In un’intervista
pubblicata su www.huffingtopost.it,
il noto psichiatra Vittorino Andreoli è esplicito e molto duro nel commentare
alcune vicende verificatesi in Italia nelle ultime settimane: il nostro è un
Paese di idioti, violenti e barbari.
Mi
sembra utile e opportuno riportare integralmente l’intervista.
Professore Andreoli,
l’impressione che arriva dalla cronaca è che in Italia sia ormai diffuso un
bullismo trasversale, tutti bullizzano tutti. Stiamo diventando un Paese di
bulli?
Non
mi piacciono i termini “bulli” e “bullismo”, che dilagano pur non avendo
fondamento né antropologico né scientifico. Qui non si tratta di bullismo,
termine inventato dai giornalisti per riferirsi prevalentemente a comportamenti
che riguardano i giovani.
Di cosa si tratta,
allora?
Di
violenza, caratteristica umana, biologica, che non essendoci più freni
inibitori e in assenza di regole, principi, esempi, diventa comportamento
dominante.
Dilaga la violenza,
dunque, professore.
E’ un
fatto diffuso - pensi anche alle violenze tra persone anziane - e di grosse
dimensioni, che va spiegato tenendo sì presenti i comportamenti di chi compie
l’atto violento specifico, ma mai dimenticando che essi sono derivati ed
espressione di una grande crisi di civiltà. L’uomo che incontriamo è sempre
meno razionale, sempre più pulsionale.
Che significa?
Parlando
dello sviluppo della civiltà, Giambattista Vico spiegava come via via, nel
corso dei secoli, si è passati dalla barbarie alla società della ragione,
chiarendo che è la parte più umana - la ragione ma pure il rispetto degli
affetti - che riesce a dominare gli istinti. Senza questi freni siamo barbari.
Ecco, attualmente viviamo una fase di regressione verso la barbarie. Le sembra
che oggi si applichi la ragione?.
No.
La mia
era una domanda pleonastica. Questa regressione ci riporta al punto inverso del
percorso di cui parlava Vico.
Da cosa dipende secondo
lei?
Mancano
le regole, gli esempi. Non ci sono più le leggi, che, diceva Platone, devono
servire perché ci si rispetti tutti. La legge oggi è diventata una modalità per
fare quello che si vuole giustificandosi. Non valgono più regole, parole che
erano a fondamento del vivere civile.
A cosa si riferisce?
Alla
coerenza, per esempio, oggi considerata un segno di scarsa capacità di
adattamento alla società. Nel nostro Paese c’è chi sta esaltando il valore
dell’incoerenza. Ancora, da quanto tempo non si sente più usare la parola
“ladro”, che è uno che si adatta? Ormai c’è una perdita di ragione
generalizzata, una prevalenza di istinti e pulsioni non più inibiti. Mi piace
una donna? La pulsione da soddisfare è possederla. Mi piace un telefonino che
non posso acquistare? Lo rubo. Non è un caso che per avere successo bisogna
essere idioti. Per non dire del potere.
No, dica pure.
Il
potere è in mano ai cretini, la cultura è considerata inutile, il sapere non
conta. Conta il potere come verbo, faccio perché posso non perché è utile. Il
potere è la più grande malattia sociale che esiste. Di fronte a certe
imbecillità non si può stare zitti.
Di quali imbecillità
parla?
Pensi
alla stupidità di tirare fuori la castrazione chimica per stupratori e
pedofili. Con questo andamento ci avviciniamo all’homo stupidus stupidus, altro
che homo sapiens sapiens”.
All’homo stupidus
stupidus ha intitolato un suo celebre saggio. Ci siamo arrivati?
Guardi,
io non offendo nessuno, piuttosto faccio diagnosi. “Stupidus” ha la stessa
radice di “stupor”, “stupore” e io sono stupito che un Paese come il nostro,
con la sua illustre civiltà, si stia riducendo alla barbarie. Purtroppo lo
stupido non sa cos’è l’intelligente e pensa di esserlo, mentre l’intelligente
qualche volta ha il dubbio di essere stupido.
La proposta della
castrazione chimica è stata rilanciata dopo i fatti di Viterbo.
Quando
si parla di castrazione chimica penso ad Alan Turing, il grande matematico
britannico che riuscì a decodificare i messaggi criptati che durante il secondo
conflitto mondiale si scambiavano le potenze dell’Asse, contribuendo in modo
determinante alla vittoria degli Alleati. Ebbene, a guerra finita, Turing,
perché omosessuale fu emarginato e incarcerato e, sottoposto a castrazione
chimica, si suicidò. Solo un imbecille che non conosce la storia può riproporre
una tale stupidità. Ignorando l’elemento fondamentale della questione.
Quale?
“Ciò
che attrae una persona violenta o un pedofilo non è l’atto sessuale quanto il
fatto di poter dominare la vittima, ricorrendo alla sopraffazione. E’ possibile
che ci sia qualcuno convinto che la castrazione chimica eliminerà la violenza?
Non è il testosterone, è la mente, è il fatto che senza la ragione, gli
affetti, i principi a fare da freno, diventiamo crudeli. Il problema è tutto
quello che questa regressione ci sta portando via, per cui assistiamo a spettacoli
indegni: ruba chi accusava gli altri di farlo, si delegittima la magistratura,
si insufflano paure”.
È un atto d’accusa ai
nostri politici, a quanti ci governano?
Non
so se i destinatari sono gli attuali o ci sono di mezzo anche quelli che ci
hanno governato sei o otto mesi fa. Mi importa di più far capire che stiamo
regredendo e molto velocemente. La conquista di civiltà non è un fatto
biologico, non è che abbiamo i geni della civiltà. È un fatto che riguarda
l’essere umano, la sua parte umana. E, per come stanno andando le cose,
rischiamo di perdere le conquiste guadagnate con fatica nei secoli, nel giro di
due generazioni.
Nel 2013 lei dichiarava
“L’Italia è un malato di mente grave”. Sei anni dopo a che punto è la notte?
La
situazione è gravissima, mi creda. Penso a Camus, al medico che ne “La peste”,
nonostante non abbia mezzi, non si ferma davanti al dilagare dell’epidemia,
continua a curare i malati e alla fine la malattia passa. Sei anni fa credevo
ci fossero i medici per curare la malattia del Paese, adesso non intravedo
possibilità di cura”.
Chi erano i medici che
non ci sono più?
“Le
regole sociali, gli esempi, l’umanesimo. Il potere è degenerato. Anche nei
periodi più duri della nostra democrazia c’era chi, una volta eletto, si
impegnava ad aiutare tutti gli italiani”.
Oggi invece?
È la
prima volta che ci sono i partiti, ma non c’è il Governo. E chi governa dice:
“Ci sono io, faccio io, questo non mi piace, lo caccio”. Magari se chi sostiene
cose del genere leggesse la Costituzione capirebbe che ci sono anche delle
prerogative precise del Capo dello Stato. Ancora, di fronte all’emergenza
sull’educazione dei giovani, non si può rispondere dicendo: “Non è nel
contratto di governo”. Qui ci stiamo giocando la democrazia.
E’ davvero così grave
la situazione?
Assolutamente.
Gli italiani non credono più nel fondamento della democrazia, che è il voto. E’
inaudito che l’espressione della preferenza di una persona, come purtroppo
vediamo accadere nel nostro Paese, venga addirittura monetizzata, venduta. È un
segno chiaro che la democrazia è in pericolo. Anzi è in agonia. Bisogna stare
attenti.
Lei quindi vede
il rischio di una deriva democratica?
Certo.
La nostra democrazia non è mai stata perfetta, ma a differenza di quanto accadeva
in passato, oggi non ci si sforza più di renderla compiuta. E il fascismo, un
fatto storico definito, non si può neanche nominare. Qui si sta castrando la
democrazia, altro che castrazione chimica.
Intanto nel Paese
dilaga la paura, altro sentimento al quale lei ha dedicato anni di studi e
diversi saggi.
Oggi
in Italia tra i sentimenti più diffusi non c’è la paura, che può essere anche
positiva quando ci permette di percepire i rischi, quanto piuttosto la paura
della paura. Ci inducono paure, frutto non di esperienza diretta ma veicolate
attraverso i mezzi di comunicazione, per mostrarci di sapere risolvere
determinate questioni mentre in realtà non sanno farlo.
Si riferisce ai
migranti?
Certo,
ma anche all’idea che stiamo morendo tutti di fame, all’importanza del Pil,
alle conseguenze che possono derivare dai vaccini. Quando manca la cultura si
può dire di tutto. Ci stanno spaventando perché il potere diventa forte se
spaventa. È tutto regolato dal “dito su-mi piace, dito giù-non mi piace”.”
Anche lei demonizza la
cultura digitale, internet e i social network?
“Il
digitale è una delle più grandi scoperte della modernità, internet è uno
strumento straordinario che ha consentito al sapere di fare grandi passi
avanti, ma nella vita quotidiana buttarsi dentro i social - vere e proprie
fughe dai sentimenti, dalle relazioni - assorbiti da video, post, commenti,
rischia di far smarrire l’umanità. I figli dimenticano i padri e i padri i
figli”.
Nel suo ultimo libro
“Il rumore delle parole”, il protagonista, un anziano che ha trovato nella rete
il modo di addomesticare l’abbandono, “alla fine capisce che la cosa migliore è
suonare il campanello del vicino e vedere cosa può fare per loro”. Vale solo
per gli anziani?
Vale
per tutti.
La situazione è
degenerata, professore. Esiste una strada per invertire la rotta?
Ho
ancora fiducia nei giovani. Ce ne sono di bravissimi, che si impegnano, animati
da grande passione. Penso anche a quei bambini che diffondono messaggi
positivi, speriamo non li strumentalizzino. Ma siamo in grande pericolo. Voglio
credere nei giovani, ecco perché non utilizzo il termine bullismo, creato per riferirsi prevalentemente a loro. Affido le mie speranze
non al potere, ma ai giovani che non ce l’hanno.
Per quanto mi riguarda, io condivido in pieno i contenuti
delle risposte di Andreoli.