lunedì 11 novembre 2019

Diminuisce il risparmio delle famiglie italiane



Secondo il quarto rapporto della Consob sulle scelte finanziarie delle famiglie italiane la ricchezza delle famiglie italiane in rapporto al reddito disponibile resta consistente, ma il tasso di risparmio continua a calare, registrando valori inferiori alla media dell'area euro. 

Infatti, la ricchezza netta delle famiglie italiane rimane stabile sui livelli del 2012 attestandosi a 9 volte il reddito disponibile; il dato medio per i paesi dell'area euro è 8 volte il reddito disponibile.

Ma il tasso di risparmio lordo (rispetto al reddito disponibile) continua a calare e ad attestarsi al di sotto della media dell'area euro: a fine 2017 risultava pari al 9,7%, a fronte dell'11.8% della media dell'Eurozona (nel 2004 aveva raggiunto il 15%, superando la media area euro di un punto percentuale).

La crisi del 2007-2008 ha segnato un punto di caduta, che sembrava destinato al recupero tra il 2012 e il 2014, rivelatosi poi solo temporaneo.

Con riferimento alle scelte di portafoglio, Italia ed Eurozona continuano a registrare il tradizionale divario nel peso della componente assicurativa e previdenziale, che nel contesto domestico rimane più contenuto anche se in crescita, e dei titoli obbligazionari, comunque in diminuzione.

Per quanto riguarda il livello di indebitamento, le famiglie italiane continuano ad essere più virtuose, registrando a fine 2017 un rapporto debito/Pil pari al 40% a fronte di poco meno del 60% per la media dell'area euro.

Per quanto riguarda l'inclusione finanziaria, la diffusione di alcuni prodotti e servizi bancari (conto corrente, carta di credito e carta di debito) vede l'Italia in linea con la media dell'area euro, grazie all'incremento registrato nel periodo 2011-2017.

In alcuni casi rimane un più accentuato gap di genere, che vede ad esempio carte di credito e di debito meno diffuso tra le donne, mentre si sta riassorbendo il gap per livello di istruzione e per livello di reddito.

Sono meno incoraggianti i dati relativi alla familiarità con gli strumenti di pagamento digitali, che vedono le famiglie italiane meno abituate a utilizzare il telefono mobile o internet per i pagamenti (poco più del 20% versus il 45% in Eurozona) e maggiormente ‘polarizzate' in funzione di genere, reddito, livello di istruzione e occupazione.

Le conoscenze finanziarie degli italiani rimangono basse, anche se gli investitori sono più bravi di chi non investe.

In merito alle competenze di calcolo, strumento indispensabile per l'accrescimento della cultura finanziaria, solo il 23% degli intervistati mostra di avere familiarità con il concetto di probabilità.

Le conoscenze finanziarie delle famiglie italiane rimangono contenute: le nozioni di base (inflazione, relazione rischio/rendimento, diversificazione, mutui, interesse composto) sono comprese da circa il 50% degli intervistati, mentre per i concetti più avanzati (relazione prezzo/tassi di interesse delle obbligazioni e rischiosità delle azioni) si registrano meno del 20% di risposte corrette.

Però gli investitori rispondono meglio: ad esempio, alle domande su inflazione e relazione rischio/rendimento rispondono correttamente 7 investitori su 10, a fronte di 5 non investitori su 10.

I dati rivelano, inoltre, un disallineamento fra conoscenze finanziarie reali e conoscenze percepite, che interessa circa il 30% degli intervistati. La propensione all'overconfidence (ossia a sopravvalutare le proprie conoscenze finanziarie) è meno frequente tra gli individui con maggiori conoscenze finanziarie.

Il quadro delle conoscenze finanziarie si completa con la cosiddetta risk literacy: posti di fronte alla domanda di ordinare alcuni strumenti finanziari (azioni, fondi azionari, derivati, obbligazioni non finanziarie) in funzione del livello di rischio, solo il 10% campione è in grado di ordinare correttamente le alternative di investimento per livello di rischio.

Meno di un italiano su due tiene una pianificazione finanziaria e risparmia in modo regolare.

Questi comportamenti sono più frequenti al crescere delle conoscenze finanziarie e in presenza di alcune attitudini personali (ad esempio, propensione all'uso di informazioni numeriche, auto-efficacia, auto-controllo, abilità di calcolo); viceversa, l'ansia finanziaria (ossia la propensione a provare disagio nella gestione delle proprie finanze) è correlata negativamente.

La maggior parte delle famiglie italiane si caratterizza per una capacità ancora contenuta di pianificazione e monitoraggio delle scelte finanziarie (cosiddetto financial control): il 40% circa degli intervistati non tiene un bilancio familiare; il 70% delle famiglie dichiara di controllare le spese, ma solo il 30% ne tiene traccia scritta; solo un terzo degli intervistati dichiara di avere un piano finanziario e di controllarne gli esiti.

L'attitudine alla pianificazione e al controllo si associa positivamente a conoscenze finanziarie, abilità di calcolo, inclinazione verso le informazioni numeriche e capacità di auto-controllo, mentre l'ansia funziona da deterrente.

Le famiglie intervistate risparmiano in modo regolare (soprattutto per motivi precauzionali) in meno del 40% dei casi e in modo occasionale nel 36% dei casi; il 25% non accantona nulla, soprattutto per vincoli di bilancio.

In generale, il risparmio regolare è più frequente tra i soggetti più abbienti; rilevano tuttavia anche le conoscenze finanziarie e le competenze percepite, l'abitudine a pianificare e talune inclinazioni (tra cui l'auto-efficacia, l'ansia finanziaria e l'avversione alle perdite).

Solo il 29% delle famiglie possiede almeno un prodotto o uno strumento finanziario.

Gli investitori si caratterizzano per maggiori conoscenze finanziarie e abilità di calcolo, nonché per alcune attitudini personali (ad esempio, propensione all'uso di informazioni numeriche, propensione al ragionamento impegnativo sul piano cognitivo, ottimismo, fiducia, tolleranza alle perdite nel breve termine); l'opposto vale rispetto all'ansia finanziaria.

Alla fine del 2017, il 29% delle famiglie possiede almeno un'attività finanziaria. A pesare di più nella composizione di portafoglio sono i fondi comuni e i titoli di Stato italiani (dopo i depositi bancari e postali).

Gli investimenti etici e socialmente responsabili (Sri) sono ancora poco conosciuti e poco attrattivi: più del 60% degli intervistati, infatti, dichiara di non averne mai sentito parlare e meno di un terzo manifesta interesse dopo essere stato informato degli elementi che in astratto li qualificano.

I comportamenti nel processo di investimento mostrano ancora numerose criticità.

La maggior parte degli intervistati dichiara di assumere le informazioni utili per l'investimento dal funzionario di banca. Solo il 25% degli intervistati fa riferimento al prospetto finanziario.

La maggioranza del campione ricorre ai consigli di amici e parenti (cosiddetta consulenza informale), poco più del 20% si affida alla consulenza professionale o delega un esperto, il 28% sceglie in autonomia.

Il 40% non monitora i propri investimenti.



giovedì 7 novembre 2019

I fiumi sotto assedio



Ancora una volta dopo le intense piogge che si abbattono sul nostro territorio, dal Piemonte alla Sicilia, i fiumi esondano, allagano città e campagne, distruggono ponti, causano vittime. 
Il Wwf torna a puntare l’attenzione sul fatto che se da un lato i cambiamenti climatici favoriscono situazioni estreme - piogge intense straordinariamente concentrate in poche ore per poi passare qualche mese dopo a siccità altrettanto estreme - dall’altro si sconta la mancanza di una seria politica di adattamento ai cambiamenti climatici.

Tale politica, secondo il Wwf, dovrebbe essere caratterizzata dalla prevenzione, dalla tutela e dal ripristino dei servizi eco sistemici.

Interventi come il recupero di aree di esondazione, il ripristino delle fasce riparie, la manutenzione del territorio, i sistemi di drenaggio urbano sostenibile farebbero superare l’approccio del nostro Paese alla gestione dei fiumi, finora attuato con procedure di emergenza, a compartimenti stagni e al di fuori di una visione di bacino idrografico, l’unica in grado di garantire efficacia alle azioni sul territorio.

I fiumi danno acqua per agricoltura, attività produttive, consentono di far godere di paesaggi incredibili e di una biodiversità ricchissima, ma con canalizzazioni e sbarramenti, sversamenti di acque inquinate dalle città e dalle campagne (pesticidi), discariche di rifiuti e inserimenti di specie di piante e animali alieni li abbiamo resi vulnerabili, pericolosi e poveri di natura.

Il 41% dei fiumi italiani è ben al di sotto del buono stato ecologico.

La presenza di pesticidi vede il 23,9% dei punti delle acque superficiali e l’8,3% di quelle sotterranee con concentrazioni superiori al limite.

In prossimità di insediamenti industriali come concerie, produzione di carta e cartone per uso alimentare, abbigliamento tecnico, si registrano elevate presenze di Pfas, sostanze altamente tossiche.

Il segnale più preoccupante è dato dalla perdita di biodiversità: il 40% degli habitat e delle specie acquatiche hanno uno stato di conservazione inadeguato, solo il 29% è favorevole mentre il restante è in cattivo stato o sconosciuto.

I fiumi sono anche vittime del consumo di suolo che alimenta enormemente il fenomeno del dissesto idrogeologico, nonostante i fiumi in buono stato siano proprio gli antidoti migliori per poter adattarsi agli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici globali: il 91% dei comuni italiani si trova in aree di alta vulnerabilità mentre la percentuale di suolo consumato in aree a pericolosità idraulica elevata è del 7,3% mentre è del 10,5% nelle aree a pericolosità media. 

Contro i  mali dei nostri fiumi il Wwf sta sviluppando una nuova campagna  - #LiberiAmoifiumi - per promuovere interventi contro il degrado dei nostri corsi d’acqua,  favorire la loro rivitalizzazione con interventi di riqualificazione e rinaturazione e restituire, ove possibile, ai fiumi la loro libertà.

Le proposte del Wwf sono semplici: governo delle acque a livello di bacino idrografico, come richiesto dalle direttive europee, promozione di progetti di rinaturazione, come previsto dalla legge (L.133/2014) anche se fino ad ora non si è visto nulla, promozione di un’azione integrata di adattamento ai cambiamenti climatici che va dalla rinaturazione dei fiumi per ridurre gli effetti della troppa acqua (piene) o della sua scarsità (siccità), dalla costituzione di fasce tampone nel reticolo idrografico superficiale per ridurre l’impatto dell’inquinamento diffuso, alla promozione dei sistemi di drenaggio urbano sostenibile nelle città, già molto diffusi in Europa.

La campagna #LiberiAmoifiumi del Wwf  intende sensibilizzare istituzioni e cittadini a cambiare l’approccio culturale verso i nostri ecosistemi d’acqua dolce attraverso, una più adeguata informazione, azioni di citizen science e attività di formazione diffusa per tecnici e funzionari pubblici. 

lunedì 4 novembre 2019

Sanità, lunghe liste d'attesa ovunque



Liste di attesa male comune in tutto il territorio nazionale; il Sud arranca su screening oncologici e consumo di farmaci equivalenti; ancora quattro le Regioni che non hanno adottato il piano cronicità; le coperture vaccinali restano insufficienti, non solo al Sud. Questa la fotografia del federalismo sanitario che emerge dall’osservatorio civico presentato recentemente da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato.

Più di un cittadino su due, fra quelli che si rivolgono al servizio di consulenza e informazione del Tribunale per i diritti del malato ha denunciato difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie a causa delle liste di attesa.

Secondo un rapporto presentato dall’Istat nel novembre 2018 una percentuale non irrilevante di cittadini rinuncia alle cure per i lunghi tempi di attesa: ciò avviene soprattutto per le visite specialistiche.

La percentuale più alta di rinuncia è al Sud e nelle isole (4,3%) dei pazienti mentre la percentuale più bassa si rileva nel Nord Est (2,2%).

In ambito oncologico per un intervento per tumore al polmone si attendono circa 13 giorni in Basilicata, oltre 46 nelle Marche.

Per un intervento di tumore alla mammella i tempi più brevi si registrano nella provincia di Bolzano e in Calabria (18 giorni) mentre i tempi più lunghi sono in Sardegna (40,6).

Per il tumore all’utero i tempi di attesa variano tra i 16,2 giorni nella provincia di Bolzano e i 37,5 della Toscana.

Per il tumore al colon retto si va dai 14,4 giorni di attesa per l’intervento in Puglia ai 38,5 della Sardegna.

Per il tumore alla prostata la variabilità è ancora più marcata: dai 13,8 giorni di attesa in Molise agli 85,5 dell’Abruzzo.

Sbalordiscono le differenze tra tempi di accesso nel pubblico e in intramoenia per alcune prestazioni: ad esempio in Sicilia per una colonscopia si attendono 157 giorni nel pubblico e 13 in intramoenia, in Liguria per una visita oculistica si va dai 58 giorni del canale pubblico agli 8 del canale intramurario e anche in Emilia Romagna per una gastroscopia si va dai 45 giorni nel pubblico ai 6 giorni in intramoenia

Le regioni meridionali si collocano al di sotto della media nazionale (82,7 anni) rispetto alla speranza di vita alla nascita con 81,9 anni, mentre il settentrione si attesta sugli 83,2.

Le regioni che mostrano una speranza di vita alla nascita più lunga sono il Trentino Alto Adige con 83,8 anni e il Veneto con 83,4 anni. Le regioni peggiori sono la Campania (81,1) e la Sicilia (81,6).

Queste differenze emergono in modo più marcato se consideriamo la speranza di vita in buona salute. I cittadini nati in Calabria nel 2017 hanno una aspettativa di vita in buona salute di 9 anni e 1 mese inferiore a quelli nati in Emilia-Romagna e rispetto al Trentino Alto Adige addirittura di 15 anni inferiore.

Per quanto riguarda le coperture vaccinali, la Sicilia è indietro sulla copertura per il morbillo, Sardegna, Valle d’Aosta e provincia di Bolzano su quella antiinfluenzale.

Sebbene si siano registrati incrementi generalizzati nelle percentuali di bambini che sono stati sottoposti alle vaccinazioni obbligatorie, l’immunità di gregge, con percentuali superiori al 95%, è stata raggiunta soltanto da Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Piemonte, Sardegna, Toscana e Umbria.

Tutte le altre sono al di sotto di tale percentuale, con punte negative nel Friuli Venezia Giulia (90,2%) e nella provincia autonoma di Bolzano (84,7%).

Per l’adesione agli screening oncologici, parte del Sud e le isole sono ancora molto indietro.

Sono cinque le regioni che non raggiungono lo score (9) che definisce una regione adempiente rispetto ai Lea sull’adesione agli screening oncologici: Calabria (2), Campania e Sicilia (3), Puglia (4) e Sardegna (5).

Migliorano Lazio, Molise, Puglia, P.A. di Trento. L’Umbria invece con due punti di score in meno registra un peggioramento, pur rimanendo nell’ambito di un punteggio adeguato.

Al Sud, inoltre, non decollano i farmaci equivalenti.

Cresce il consumo di farmaci equivalenti nella provincia autonoma di Trento, in Lombardia e in Emilia Romagna (la spesa sul totale di quella farmaceutica è rispettivamente pari al 42,7%, 38,9% e 36,6%); il consumo cresce, fra 2017 e 2018, anche nelle regioni del Sud che tuttavia resta ancora l’area con il minor utilizzo di farmaci equivalenti: la Calabria passa dal 15,8% al 19,8%, la Basilicata dal 16,6% al 20,1%, la Campania dal 17% al 21,3%.