Il governo
formato dal Pd e dal Movimento 5 Stelle sembra cosa fatta. Al momento si attende
l’esito del voto degli iscritti al Movimento utilizzando la piattaforma Rousseau. Nel gruppo dirigente del Pd l’unico
esponente di rilievo decisamente contrario alla nascita di questo governo è
stato Calenda, che ha anche deciso di lasciare il Pd. Le sue considerazioni mi
sembrano molto interessanti e in gran parte condivisibili.
Per
questo ho deciso di pubblicare integralmente la lettera di Calenda a Zingaretti
e Gentiloni, rispettivamente segretario e presidente del Pd.
“Caro Nicola, Caro Paolo,
vi prego di voler accettare le mie dimissioni dalla
Direzione Nazionale del Partito Democratico.
E’ una decisione difficile e sofferta. Nell’ultimo
anno e mezzo ho sentito profondamente l’appartenenza a un partito che, per
quanto diviso e disorganizzato, consideravo l’ultimo baluardo del riformismo in
Italia. Per questo mi sono iscritto al Pd all’indomani della sconfitta più
pesante mai subita dal centrosinistra.
In questi mesi ho cercato di dare in tutti i modi un
contributo di idee e di iniziativa politica. Insieme ci siamo battuti alle
elezioni di maggio con coraggio e coesione, raggiungendo un risultato non
scontato. È stata un’esperienza entusiasmante.
Ho scoperto la tenacia di una comunità di elettori e
militanti pronta a combattere per lo Stato di diritto e per la permanenza
dell’Italia tra i grandi paesi europei; nonostante tutto e spesso nonostante il
partito.
Dal giorno della mia iscrizione ho chiarito che non
sarei rimasto nel partito in caso di un accordo con il M5S.
La ragione è semplice: penso che in democrazia si
possano, e talvolta si debbano, fare accordi con chi ha idee diverse, ma mai con
chi ha valori opposti. Questo è il caso del M5S.
Le ragioni le abbiamo spiegate ai nostri elettori
talmente tante volte che non vale la pena ripeterle qui.
Non saranno 5 o 10 punti generici a far mutare natura
a chi è nato per smantellare la democrazia rappresentativa cavalcando le
peggiori pulsioni antipolitiche e cialtronesche di questo Paese.
Sapete bene che nulla abbiamo in comune con Grillo,
Casaleggio e Di Maio. Ed è significativo il fatto che il negoziato non abbia
neanche sfiorato i punti più controversi: dall’Ilva alla Tav, da Alitalia ai
navigator.
Un programma nato su omissioni di comodo non è un
programma, è una scusa. Eviterò di commentare la decisione di cedere al diktat
del M5S su Conte. In fondo esiste una perversa coerenza nella scelta di questo
nome per guidare un Governo nato dal trasformismo.
Nelle ultime ore siamo arrivati persino ad accettare
un giudizio sull’accordo di Governo da una piattaforma digitale privata che
abbiamo sempre giustamente considerato eversiva e antidemocratica.
Nell’ultimo anno sono stato molte volte in disaccordo
con le decisioni del Partito, ma ho sempre rispettato il volere della
maggioranza. Questo caso è differente. Stringendo l’alleanza con il M5S, il Pd
rinuncia a combattere per le sue idee e i suoi valori. E questo non posso
accettarlo.
Fino a qualche giorno fa ero solo uno dei tanti a
pensarla in questo modo.
Dirigenti, parlamentari, leader passati e presenti,
hanno reiterato per molto tempo la stessa promessa: senza di me, mai con i 5S!
Fino a trenta giorni fa, quando la crisi del Governo Conte era già manifesta.
Nella direzione del 26 luglio abbiamo votato all’unanimità la relazione del
Segretario che indicava chiaramente nelle elezioni l’unico percorso da seguire
in caso di caduta dell’esecutivo.
Cito le tue parole Nicola: ‘confermo che nel caso si
arrivasse a una crisi di governo la nostra posizione era, è e sarà sempre la
stessa: di fronte a una crisi di queste proporzioni la via maestra sono le
elezioni anticipate, non esiste alcuna ipotesi di alleanza con i 5S’.
Persino nel Paese delle amnesie di comodo e del
trasformismo fa impressione pensare che quella decisione della direzione sia
stata archiviata, poche ore dopo l’apertura informale della crisi di Governo,
con un’intervista che ha poi determinato una precipitosa inversione di rotta di
tutta la nostra leadership.
Come può un partito privo di coerenza, processi
decisionali effettivi e rispetto per le determinazioni assunte dai propri
organi dirsi davvero tale?
Il Pd può trovare una momentanea unità sulla base di
una convergenza di interessi individuali, ma continua a essere più interessato
ai regolamenti di conti che a combattere contro i suoi avversari. Per questo
non si riesce a far stare seduti nella stessa stanza i leader delle varie
correnti.
Mi domando come possiate pensare di affrontare un
Governo con i 5S, in un momento così difficile per tutto l’Occidente, con un
partito già sostanzialmente in pezzi e pronto a esplodere in ogni istante al
manifestarsi di convenienze personali.
E del resto veleni, accuse, veline e tentativi di
delegittimazione non sono mancati anche durante la delicatissima trattativa per
la formazione del Governo. Il combinato disposto della debolezza del Pd e delle
profonde differenze con i 5S non porterà nulla di buono all’Italia e al
partito.
Ma non è solo per ragione di coerenza o di serietà che
avremmo dovuto scegliere la strada delle elezioni.
Dare vita in questo modo a un Governo con Grillo e
Casaleggio vuol dire rinunciare a fare politica. I progressisti vengono
sconfitti in tutto il mondo perché negli ultimi trent’anni non hanno visto il
prodursi di una frattura profondissima tra progresso e società. Il nostro
futuro dipende dalla capacità di capire cosa è accaduto e proporre una visione
e un progetto adatto ai tempi. Da qui non si scappa e non si può scappare.
Rifugiarsi in un confortevole quanto generico
antifascismo per nascondere la mancanza di pensiero, la spinta
all’autopreservazione e la paura di perdere, è una scorciatoia che non servirà
a battere la destra. Al contrario, ne accrescerà la forza.
Senza dubbio l’apertura ai 5S ha spiazzato Salvini,
costringendolo ad una precipitosa ritirata. Ma è stata solo una ‘vittoria di
Pirro’ ottenuta ad un prezzo esorbitante. Abbiamo rimesso al centro della scena
il M5S - che infatti sta già ricrescendo nei sondaggi - e confermato nei
cittadini l’idea che siamo pronti a tutto pur di ritornare al Governo.
C’è un errore profondo che la diffusa soddisfazione,
anche di una parte della nostra base, per questo accordo nasconde.
E’ il pensiero che il nemico da battere sia sempre una
persona. Un errore già commesso con Berlusconi. Salvini è un contenitore vuoto
che si riempie delle paure e delle inquietudini degli italiani. Finché non ci
occuperemo del contenuto non torneremo a vincere. E quella che abbiamo
intrapreso non è la strada giusta.
Chi governa viene punito anche se governa bene, lo
sappiamo per esperienza recente. Come potete sperare che un esecutivo con i 5S
non produrrà un’ulteriore perdita di consenso?
Spero di sbagliare, per il bene del paese e del
Partito, e nel caso sarò felice di ammetterlo. Sarà certamente un sollievo per
me e per tanti nostri elettori vedere colleghi di partito e dei Governi passati
prendere il posto dei ministri leghisti. Un sollievo momentaneo purtroppo.
Il punto politico rimarrà: in che modo una comunità
avvelenata dalla convinzione di non poter vincere, in primo luogo proprio dai
leader che dovrebbero guidarla e motivarla, potrà ritrovare la strada per la
vittoria? Il confronto con i sovranisti è appena alle prime battute, lo stiamo
iniziando con una fuga disordinata e disonorevole.
Si fa poi nuovamente largo nella ‘classe dirigente’ di
questo paese – deep state, sindacati, associazioni industriali, etc. - l’idea
che si debbano preservare i cittadini italiani da loro stessi.
Ripetiamo gli errori che hanno provocato la crisi
italiana. Stessa attitudine mostrano i nostri partner europei, che non da oggi
considerano l’Italia un fastidioso problema da tenere sotto controllo.
Ma tentare di difendere la democrazia dalla democrazia
conduce solo al populismo e al discredito delle istituzioni democratiche. Gli
italiani devono poter scegliere e poi confrontarsi con gli effetti delle loro
scelte. Senza consapevolezza e responsabilizzazione non smonteremo gli alibi di
cui i sovranisti si nutrono.
Le elezioni sarebbero state una sfida difficile. Un
Governo di destra appariva senz’altro l’esito più probabile. Più probabile, ma
non certo. Abbiamo visto in altri paesi europei come la vittoria della destra,
data per certa nei sondaggi, sia stata poi smentita nelle urne. Sarebbe stata
una bella battaglia. Avremmo chiamato alla mobilitazione l’Italia seria, quella
che lavora, produce, studia e fatica. Da quella sfida saremmo usciti comunque
più forti e coesi.
So che condividete queste riflessioni. Ne abbiamo
parlato tante volte. E comprendo le condizioni difficilissime in cui vi siete
trovati ad agire. Anche per questa ragione sono rimasto in silenzio fino
all’apertura delle consultazioni.
Ma non posso far finta di non vedere la responsabilità
che vi siete assunti rinunciando a guidare il partito nella direzione che
ritenevate giusta per paura di perderlo.
Lascio una dirigenza di cui non mi sento più parte,
non una comunità che sono orgoglioso di rappresentare. Le 280.000 persone che
mi hanno accordato il loro voto di preferenza alle elezioni europee sapevano
perfettamente come mi sarei comportato in caso di accordo con i 5S. A loro devo
innanzitutto coerenza.
Lavorerò in Europa nel gruppo SeD, mentre in Italia
rafforzerò Siamo Europei per dare una casa a chi vuole produrre idee concrete
per una democrazia liberal-progressista adatta a tempi più duri e non ha paura
del confronto con i sovranisti. Cercherò di mobilitare forze nuove. La mancanza
di decoro generalizzata degli attori di questa crisi dimostra chiaramente che
c’è l’urgenza di chiamare all’impegno una nuova classe dirigente.
Le elezioni arriveranno. Le avete solo spinte più in
là di qualche metro. Quando sarete pronti a lottare ci troveremo di nuovo dalla
stessa parte.
Con amicizia,
Carlo Calenda”