi
solo a quelli nigeriani.
Il
reclutamento delle vittime nei Paesi di origine avviene con metodi sempre più
efficaci, come ad esempio in Romania, dove diverse testimonianze di vittime
raccolte in Italia hanno rilevato l’esistenza di “sentinelle” dei
trafficanti che individuano in anticipo negli orfanotrofi le ragazze che stanno
per lasciare le strutture al compimento dei 18 anni, e mettono in atto un
adescamento basato - come per tutte le connazionali - su finte promesse d’amore
e di un futuro felice in Italia, facendo leva sulla loro condizione di
deprivazione affettiva.
“Un
sistema di tratta degli esseri umani così forte e spietato nei confronti di
ragazze quasi bambine e giovani donne, in grado di adattarsi e modificare il
proprio operato per rimanere sommerso, rende più che mai necessario incentivare
e rafforzare la cooperazione con i Paesi di origine e di transito, al fine di
rafforzare la lotta alla tratta in quanto crimine internazionale e
transnazionale.
In
Italia occorre intensificare l’azione congiunta, anche promuovendo la
definizione e adozione di protocolli e convenzioni per l’individuazione precoce
delle vittime di tratta, sulla base di un approccio multi-agenzia che coinvolga
tutti gli attori territoriali interessati, quali forze di pubblica
sicurezza,
enti giudiziari, enti locali, enti gestori dei centri di accoglienza, commissioni
territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.
Ogni
singola vittima va aiutata a fruire pienamente del sistema di protezione
istituzionale per sottrarsi ai propri aguzzini” ha sottolinea Antonella
Inverno, responsabile politiche per l’infanzia di Save the Children Italia.
La
risposta del sistema italiano di tutela delle vittime di tratta è ancora
frammentaria ed è necessario potenziarla, come rilevato anche dal gruppo di esperti
del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani (Greta) che
nel 2018 ha condotto una missione di valutazione del quadro normativo e
istituzionale nel nostro Paese rispetto all’applicazione della convenzione
europea in materia.
Molti
passi devono inoltre ancora essere fatti per potenziare la prevenzione e
l’emersione del fenomeno attraverso una formazione specifica dei funzionari
delle forze dell'ordine, il personale della polizia di frontiera, i
professionisti che lavorano nei punti di sbarco e nella prima accoglienza dei
migranti e dei richiedenti asilo, dei procuratori, dei giudici, dei funzionari
dell'asilo, degli assistenti sociali, degli ispettori del lavoro, degli
avvocati, degli esperti dell’infanzia e degli operatori sanitari.
“Non
si può ignorare - ha aggiunto Raffaela Milano - il fatto che il fiorente
mercato dello sfruttamento sessuale delle minorenni in Italia è legato alla
presenza di una forte “domanda” da parte di quelli che ci rifiutiamo di
definire “clienti”, i quali sono parte attiva del processo di sfruttamento.
E’
necessario rafforzare l’azione di contrasto e, allo stesso tempo, promuovere
iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica e in particolare i più
giovani sui danni gravissimi che questo mercato provoca sulle ragazze che ne
sono vittima”.
“Il
fenomeno della tratta e del grave sfruttamento di esseri umani, in particolare
di minori, rappresenta una sfida più che attuale per le autorità italiane. Lo
sfruttamento sessuale delle donne e delle ragazze originarie della Nigeria, dei
Balcani e dei Paesi dell’Est Europa continua a essere perpetrato e si adatta ai
tempi.
Al
suo mutare emergono nuove criticità, mentre altre, che già esistevano,
rischiano di diventare croniche. Intercettare e intervenire sulle criticità che
gli operatori incontrano sia nell’aggancio, che nel sostegno delle vittime
durante il loro percorso di fuoriuscita dalla situazione di assoggettamento, e
di integrazione poi, è fondamentale per garantire a queste donne, talvolta
giovanissime, la possibilità di immaginare nel nostro Paese un futuro diverso,
lontano da violenza e sfruttamento” ha conclude Raffaela Milano.