mercoledì 26 ottobre 2016

Contro la disoccupazione aumentare la produttività. Ma come?

La crescita economica è insufficiente, in Italia, per consentire una forte riduzione della disoccupazione, soprattutto quella giovanile, come necessario. In sostanza il Pil sta crescendo di meno rispetto al tasso di aumento medio dei Paesi dell’Unione europea. Per fare in modo che il Pil cresca in misura decisamente maggiore sarebbe indispensabile un consistente aumento della produttività.

Ma la produttività cresce poco, in Italia, da molti anni ormai.

E rilevare che la produttività in Italia debba crescere di più, significa che occorre aumentare il prodotto potenziale, cioè il Pil che si può ottenere con una determinata dotazione dei principali fattori produttivi, lavoro e capitale.

A questo punto è bene precisare che per produttività si intende il rapporto tra il prodotto, o meglio il Pil, e la quantità utilizzata di un fattore produttivo. Generalmente quando si fa riferimento alla produttività si intende la produttività del lavoro - considerando quindi un solo fattore produttivo - oppure la produttività totale, prendendo in esame cioè tutti i fattori produttivi e quindi, di fatto, sia il lavoro che il capitale.

E’ necessario precisare che in realtà, in Italia, si è verificato un vero e proprio ristagno della produttività - nel senso che o la produttività è cresciuta pochissimo oppure è rimasta stabile - a partire dal 1995.

Sono quindi più di 20 anni che si verifica tale ristagno della produttività, mentre, in precedenza, la produttività cresceva, anche a tassi piuttosto elevati.

Quindi, il ristagno della produttività può essere ritenuto, purtroppo, ormai, un carattere strutturale del sistema economico italiano e, pertanto, per modificarlo, è necessario attuare una politica organica e complessa.

Non si può pensare che singoli interventi, seppur utili, possano essere sufficienti per accrescere considerevolmente la produttività, anche se singoli interventi devono essere realizzati, se si vuole ottenere dei risultati anche nel breve periodo.

Quando però si rileva la necessità di accrescere la produttività in Italia, ci si deve confrontare con un problema non certo di lieve entità: anche tra gli economisti le opinioni sulle cause che hanno determinato il ristagno della produttività sono tutt’altro che concordi.

Luca Ricolfi, in un recente articolo pubblicato su “Il Sole 24 ore”, ha sostenuto che, tra gli economisti, esistono almeno dieci spiegazioni, diverse, su quelle cause.

E’ del tutto evidente che se le opinioni circa le cause che hanno determinato e che determinano il ristagno della produttività sono così diverse, risulta difficile individuare anche gli interventi da realizzare per accrescere la produttività.

Ricolfi ha una sua tesi ben precisa e così scrive per individuare gli interventi da promuovere: “…è il complesso delle esternalità e di contesto, che rendono possibile una vita economica fluida e dinamica: una burocrazia efficiente e non pervasiva, una giustizia civile veloce, norme chiare e facili da applicare, adempimenti snelli e non troppo numerosi, poteri amministrativi ben delimitati, percorsi autorizzativi lineari, ragionevole stabilità delle leggi, dei regolamenti e della normazione secondaria, tempi certi per aprire un’attività, o anche semplicemente per ottenere un allacciamento telefonico. Ma anche: investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, sostegno alla ricerca, valorizzazione della conoscenza (a partire da scuola e università)…”.

E Ricolfi, per avvalorare la sua testi, aggiunge che è proprio a partire dal 1995 che ha avuto inizio il cosiddetto federalismo fiscale, la cui conseguenza più importante, in quanto ha impedito o quanto meno ostacolato l’attuazione degli interventi prima evidenziati, è stata “l’immane moltiplicazione dei centri di decisione, dei soggetti coinvolti nei processi politici, degli adempimenti degli operatori economici, una pessima (perché confusa) ridefinizione dei compiti dei vari apparati della Pubblica Amministrazione, con conseguente proliferazione dei conflitti tra poteri pubblici, un dannosissimo allungamento dei percorsi autorizzativi a tutti i livelli e per tutti i tipi di soggetti…”.

Insomma Ricolfi sostiene che solo con una profonda riforma delle pubbliche amministrazioni si puo’ raggiungere l’obiettivo di un incremento rilevante della produttività.

La tesi di Ricolfi mi convince, ma mi sembra che un riforma delle pubbliche amministrazioni della portata da lui ritenuta necessaria non potrà che realizzarsi solamente, quanto meno, nel medio periodo.

E nel frattempo?

Si possono innanzitutto realizzare interventi di riforma delle pubbliche amministrazioni di minore rilievo, sebbene in linea con il processo di cambiamento ritenuto necessario da Ricolfi. E questo sta già avvenendo, sebbene troppo lentamente e quindi occorre quanto meno accelerare non solo la definizione ma soprattutto l’attuazione dei singoli interventi di riforma.

E poi promuovere altri cambiamenti nel comportamento delle pubbliche amministrazioni che possono produrre effetti anche nel breve periodo. Mi riferisco alla necessità di accrescere gli investimenti pubblici, in infrastrutture materiali ed immateriali - punto questo peraltro evidenziato anche da Ricolfi - e di ridurre i tempi di esecuzione di tali investimenti.

Nella consapevolezza però che risulta necessario anche un abbandono della politica di austerità, fin qui promossa dall’Unione europea, ed inoltre una maggiore dotazione di risorse finanziarie da parte della stessa Unione, per progetti infrastrutturali la cui realizzazioni sia promossa o dagli organi dell’Unione o dai singoli governi.

Ed infine l’attuazione da parte degli imprenditori privati di una politica di investimenti più incisiva, molto più consistente, il cui verificarsi non dipende solo, anche ma non solo, da una politica economica che la favorisca, ma, in primo luogo, da un comportamento degli imprenditori più dinamico ed innovativo. 

domenica 23 ottobre 2016

Bergoglio non vuole incontrare il Dalai Lama. E il dialogo interreligioso?


Il Dalai Lama ha recentemente ricevuto la cittadinanza onoraria di Milano. Alcuni rappresentanti della comunità cinese hanno protestato. E’ noto che da tempo la Cina sta attuando una politica di “cinesizzazione” del Tibet. Non intende garantire alcuna autonomia al popolo tibetano. Chissà se anche il Papa è contrario all’attribuzione della cittadinanza onoraria di Milano al Dalai Lama?

Non mi stupirei se Bergoglio fosse contrario all’attribuzione di quelle onorificenza al Dalai Lama.

Infatti Bergoglio non ha voluto mai incontrare il Dalai Lama.

Tutto ciò nonostante il Papa si dica favorevole a promuovere il dialogo interreligioso.

Recentemente, in occasione dei 30 anni dall’incontro di Assisi, il Dalai Lama, una delle maggiori autorità del buddismo, non è stato invitato dal Papa a partecipare al nuovo incontro interreligioso tenutosi, sempre nella città umbra, nello scorso mese di settembre.

Del resto, nel 2014, Bergoglio non incontrò il Dalai Lama quando venne a Roma, nel 2014, in occasione del “summit” dei Nobel per la Pace.

Evidentemente il Papa teme, incontrando il Dalai Lama, di alienarsi le simpatie del governo cinese, governo che non vuole concedere al Tibet alcuna autonomia e, pertanto, sta attuando, nei confronti dei tibetani che non sono d’accordo con questa politica dei cinesi, un’azione di repressione, calpestando i più elementari diritti umani.

Quindi a Bergoglio non sembrano interessare le legittime aspettative del popolo tibetano ma, piuttosto, le pretese del governo cinese.

Quando il Papa non incontrò a Roma il Dalai Lama, Piergiorgio Odifreddi così commentò la decisione di Bergoglio, in una nota dal titolo piuttosto emblematico “Il coraggioso Papa non riceve il Dalai Lama”.

I lettori di questo blog sanno quanto sono stato in disaccordo con Grillo, su innumerevoli questioni. Non è dunque per ‘grillismo’, che riprendo qui il suo post di oggi sul suo sito, ma solo perché lo condivido ‘in toto’, e non saprei dir meglio di lui:

‘Il Dalai Lama è stato in questi giorni a Roma per il XIV summit dei Nobel per la Pace, previsto in Sudafrica prima che negassero il visto al Dalai Lama per non irritare la Cina.

I tibetani hanno fatto un tentativo per incontrare il Papa che si è negato. Un atteggiamento politico e non evangelico.

Questo Papa ha ricevuto tutti, ma proprio tutti, a partire da Balotelli con cui ha avuto anche un breve colloquio privato. Evidentemente il Dalai Lama non aveva segnato due gol alla Germania.

Oltretevere spiegano che non si vuole entrare nelle ‘tensioni’ fra il leader tibetano e Pechino.

Questo pontefice è stato il primo che ha potuto attraversare lo spazio aereo cinese. Francesco ha detto ‘Se andrei in Cina? Ma sicuro, domani!’. Un dialogo epocale tra realtà millenarie da non mettere in discussione.

Il Dalai Lama può attendere insieme al Tibet’”.

E in questo caso io sono d’accordo sia con Odifreddi che con Grillo (peraltro non so se nel frattempo Grillo abbia cambiato opinione, Odifreddi non credo proprio).