mercoledì 28 settembre 2022

Solo in 22 province il valore aggiunto supera i livelli del 2019

 

Solo 22 province su 107 hanno lasciato alle spalle nel 2021 la crisi causata dal Covid superando la ricchezza prodotta nel 2019 a valori correnti, più della metà si trova in Campania e Sicilia. E’ quanto emerge da un’analisi realizzata dal Centro studi Tagliacarne e dall’Unioncamere.

Le crescite maggiori del valore aggiunto si registrano a Enna +2,9%, contro la media nazionale dell’-1,2%. Ma Milano con 49.332 euro a testa si conferma al primo posto per reddito prodotto pro-capite.

Tra il 2021 e il 2019 difficoltà di recupero si riscontrano in particolare lungo tutte le province bagnate dal mare Adriatico (-1,8%), in Toscana (-2,4%) e nel Triveneto (-2,3%).

E’ soprattutto l’edilizia, grazie alle misure di sostegno governative, a segnare gli incrementi di valore aggiunto più elevati (+12,6%), con punte superiori al 30% nell’Umbria e in gran parte della Sicilia.

In crescita anche l’industria manifatturiera che pure sfiorando solo il 2%, contribuisce in maniera significativa alla ripresa dato il suo peso sull’economia.

A fare più fatica è, invece, il comparto dei servizi (-2,7%) su cui pesa la difficile rimonta delle attività connesse al turismo (-27,2%) con riflessi negativi soprattutto sulle città metropolitane

“Il Covid ha rimescolato la geografia produttiva del Paese.

Registriamo, infatti, la crisi della tradizionale direttrice adriatica dello sviluppo e il rilancio di quella tirrenica, una differenziazione dei fenomeni di crescita nel Mezzogiorno, difficoltà di diverse aree del Triveneto e il rafforzamento delle performances della provincia rispetto a quelle dei grandi centri metropolitani”.

E’ quanto ha sottolineato il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, secondo il quale “se le province a maggiore densità industriale hanno dimostrato una maggiore resistenza rispetto alle altre, resta comunque il dato che questo dinamismo non è stato sufficiente a riportare in maniera territorialmente diffusa i livelli precedenti alla pandemia”.

Anche sulla scia dei provvedimenti governativi, il comparto delle costruzioni ha recuperato più velocemente le performance pre-Covid (+12,6%). Boom di crescita a Terni che sfiora il +42%. Seguono Perugia (+39,8%) e Messina (+37,6%).

L’industria manifatturiera cresce dell’1,9% tra il 2021 e il 2019, grazie alle buone performance dello scorso anno che si è chiuso con un incremento del 10,2% rispetto al 2020.

La ripartenza è sostenuta soprattutto dal Nord Ovest (+ 2,7%) e dalle Isole (+2,3%) e in misura minore dal Centro (+1,8%) e dal Nord-Est (1,5%). Chiude, invece, alla pari il Sud, ma con forti eterogeneità tra i vari territori.

Manca l’obiettivo del recupero dei livelli pre-pandemia il settore dei servizi, che perde il 2,9% di valore aggiunto tra il 2021 e il 2019.

A rallentare il passo è la difficoltà di ripresa del turismo che è ancora sotto di un quarto rispetto al periodo pre-Covid. Ma anche le attività artistiche e creative (-25,0%) e quelle di supporto alle imprese (-11,8%) presentano ancora forti ritardi. Due attività che hanno il loro cuore pulsante nelle grandi città come Milano e Roma.

Nessuna delle 24 province che si affacciano sull’Adriatico è ritornata nel 2021 ai livelli pre-Covid (-1,8%). Mentre il recupero dei territori bagnati dal Tirreno si è quasi del tutto completato (-0,5%).

Nel confronto tra il 2021 e il 2019, sono i territori caratterizzati da una modesta dimensione imprenditoriale per numero di addetti ad essersi avvicinati di più al valore aggiunto pre- Covid (-0,6%), rispetto a quelli dove le imprese sono mediamente più grandi (- 1,6%).

Proprio questi ultimi sono infatti stati i più colpiti dalla crisi pandemica nel 2020 (-7,6% contro il -6,0% delle province con imprese mediamente più piccole). E il forte rimbalzo del 2021 delle province con una dimensione di impresa più grande (+6,5% rispetto al 2020 contro il 5,7% delle altre), non è riuscito ancora a compensare le gravi perdite subite.

E’ Enna a registrare incrementi maggiori di valore aggiunto prodotto tra il 2021 e il 2019 (+2,9%), seguita da Avellino (+2,7%), Benevento, Caserta e Ragusa (+2,2% per tutte e tre le province).

Ma Milano e Bolzano si confermano ai primi due posti per reddito prodotto per abitante, rispettivamente 49.332 euro e 40.817, mentre Bologna (37.276) scalza dal terzo posto Firenze (37.237).

 Terni è la provincia che scala il maggiore numero di posizioni nella classifica del valore aggiunto pro-capite, passando dal 70esimo al 62esimo posto. In rimonta anche Avellino e Lecco che recuperano quattro ranghi collocandosi rispettivamente all’86esimo e al 27esimo posto.

 


domenica 25 settembre 2022

Vince la destra con il record delle astensioni

 

La destra, capeggiata da Giorgia Meloni, ha vinto le elezioni politiche svoltesi ieri, con la maggioranza assoluta sia alla Camera che al Senato. Il partito che ha ottenuto più voti è stato Fratelli d’Italia. Ma si è registrato anche un aumento molto consistente di coloro che si sono astenuti dal voto. Hanno votato infatti solo il 64% degli aventi diritto, mentre nel 2018 erano stati il 72%.

Un risultato chiaro quindi quello scaturito dal voto degli italiani: si è verificata una maggioranza netta dei parlamentari della destra che dovrebbe consentire, almeno all’inizio della legislatura, la formazione di un governo piuttosto stabile.

All’interno della destra però la vera vincitrice è sta Giorgia Meloni con il 26% dei voti, seguita dalla Lega di Salvini con il 9%, un evidente crollo anche rispetto ai sondaggi preelettorali, e un tenuta di Forza Italia, con l’8%.

Un buon successo lo ha ottenuto il Movimento 5 Stelle, con il 15%, in risalita rispetto a quanto previsto dai sondaggi.

Un risultato insoddisfacente per il centro sinistra e per il Pd, partito che ha ottenuto il 19% al di sotto della soglia psicologica del 20%. Sinistra italiana insieme ai Verdi ha avuto il 3,5% e sarà rappresentata in Parlamento, mentre Più Europa, di Emma Bonino, ha raggiunto circa il 3% e non è ancora certo che possa essere rappresentata in Parlamento.

Il raggruppamento di Azione e Italia Viva, guidato da Calenda e Renzi, si è attestata appena al di sotto dell’8%, una percentuale inferiore alle aspettative dei loro sostenitori.

Come già rilevato dovrebbe formarsi entro breve tempo un governo con alla presidenza del Consiglio Giorgia Meloni, un governo che comunque si troverà di fronte problemi, economici e non, di notevole rilevanza.

In seguito ai risultati appena citati le leadership di Salvini e Letta potrebbero essere messe in discussione, soprattutto quella del segretario della Lega.

Preoccupante deve considerarsi il forte aumento dell’astensionismo che ha avuto diverse motivazioni, una delle quali però è senza dubbio rappresentata dalla crescente disaffezione nei confronti dei partiti di componenti rilevanti della società italiana.

Ed è in primo luogo fra gli astensionisti che i partiti sconfitti dovrebbero puntare per ottenere un aumento dei loro consensi in futuro.

giovedì 22 settembre 2022

Votare per il Pd

In occasione delle elezioni politiche del prossimo 25 settembre io voterò per il Pd e invito tutti a fare lo stesso. Infatti il voto per il Pd rappresenta, a mio avviso,  il modo più efficace per provare a sconfiggere la destra.

Che vi sia la necessità di sconfiggere la destra non vi sono dubbi.

La vittoria della destra potrebbe, innanzitutto, ridurre il ruolo dell’Italia all’interno dell’Unione europea e l’Unione europea è stata, è, e sarà fondamentale per affrontare la crisi energetica e, più in generale, per migliorare le prospettive di sviluppo del nostro Paese.

Con una Meloni e con un Salvini che sono molto più vicini ad Orban ed alla Le Pen piuttosto che ai leader dei Paesi più importanti dell’Ue, quali la Francia, la Germania e la Spagna, una loro vittoria avrebbe come evidente conseguenza una minore credibilità ed affidabilità dell’Italia in Europa.

E poi la necessaria attuazione delle sanzioni contro la Russia, in seguito all’aggressione all’Ucraìna, non sarebbe affatto più certa come lo è stata, invece, grazie al governo Draghi.

Inoltre, la vittoria della destra renderebbe più difficile affrontare i problemi economici del nostro Paese. Un solo esempio, la cosiddetta flat tax e la politica dei condoni, creerebbe notevoli difficoltà per la sostenibilità del debito pubblico.

Infine, la vittoria della destra potrebbero mettere in discussione alcuni diritti civili di estrema importanza, in primo luogo il diritto ad abortire.

E su tutte le questioni che ho appena preso in considerazione le posizioni del Pd, capeggiato da Enrico Letta, sono molto diverse.

Pertanto una vittoria del centro sinistra, e soprattutto del Pd, garantirebbe un governo del nostro Paese in maggiore sintonia con l’interesse generale e nazionale,

Certo, il Pd negli ultimi anni ha commesso degli errori evidenti, affievolendo considerevolmente il proprio rapporto con componenti della società italiana molto importanti, soprattutto con quelle in maggiore difficoltà economica.

Quindi il Pd, non solo in campagna elettorale, ma anche dopo, deve assolutamente intensificare quel rapporto e ciò potrà avvenire soltanto modificando radicalmente la propria natura.

Nel frattempo, ripeto, votare per il Pd rappresenta il modo più efficace per sconfiggere la destra o quanto meno per arginarla.

lunedì 19 settembre 2022

Una buona annata per il vino


Un’annata soddisfacente per quantità e sorprendente per qualità. Secondo le previsioni vendemmiali dell’Osservatorio Assoenologi, Ismea e Unione italiana vini, la siccità e il caldo record di quest’anno non hanno compromesso il vigneto Italia che, all’avvio della campagna vendemmiale, promette uve di qualità dal buono all’ottimo, con una quantità in linea con la media delle ultime annate.

A garantire la tenuta del prodotto finale, oltre alle provvidenziali piogge di agosto, il lavoro straordinario di ricerca e applicazione di enologi e produttori su una vite sempre più resiliente alle avversità climatiche e metereologiche.

Secondo i dati dell’Osservatorio la produzione 2022 dovrebbe infatti attestarsi intorno ai 50,27 milioni di ettolitri di vino, la stessa quantità dello scorso anno (50,23 milioni di ettolitri di vino il dato Agea 2021) e a +3% rispetto alla media del quinquennio 2017-2021, anche se rimane cruciale l’andamento meteorologico delle prossime settimane.

Secondo Fabio Del Bravo, responsabile Direzione servizi per lo sviluppo rurale Ismea: “In termini di mercati l’Italia ha chiuso la campagna 202120/22 con rialzi dei listini soprattutto nei vini al vertice della piramide qualitativa.

Le prime battute della nuova campagna delineano uno scenario ancora incerto dove a pesare sono le molte incognite legate anche alle tensioni sui costi e alla logistica, che già lo sorso anno avevano creato preoccupazioni agli operatori ma che ora sono ancora più pressanti.

I buoni risultati produttivi stimati, a dispetto dei timori estivi sulla siccità, fanno sì che ci sarà disponibilità di prodotto di qualità anche in questa campagna e, mentre sul fronte estero la domanda sembra tenere seppur non con i brillanti risultati del 2021, su quella interna si evidenzia qualche segnale di cedimento negli acquisti presso la distribuzione moderna anche se si deve considerare il recupero del fuori casa”.

“La vendemmia in corso ci sta consegnando una qualità delle uve che va da buona a ottima - ha dichiarato Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi -. Molto dipende dalle aree di riferimento, mai come in questa stagione il giudizio quanti-qualitativo è totalmente a macchia di leopardo e questo è dovuto essenzialmente a un clima estremo che ha pesantemente condizionato, in particolare, i mesi di maggio, giugno e soprattutto luglio con punte di calore che hanno superato i 40 gradi e una siccità tanto prolungata.

Fortunatamente, in agosto, su gran parte del Paese - tranne che per qualche eccezione - sono arrivate delle piogge ‘intelligenti’ e cioè che non hanno procurato danni, così da permettere alla vite la sua ripresa vegetativa e di portare a maturazione le uve senza particolari stress.

Ma a contenere gli effetti negativi dei cambiamenti climatici è stato anche l’approccio scientifico che noi enologi abbiamo messo in campo a sostegno dei vigneti. Oggi più che mai sono fondamentali scienza e ricerca nella viticoltura e in cantina, spazio ad apprendisti stregoni del vino non c’è più, se mai ci fosse stato in passato.

Da qui alla fine di settembre confidiamo in un tempo soleggiato, caldo il giusto e magari accompagnato da una leggera brezza, così che le uve ancora da raccogliere possano arrivare alla perfetta maturazione così da andare a produrre vini capaci di imporsi ancora una volta sugli scenari enologici nazionali e internazionali”.

Per il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi: "La vigna si è rivelata ancora una volta il pivot della filiera, dimostrando come anche con caldo e siccità si possa fare vini di alta qualità e volumi soddisfacenti.

Un plauso va poi a imprese e produttori, che una volta di più hanno aiutato le piante a fronteggiare nel migliore dei modi le avversità del clima.

Ma la partita non termina con la vendemmia, perché specie in una fase congiunturale così delicata emerge sempre più la consapevolezza che si possa e si debba fare meglio sul fronte del valore del nostro vino.

Il tanto declamato record produttivo non è infatti una condizione sufficiente per generare ricchezza: le ‘rese valoriali’ del vigneto Italia - secondo un’analisi realizzata dall’Osservatorio Uiv - registrano performance nettamente inferiori rispetto a quelle francesi, che segna una redditività tripla per ogni ettaro coltivato (16.600 euro vs 6.000) e per ogni ettolitro prodotto (294 vs 82 euro).

Serve fare ancora strada per garantire una remuneratività direttamente proporzionale alla qualità prodotta, con un percorso che parta da un governo del settore più razionale in materia di denominazioni di origine fino al vino comune.

Dobbiamo ambire a scrivere - o riscrivere - una vera carta vocazionale dei nostri territori, ancorata a indicatori reali, con poche regole ma chiare per tutti i soggetti coinvolti, dai produttori agli enti di controllo per finire al trade e ai consumatori”.

Resta stabile la classifica delle regioni italiane, capeggiata dal Veneto che, con 11,5 milioni di ettolitri, produce da solo oltre 1/5 del vino italiano. Seguono Puglia ed Emilia-Romagna, con rispettivamente 10,6 e 7,4 milioni di ettolitri, per un prodotto complessivo delle tre Regioni pari al 59% dell’intero vigneto italiano.

Per quanto riguarda la qualità, in linea generale si aspettano vini eccellenti in Trentino Alto Adige e Sicilia, mentre puntano l’asticella sull’“ottimo” Piemonte, Val d’Aosta, Friuli Venezia-Giulia, Toscana, Lazio, Umbria, Abruzzo, Molise, Puglia e Sardegna, con Liguria, Emilia-Romagna, Marche, Campania, Basilicata e Calabria più caute su previsioni “buone/ottime”. “Buone” invece le attese per le etichette lombarde e venete.

Con la vendemmia 2022 l’Italia del vino mantiene il primato produttivo mentre quello del fatturato rimane in casa francese.

Sul fronte del mercato, secondo le ultime elaborazioni su base Istat, l’Italia ha chiuso il primo semestre con il record in valore di 3,8 miliardi di euro (+13,5% sul pari periodo 2021) mentre è piatto il trend dei volumi esportati: +0,4%.

mercoledì 14 settembre 2022

50 milioni in schiavitù

Nel 2021 circa 50 milioni di persone hanno vissuto in condizione di schiavitù moderna: 28 milioni nel lavoro forzato e 22 milioni nei matrimoni forzati. Sono le ultime stime globali della schiavitù moderna, stime  pubblicate dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom) e dal gruppo internazionale per i diritti umani Walk Free.

“E’ scioccante che la situazione della schiavitù moderna non stia migliorando”, ha affermato il direttore generale dell’Ilo Guy Ryder che ha aggiunto: “Niente può giustificare la persistenza di questo fondamentale abuso dei diritti umani”.

Rispetto alle precedenti stime globali che facevano riferimento al 2016, nel 2021 ben 10 milioni di persone in più erano in schiavitù moderna, con donne e bambini tra i più vulnerabili.

La schiavitù moderna si verifica in quasi tutti i Paesi del mondo e attraversa linee etniche, culturali e religiose. Più della metà di tutto il lavoro forzato e un quarto di tutti i matrimoni forzati si trovano in paesi a reddito medio-alto o ad alto reddito.

L’86% dei casi di lavoro forzato si trova nel settore privato, con lo sfruttamento sessuale commerciale forzato che rappresenta il 23%, quasi quattro vittime su cinque delle quali sono donne.

Il lavoro forzato imposto dallo stato rappresenta il 14%, di cui quasi uno su otto, ovvero 3,3 milioni, sono bambini.

“Sappiamo cosa deve essere fatto e sappiamo che può essere fatto”, ha affermato Guy Ryder dell’Ilo. 

“Politiche e regolamentazioni nazionali efficaci sono fondamentali”.

Ma i governi non possono farcela da soli, ha proseguito, spiegando che gli standard internazionali forniscono “una solida base” e che è necessario un “approccio globale”.

“I sindacati, le organizzazioni dei datori di lavoro, la società civile e la gente comune hanno tutti un ruolo fondamentale da svolgere”.

L’anno scorso, circa 22 milioni di persone vivevano in matrimonio forzato, con un aumento di 6,6 milioni rispetto alle stime globali del 2016.

La vera incidenza dei matrimoni forzati, in particolare che coinvolgono i bambini di età pari o inferiore a 16 anni, è probabilmente molto maggiore di quanto le stime catturano poiché si basano su una definizione ristretta che esclude alcuni matrimoni precoci. Sono considerati obbligati perché un minore non può legalmente acconsentire a sposarsi.

I matrimoni forzati sono altamente specifici del contesto in quanto sono legati ad atteggiamenti e pratiche patriarcali consolidati. Il rapporto mostra che oltre l’85% è spinto dalla pressione della famiglia.

In base alla dimensione della popolazione regionale, il 65% dei matrimoni forzati si trova in Asia e nel Pacifico. Gli Stati arabi hanno la prevalenza più alta, con 4,8 persone su 1.000 nella regione in un matrimonio forzato.

Nel frattempo, i lavoratori migranti hanno una probabilità tre volte maggiore di essere sottoposti a lavori forzati rispetto ad altri lavoratori adulti.

Sebbene la migrazione per lavoro abbia un effetto ampiamente positivo su individui, famiglie, comunità e società, la migrazione irregolare o mal governata o le pratiche di reclutamento sleali e non etiche rendono i migranti particolarmente vulnerabili.

Il rapporto propone azioni rapide per porre fine alla schiavitù moderna.

Includono il miglioramento e l’applicazione delle leggi e delle ispezioni del lavoro; porre fine al lavoro forzato imposto dallo Stato; misure più forti per combattere il lavoro forzato e la tratta; estendere la protezione sociale e rafforzare le tutele legali, compreso l’innalzamento dell’età legale del matrimonio a 18 anni.

Altre misure riguardano l’affrontare l’aumento del rischio di tratta e lavoro forzato per i lavoratori migranti, la promozione di un reclutamento equo ed etico e un maggiore sostegno per le donne, le ragazze e le persone vulnerabili.

“Questo rapporto sottolinea l’urgenza di garantire che tutta la migrazione sia sicura, ordinata e regolare”, ha affermato il direttore generale dell’Oim Antonio Vitorino.

“La riduzione della vulnerabilità dei migranti al lavoro forzato e alla tratta di persone dipende innanzitutto dalle politiche e dai quadri giuridici nazionali che rispettano, proteggono e realizzano i diritti umani e le libertà fondamentali di tutti i migranti - e potenziali migranti - in tutte le fasi della migrazione processo, indipendentemente dal loro status migratorio”.

Vitorino ha quindi affermato che tutta la società deve lavorare insieme per “invertire queste tendenze scioccanti”, anche attraverso l’attuazione del Global compact sulla migrazione.

domenica 11 settembre 2022

Contro la dispersione scolastica

 

E’ noto che il fenomeno della dispersione scolastica assume in Italia dimensioni molto consistenti. Save the Children quindi ha formulato alcune proposte tendenti a contrastare tale fenomeno, tra le quali il prolungamento dell’orario scolastico.

Infatti, prolungare l’orario scolastico può aiutare a migliorare i livelli di apprendimento  degli alunni e delle alunne.

Ma non solo: le ore in più di lezione possono essere utilizzate anche al fine di promuovere attività extra-curriculari gratuite,  come ad esempio la musica, l’arte, lo sport.

Di fatti, il tempo pieno contribuisce allo sviluppo delle competenze cosiddette non-cognitive, sociali ed emozionali, fondamentali per crescere ed avere una vita attiva in un mondo in costante mutamento.

Inoltre, soprattutto se garantito a quei minori più svantaggiati, risulta quindi essere una delle misure più efficaci per combattere la dispersione scolastica. 

Questi temi sono affrontati nel rapporto, appena pubblicato da Save the Children “Alla ricerca del tempo perduto - Un’analisi delle diseguaglianze nell’offerta di tempi e spazi educativi nella scuola italiana”.

I primi passi ritenuti necessari per affrontare le disuguaglianze educative sono il servizio di mensa e il tempo pieno per tutti.

Rispetto quest’ultimo, le province italiane dove gli alunni, in particolare della scuola primaria, generalmente frequentano classi a tempo pieno (40 ore), sono anche quelle dove  maggiori sono i punteggi nei testi Invalsi in matematica ed italiano, e dove minore è la quota di studenti che raggiungono il diploma con livelli di apprendimento insufficienti.

Il tempo pieno come strumento per combattere la dispersione scolastica, è una realtà per ben più del 50% degli alunni della scuola primaria in quasi tutte le province del Centro e del Nord.

Spiccano in positivo, con percentuali sopra al 60%, Roma, Firenze, Prato, Bologna Modena, Imperia e Torino, con le punte di Milano, Lodi e Monza Brianza che si attestano dall’80% in su.

A segnare una contraddizione in termini di equità, va notato, ad esempio, che in tutte queste 10 province la percentuale di alunni svantaggiati dal punto di vista socioeconomico è nettamente inferiore al 20%, mentre nelle province del Sud, di Trapani, Catania, Siracusa, Ragusa, Campobasso, Isernia e Palermo, dove l’accesso al tempo pieno nella scuola primaria è inferiore al 10%, la percentuale degli alunni svantaggiati raggiunge il 25% circa.

Dall’analisi condotta è quindi emersa l’importanza di ampliare il tempo e garantire che tutte le classi della scuola primaria, lo possano offrire.

Questa misura, insieme all’introduzione dei livelli essenziali delle prestazioni riguardanti il servizio mensa, al fine di garantire un pasto gratuito ed equilibrato al giorno per i bambini e le bambine della scuola primaria, potrebbe rappresentare un punto di svolta nella scuola italiana. 

Entrambi i servizi aumenterebbero significativamente i livelli di apprendimento di tutti gli studenti e le studentesse del nostro Paese, anche quelli che provengono da famiglie economicamente e socialmente più svantaggiate, riducendo in modo drastico la dispersione scolastica esplicita ed implicita. 

Per concludere, le risorse aggiuntive di spesa corrente, unitamente a quelle previste nel Piano nazione di ripresa e resilienza, dovrebbero essere impiegate prioritariamente per aumentare la qualità dell’offerta scolastica.

Quindi occorre investire in modo adeguato le risorse, sia in termini strutturali, con riferimento a mensa e tempo pieno, che a spazio materiali ed infrastrutture  adeguati all’apprendimento, favorendo infine una didattica inclusiva e partecipativa, specialmente per le scuole che si trovano in territori particolarmente difficili, dove il disagio sociale ed economico è più forte.

E’ necessario fare di tutto per evitare che il peso della crisi economica colpisca proprio le bambine, i bambini e gli adolescenti  che in questi giorni faranno il loro ritorno in classe.

Io concordo con le considerazioni contenute nel rapporto di Save the Children.

Del resto troppo spesso si evidenzia la necessità di migliorare considerevolmente la qualità del nostro sistema formativo, e uno dei cardini di questo obiettivo è rappresentano dalla notevole riduzione della dispersione scolastica, ma in realtà si fa poco affinchè l’obiettivo sia effettivamente perseguito.

Non sarà sufficiente quanto previsto nel Piano di ripresa e resilienza che, per le sue caratteristiche specifiche, non può che prevedere investimenti in infrastrutture.

Occorrerà anche aumentare la cosiddetta spesa corrente, una spesa utilizzata senza sprechi, ad esempio per aumentare le remunerazioni e il numero dei docenti.

mercoledì 7 settembre 2022

E' anche colpa di noi adulti il suicidio del tredicenne di Gragnano

 

Ha giustamente destato notevole scalpore il suicidio di un ragazzo di 13 anni di Gragnano. Sembra ormai certo che il suicidio sia stato provocato dagli insulti, rivolti al tredicenne, da parte di un gruppo di giovani, di cui due maggiorenni, che lo “bullizzavano”. Ma le responsabilità sono solamente di coloro che lo hanno “bullizzato”?

Certo, in primo luogo, sono di coloro che lo hanno bullizzato, tanto che la magistratura sta verificando l’esistenza del reato di istigazione al suicidio a loro carico.

Ma, io credo, che le responsabilità siano più ampie.

Siano anche di noi adulti, del tipo di società che abbiamo creato.

I bulli c’erano anche 50 anni fa, 30 anni fa, ma il fenomeno del bullismo si è accresciuto notevolmente negli ultimi anni.

E la diffusione del bullismo, e la sua pericolosità, dipende anche dalle famiglie che o non controllano adeguatamente i figli che diventano bulli o che non riescono a comprendere che i figli sono vittime del bullismo.

Insomma, il disinteresse che parte delle famiglie dimostrano nei confronti dei propri figli è una delle cause della crescita della diffusione, e della sua pericolosità, del bullismo.

Ma io intendo spingermi oltre.

E’ del tutto evidente che una società nella quale sempre di più si persegue solamente il proprio interesse individuale, nella quale sempre di più i valori della solidarietà sono insufficientemente tenuti in considerazione, nella quale sempre di più si diffondono episodi di violenza, non tanto e non solamente fisica, ma anche psicologica, favorisce la diffusione del bullismo.

Indubbiamente il crescente utilizzo dei social da parte dei giovani, ma anche da parte degli adulti, è un elemento che va considerato, ma non credo che sia la causa principale.

E se è vero quindi che, al di là delle responsabilità personali che senza alcun dubbio non devono essere affatto dimenticate e trascurate e che devono essere adeguatamente punite, contano molto le caratteristiche negative della società in cui viviamo, è altrettanto vero che siamo stati e siamo noi adulti ad alimentare quelle caratteristiche.

La conclusione più evidente di tali valutazioni, quindi, è l’insufficienza di un incremento delle punizioni a carico di coloro che bullizzano i propri coetanei per sconfiggere il fenomeno che qui ho esaminato.

Gli interventi da promuovere sono anche molti altri e molto più complessi.

domenica 4 settembre 2022

Una campagna elettorale senza discorsi d'odio

 

La Rete, formata dalle maggiori realtà attive nel campo dei diritti e della comunicazione, ha ricordato alle forze politiche i 5 punti che dovrebbero caratterizzare la comunicazione in questa campagna elettorale, “consapevole dei guasti che il discorso d’odio può produrre nel fomentare le discriminazioni e nell’invadere spazi di confronto pubblico e democratico”

Con la chiusura delle liste elettorali da parte di tutte le forze politiche, è entrata nel vivo la campagna elettorale per le prossime elezioni politiche del 25 settembre 2022.

Ed è entrata nel vivo anche la campagna della Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio per chiedere a tutti i candidati e a tutte le candidate di fare proprio il vademecum in cinque punti per una comunicazione pubblica e politica libera dai discorsi d’odio.

Della Rete fanno parte numerose associazioni e singoli cittadini:

ActionAid, Amnesty International Italia, Arci nazionale, Articolo 3 Osservatorio sulle discriminazioni, Asgi, APsyM, Associazione Carta di Roma, Barbara Giovanna Bello, Crid - Centro di ricerca interdipartimentale su discriminazioni e vulnerabilità -, Centro per la cooperazione internazionale, Rissc – Centro ricerche e studi su sicurezza e criminalità -, Cestudir, Commissione pari opportunità dell’Usigrai, Cnf – “Consiglio nazionale forense presso il ministero della Giustizia”, Cospe, Emergency ong onlus, Federico Faloppa, Fondazione Bruno Kessler (Fbk), Monica Gazzola, Giulia giornaliste, Istituto per le tecnologie didattiche – Consiglio Nazionale delle Ricerche, Lunaria, Pierluigi Musarò, Costanza Nardocci, No hate speech movement Italia, Osservatorio di Pavia, Fondazione Pangea, Paola Parmiggiani, Avvocatura per i diritti Lgbti - Rete Lenford, Salvatore Romano, Cecilia Siccardi, Solomon - Osservatorio sulle discriminazioni, Caterina Suitner, Alessandra Vitullo, Vox - Osservatorio italiano sui diritti.

5 sono i punti che la Rete ha evidenziato per ottenere una comunicazione libera dai discorsi d’odio.

“Consapevole dei guasti che il discorso d’odio può produrre nel fomentare le discriminazioni e nell’invadere spazi di confronto pubblico e democratico”, come già in occasione delle elezioni amministrative di settembre 2021 e di giugno 2022, la Rete ritiene fondamentale che le forze politiche e tutte le persone direttamente coinvolte nella campagna elettorale, si impegnino a tenere alcuni atteggiamenti.

In primis, “utilizzare linguaggi rispettosi delle istituzioni e dei cittadini e delle cittadine, con prese di posizione chiare contro le discriminazioni e i discorsi e i crimini d’odio”.

Inoltre, “evitare insulti e espressioni offensive, nonché linguaggi discriminatori o di incitamento all’ odio verso individui o gruppi sulla base di caratteristiche razziali, etniche, religiose, sessuali e di genere o di ogni altri caratteristica personale”.

Poi, la Rete chiede di “non diffondere (direttamente o attraverso le proprie strutture politiche)  informazioni false o non verificate su interlocutori/interlocutrici e avversari/avversarie; evitare attacchi elettorali basati su stereotipi e pregiudizi”. 

Infine, si chiede di “creare un dibattito utile a chi ascolta e rispettoso verso chi interloquisce; favorire un dibattito pubblico rispettoso nei confronti degli interlocutori e delle interlocutrici”, e di “promuovere un utilizzo responsabile dei social network (sia direttamente sia attraverso le proprie strutture politiche), compresa la moderazione dei commenti dei/delle follower e la rimozione di eventuali espressioni d’odio o discriminatorie”.

“La campagna elettorale è solo agli inizi - ha sottolineato Federico Faloppa, coordinatore della Rete - ma già assistiamo a discorsi che incitano al disprezzo e all’odio nei confronti di persone e gruppi di persone additati come minacce solo per fomentare risposte rabbiose da parte dell’elettorato e per la costruzione retorica di un ipotetico ‘nemico’ da cui doversi difendere.

Sarebbe invece doveroso, ancor più in campagna elettorale - ha concluso Faloppa - promuovere una cultura antidiscriminatoria, che dovrebbe essere patrimonio di tutta la comunità nazionale e di chiunque si candidi alla guida del Paese, come indicato dalla Costituzione, e riportare al centro del dibattito pubblico e dei programmi politici la convivenza e i diritti delle persone”.