E’ stato recentemente presentato a Roma il rapporto 2016-2017 di Amnesty
International, che contiene una dettagliata analisi della situazione dei
diritti umani in 159 Paesi e segnala che gli effetti della retorica del “noi
contro loro”, che sta dominando l'agenda in Europa, negli Usa e altrove nel
mondo, stanno favorendo un passo indietro nei confronti dei diritti umani e
rendendo pericolosamente debole la risposta globale alle atrocità di massa.
Anche quest’anno nel rapporto c’è un capitolo sull’Italia.
Nel corso della presentazione, il presidente della sezione italiana di
Amnesty, Antonio Marchesi, si è occupato della situazione dei diritti umani nel
nostro Paese, così come descritta nel rapporto.
Ho ritenuto opportuno di riportare alcune parti di quanto dichiarato da
Marchesi, a questo proposito.
“Nel nostro Paese, non possiamo non constatare che quella retorica
divisiva, del ‘noi contro loro’, è spesso presente nei discorsi di alcuni
leader nazionali, in quelli di Matteo Salvini della Lega Nord, ma anche di
Giorgia Meloni di Fratelli d'Italia oltre a essere piuttosto diffusa a livello
di esponenti politici locali, anche di altri partiti…
A livello locale, oltre ad una diffusione notevole di atteggiamenti
anti-migranti o anti-stranieri analoghi a quelli riscontrati a livello
nazionale, registriamo anche un fenomeno distinto ma fondato anch'esso sulla
mancata accettazione della diversità, in questo caso alla diversità di
orientamento sessuale.
Mi riferisco, tra l'altro, all'istituzione da parte di alcune Regioni di
sportelli cosiddetti ‘antigender’, il cui effetto è di fornire giustificazione
culturale e legittimazione sociale alla discriminazione basata, appunto,
sull'orientamento sessuale, rischiando di fomentare un clima di intolleranza e
di odio verso le persone Lgbti che nel nostro Paese, purtroppo, sono piuttosto
spesso vittime di aggressioni verbali e fisiche…
Fra le vittime per eccellenza degli atteggiamenti ostili di alcuni politici
e di parti della società italiana, che tanto spazio hanno conquistato, vi sono
i rifugiati e i migranti, sulla cui condizione di vulnerabilità di fronte al
rischio di violazioni dei diritti umani Amnesty concentra da tempo la propria
attenzione e i propri sforzi.
Nel 2016 Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto ‘Hotspot
Italia’ nel quale, oltre a compiersi una valutazione complessiva, molto
critica, dell'approccio hotspot deciso a livello europeo, vengono poste alcune
questioni precise: la questione delle modalità della cosiddetta
preidentificazione (per cui chi arriva è messo in condizioni di decidere della
propria vita, subito dopo lo sbarco, in condizioni psico-fisiche molto
difficili e spesso senza adeguata informazione) e la questione delle procedure
di allontanamento (attraverso i decreti di respingimento differito che sono
molto difficilmente attuabili e che rischiano di avere come unico effetto
quello di consegnare i destinatari a chi li vuole sfruttare)…
Voglio infine ricordare, prima di passare ad altro argomento, che il
Governo non ha ancora attuato la delega del Parlamento, risalente ormai a quasi
tre anni fa (aprile 2014) e con un termine per l'attuazione di 18 mesi, ad
abrogare il reato di ingresso e soggiorno irregolare.
La perdurante criminalizzazione della mera presenza irregolare sul territorio
è contraria agli standard internazionali e pregiudica, tra l'altro, la
possibilità dei migranti irregolari di accedere alla giustizia. E' stata
giudicata non solo inutile ma addirittura controproducente, rispetto
all'attività di contrasto di reati assai gravi, tra gli altri, dal Procuratore
nazionale antimafia…
Ieri abbiamo scritto al ministro della Giustizia Orlando una lettera -
assieme a Luigi Manconi, a Patrizio Gonnella di Antigone e ad Antonio Gaudioso
di Cittadinanza Attiva - sulla questione dell'inesistenza di un reato di
tortura nel nostro ordinamento (e dell'elevato rischio di impunità per atti di
tortura che ne deriva). Il ministro ha recentemente affermato che quel reato
sarebbe stato presto introdotto e in effetti il punto, dopo oltre un anno di
interruzione francamente incomprensibile, è nuovamente all'ordine del giorno
del Parlamento…
Il 2016 è stato anche l'anno della morte in Egitto di Giulio Regeni, in un
contesto di violazioni gravi e diffuse dei diritti umani, che viene descritto
in un capitolo particolarmente ricco del nostro rapporto.
Le relazioni tra Italia ed Egitto hanno inevitabilmente risentito di questa
vicenda. Sul piano diplomatico, questa ha comportato il ritiro del nostro
ambasciatore: una scelta giusta, che abbiamo apprezzato, rispetto alla quale
siamo convinti che non vi siano al momento le condizioni per fare alcun passo
indietro (come invece viene richiesto da alcuni). Il ritorno alla normalità dei
rapporti diplomatici con l'Egitto è auspicabile solo quando avremo ottenuto per
Giulio tutta la verità, un'adeguata riparazione e la punizione di tutti i
responsabili - e tutto questo ancora non s'intravede…
Passando a un settore specifico di rapporti commerciali, quello delle armi
che l'Italia esporta verso altri Paesi, ve ne sono alcuni nei quali a nostro
avviso quelle armi possono essere o sono effettivamente impiegate per violare i
diritti umani o le norme di diritto umanitario dei conflitti armati.
A partire dal 2015 e per tutto il 2016 sono partiti carichi di bombe aeree
per rifornire la Royal Saudi Air Force, l'ultimo in dicembre, quando
sono partite oltre 3.000 bombe MK80 prodotte dalla RWM Italia, fabbricate in
Sardegna, dal porto canale di Cagliari.
In ottobre l'allora ministro degli Esteri Gentiloni ha riconosciuto,
rispondendo a un'interrogazione parlamentare, che alla RWM Italia sono state
rilasciate licenze di esportazione per l’Arabia Saudita. Con l'Arabia Saudita,
del resto, è in vigore un accordo di cooperazione militare, che prevede una
collaborazione preferenziale anche nel settore della fornitura di armi,
ratificato nel 2009 e che si rinnova tacitamente ogni 5 anni.
In dicembre, poche settimane dopo la visita della ministra della Difesa
Pinotti è stata diffusa la notizia che l’Arabia Saudita avrebbe ricevuto da
Fincantieri proposte per l'acquisto di nuove navi militari.
Eppure la legge 185 del 1990 stabilisce che le esportazioni di armamenti
sono vietate tra l'altro verso i Paesi in stato di conflitto armato e la cui
politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della nostra Costituzione.
Non vi è dubbio che l'azione militare a guida saudita in Yemen rientri tra
quelle che, secondo la legge italiana, comportano il divieto di autorizzare
esportazioni di armi dall'Italia verso gli Stati che vi prendono parte. Eppure
dal Ministero della Difesa sostengono che sia tutto in regola e hanno reagito
in modo piuttosto aggressivo alle richieste di chiarimento, nostre e di altri”.