La crescita economica è insufficiente, in Italia, per consentire una forte
riduzione della disoccupazione, soprattutto quella giovanile, come necessario.
In sostanza il Pil sta crescendo di meno rispetto al tasso di aumento medio dei
Paesi dell’Unione europea. Per fare in modo che il Pil cresca in misura
decisamente maggiore sarebbe indispensabile un consistente aumento della
produttività.
Ma la produttività cresce poco, in Italia, da molti anni ormai.
E rilevare che la produttività in Italia debba crescere di più, significa
che occorre aumentare il prodotto potenziale, cioè il Pil che si può ottenere
con una determinata dotazione dei principali fattori produttivi, lavoro e
capitale.
A questo punto è bene precisare che per produttività si intende il rapporto
tra il prodotto, o meglio il Pil, e la quantità utilizzata di un fattore
produttivo. Generalmente quando si fa riferimento alla produttività si intende
la produttività del lavoro - considerando quindi un solo fattore produttivo -
oppure la produttività totale, prendendo in esame cioè tutti i fattori
produttivi e quindi, di fatto, sia il lavoro che il capitale.
E’ necessario precisare che in realtà, in Italia, si è verificato un vero e
proprio ristagno della produttività - nel senso che o la produttività è cresciuta
pochissimo oppure è rimasta stabile - a partire dal 1995.
Sono quindi più di 20 anni che si verifica tale ristagno della
produttività, mentre, in precedenza, la produttività cresceva, anche a tassi
piuttosto elevati.
Quindi, il ristagno della produttività può essere ritenuto, purtroppo,
ormai, un carattere strutturale del sistema economico italiano e, pertanto, per
modificarlo, è necessario attuare una politica organica e complessa.
Non si può pensare che singoli interventi, seppur utili, possano essere
sufficienti per accrescere considerevolmente la produttività, anche se singoli
interventi devono essere realizzati, se si vuole ottenere dei risultati anche
nel breve periodo.
Quando però si rileva la necessità di accrescere la produttività in Italia,
ci si deve confrontare con un problema non certo di lieve entità: anche tra gli
economisti le opinioni sulle cause che hanno determinato il ristagno della
produttività sono tutt’altro che concordi.
Luca Ricolfi, in un recente articolo pubblicato su “Il Sole 24 ore”, ha
sostenuto che, tra gli economisti, esistono almeno dieci spiegazioni, diverse,
su quelle cause.
E’ del tutto evidente che se le opinioni circa le cause che hanno
determinato e che determinano il ristagno della produttività sono così diverse,
risulta difficile individuare anche gli interventi da realizzare per accrescere
la produttività.
Ricolfi ha una sua tesi ben precisa e così scrive per individuare gli
interventi da promuovere: “…è il complesso delle esternalità e di contesto, che
rendono possibile una vita economica fluida e dinamica: una burocrazia
efficiente e non pervasiva, una giustizia civile veloce, norme chiare e facili
da applicare, adempimenti snelli e non troppo numerosi, poteri amministrativi
ben delimitati, percorsi autorizzativi lineari, ragionevole stabilità delle
leggi, dei regolamenti e della normazione secondaria, tempi certi per aprire
un’attività, o anche semplicemente per ottenere un allacciamento telefonico. Ma
anche: investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, sostegno alla
ricerca, valorizzazione della conoscenza (a partire da scuola e università)…”.
E Ricolfi, per avvalorare la sua testi, aggiunge che è proprio a partire
dal 1995 che ha avuto inizio il cosiddetto federalismo fiscale, la cui
conseguenza più importante, in quanto ha impedito o quanto meno ostacolato
l’attuazione degli interventi prima evidenziati, è stata “l’immane
moltiplicazione dei centri di decisione, dei soggetti coinvolti nei processi
politici, degli adempimenti degli operatori economici, una pessima (perché
confusa) ridefinizione dei compiti dei vari apparati della Pubblica
Amministrazione, con conseguente proliferazione dei conflitti tra poteri
pubblici, un dannosissimo allungamento dei percorsi autorizzativi a tutti i
livelli e per tutti i tipi di soggetti…”.
Insomma Ricolfi sostiene che solo con una profonda riforma delle pubbliche
amministrazioni si puo’ raggiungere l’obiettivo di un incremento rilevante
della produttività.
La tesi di Ricolfi mi convince, ma mi sembra che un riforma delle pubbliche
amministrazioni della portata da lui ritenuta necessaria non potrà che
realizzarsi solamente, quanto meno, nel medio periodo.
E nel frattempo?
Si possono innanzitutto realizzare interventi di riforma delle pubbliche
amministrazioni di minore rilievo, sebbene in linea con il processo di
cambiamento ritenuto necessario da Ricolfi. E questo sta già avvenendo, sebbene
troppo lentamente e quindi occorre quanto meno accelerare non solo la
definizione ma soprattutto l’attuazione dei singoli interventi di riforma.
E poi promuovere altri cambiamenti nel comportamento delle pubbliche
amministrazioni che possono produrre effetti anche nel breve periodo. Mi
riferisco alla necessità di accrescere gli investimenti pubblici, in
infrastrutture materiali ed immateriali - punto questo peraltro evidenziato
anche da Ricolfi - e di ridurre i tempi di esecuzione di tali investimenti.
Nella consapevolezza però che risulta necessario anche un abbandono della
politica di austerità, fin qui promossa dall’Unione europea, ed inoltre una
maggiore dotazione di risorse finanziarie da parte della stessa Unione, per
progetti infrastrutturali la cui realizzazioni sia promossa o dagli organi
dell’Unione o dai singoli governi.
Ed infine l’attuazione da parte degli imprenditori privati di una politica
di investimenti più incisiva, molto più consistente, il cui verificarsi non
dipende solo, anche ma non solo, da una politica economica che la favorisca,
ma, in primo luogo, da un comportamento degli imprenditori più dinamico ed innovativo.