E’ stato annunciato, al termine del Consiglio dei ministri del 29 agosto, che dal 2018 sarà in vigore il cosiddetto reddito d’inclusione, un intervento volto a contrastare la povertà assoluta. Le valutazioni delle associazioni del terzo settore sono piuttosto simili: bene la conclusione di questo iter che porta finalmente in Italia una misura strutturale contro la povertà, ma essa non interesserà purtroppo i due terzi dei quattro milioni e mezzo di persone che in Italia vivono in condizioni economiche critiche.
Infatti sono stati stanziati solo 2 miliardi di euro mentre sarebbe necessario almeno il triplo di questa somma.
E sarebbe opportuno che la legge di bilancio, che dovrà essere approvata nei prossimi mesi, preveda un aumento delle risorse finanziarie a disposizione per il cosiddetto Rei di quell’entità.
Cosa hanno dichiarato i rappresentanti delle associazioni?
Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli e portavoce dell’Alleanza contro la povertà in Italia, ha dichiarato “La conclusione di un iter cominciato lo scorso aprile con la firma del memorandum d’intesa che aveva impegnato il governo all’emanazione di un decreto legislativo è un fatto positivo.
Il Rei copre solamente un terzo dei quattro milioni e mezzo di persone che in Italia vivono in povertà assoluta. Come Alleanza chiederemo ulteriori stanziamenti per la progressiva estensione della platea degli utenti del Rei, sino a raggiungere l’intera popolazione in povertà assoluta, ma anche un processo serio di potenziamento della capacità di presa in carico da parte dei servizi”.
Di “primo atto concreto nella costruzione di una strategia nazionale di contrasto alla povertà”, parla la Cgil nazionale che però, ribadisce: “E’ ancora insufficiente”.
Secondo il sindacato, infatti, con le risorse attualmente stanziate, il decreto “limita l’intervento ad una platea ristretta”. Per la Cgil serve quindi “adeguare progressivamente il finanziamento, già con le prossime manovre finanziarie, per rendere il reddito di inclusione una misura effettivamente universale che copra l’intera platea delle persone aventi diritto, senza alcuna discriminazione”.
Per la Cgil, inoltre, bisogna anche fare in modo che il Rei “non si riduca a mero trasferimento monetario, ma sia effettivamente accompagnato da un progetto personalizzato per le persone e i nuclei familiari con un percorso di reinserimento socio-lavorativo a cura dei servizi del welfare locale. Solo così si potrà realmente favorire l'uscita dalla condizione di povertà”.
Per don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione della Casa della Carità quello predisposto col Rei è “un contributo piccolo e inadeguato per rispondere alla grande lotta contro la povertà” ma anche “importante e significativo perché è un primo passo che dà dei contributi economici legati però ad un percorso personalizzato di inserimento sociale che dovrebbe lasciare sul territorio anche degli investimenti riguardanti gli assistenti e i servizi sociali”.
Ad auspicare anche un piano nazionale di contrasto alla povertà minorile, invece, è Save the Children, che sottolinea l’importanza del varo definitivo del Rei.
“Con l’approvazione definitiva del reddito di inclusione si inizia ad affrontare, in modo organico, la gravissima condizione di povertà minorile in Italia - spiega Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa per l’organizzazione -.
Ora è indispensabile attuare su tutto il territorio nazionale la nuova misura e fare sì che a questo primo passo segua a breve la definizione di un piano nazionale di contrasto alla povertà minorile, che sostenga le famiglie, potenzi i servizi sociali ed educativi nonché le reti di protezione, per fronteggiare efficacemente quella che in Italia è oggi una vera e propria emergenza silenziosa”.
Secondo gli ultimi dati disponibili, infatti, i bambini che vivono in condizioni di povertà assoluta in Italia sono un milione e 292.000, pari a un minore su otto e con 161.000 poveri in più rispetto alla precedente rilevazione.