giovedì 25 febbraio 2021

Come interrompere la strage dei femminicidi?

 

Con il nuovo anno si è assistito ad un aumento del numero dei femminicidi. Certo, è presto per affermare che il 2021 sarà contraddistinto da una consistente crescita dei femminicidi. Comunque, quanto fino ad ora avvenuto è senza dubbio molto preoccupante.

Difficile individuare le cause dell’aumento del numero dei femminicidi.

Può avere inciso la pandemia e le misure introdotte per contrastare l’emergenza sanitaria.

Ma al di là delle cause, una domanda sorge spontanea: come operare per ridurre, quanto meno, il numero dei femminicidi?

Alcuni interventi sono ben noti.

E’ necessario accrescere le denunce da parte delle donne che subiscono violenze, fisiche e non, da parte dei loro partner o da parte dei loro ex partner.

E’ necessario che le istituzioni preposte a contrastare il fenomeno, quali la magistratura e le forze dell’ordine, siano molto più attente e non sottovalutino i diversi “campanelli d’allarme” che possono costituire delle avvisaglie di possibili femminicidi.

Come in altri casi, occorre riconoscere che soprattutto le forze dell’ordine non dispongono delle risorse umane sufficienti. Però esse devono fare di più quanto sono riuscite a fare fino ad ora.

Io credo però che risultati significativi non potranno essere ottenuti se non cambia radicalmente il modo di pensare di molti uomini, la natura delle loro relazioni con le donne.

Per il futuro, sarà molto utile, ammesso che sia possibile, il ruolo della scuola nell’educare i giovani ad adottare un comportamento diverso nei loro rapporti con le donne.

Ma non si può attendere che, eventualmente, il mondo della scuola svolga anche questo compito.

Il cambiamento nell’atteggiamento degli uomini deve avvenire nel più breve tempo possibile.

E per ottenere questo obiettivo non credo che vi sia altra alternativa ad una campagna molto estesa da parte dei media proprio rivolta agli uomini.

E i media di proprietà pubblica devono essere i primi a promuovere iniziative rivolte a modificare la mentalità degli uomini.

Non sarà facile ma, quanto meno, è necessario provarci.

lunedì 22 febbraio 2021

No al reddito di cittadinanza e a quota 100

 

Il reddito di cittadinanza e l’introduzione della cosiddetta quota 100 nel sistema pensionistico furono due dei principali provvedimenti varati dal primo governo Conte, il primo sostenuto dal movimento 5 stelle e il secondo dalla Lega.

Io credo che entrambi i provvedimenti dovranno essere aboliti dal nuovo governo presieduto da Mario Draghi.

Infatti, il reddito di cittadinanza ha fallito il suo principale obiettivo, quello di trovare un lavoro a coloro che si trovano in una condizione di povertà.

Pochissimi tra coloro che hanno goduto del reddito di cittadinanza hanno trovato un’occupazione.

Hanno trovato un’occupazione, seppur precaria, i cosiddetti “navigator”, i quali avrebbero dovuto contribuire a riformare i centri per l’impiego, che da anni si sono dimostrati fortemente inadeguati nel favorire l’assunzione dei disoccupati.

Gran parte delle assunzioni avvenivano e avvengono senza l’ausilio dei centri per l’impiego.

E tale situazione non si è affatto modificata con l’introduzione del reddito di cittadinanza.

Certo, è necessario prevedere interventi a favore dei poveri il cui numero, peraltro, è aumentato, negli ultimi periodi, soprattutto a causa degli effetti economici provocati dalla pandemia.

Ma è sufficiente dotare di risorse economiche molto consistenti un provvedimento simile al cosiddetto Rei che già esisteva prima del reddito di cittadinanza.

Quanto alla quota 100, come molti prevedevano, ha sì consentito a molti lavoratori di andare in pensione anticipatamente ma solo una piccola parte dei posti resisi così vacanti sono stati ricoperti da giovani disoccupati.

E la spesa pensionistica, con quota 100, è quindi aumentata, senza reali benefici per i giovani.

Quota 100 ha rappresentato la testimonianza più evidente di quanto la maggioranza dei partiti, in questo caso la Lega, si occupino delle persone che già lavorano mentre trascurano le esigenze dei giovani.

Infatti sarebbe stato molto meglio utilizzare i fondi destinati ad anticipare la pensione di molti lavoratori per favorire, invece, l’ingresso nel mercato del lavoro di giovani disoccupati.

Quindi mi sembra del tutto evidente che il governo Draghi non debba prorogare né il reddito di cittadinanza né quota 100, se intende davvero attuare una politica economica a favore delle giovani generazioni.

giovedì 18 febbraio 2021

Prima più lavoro e poi più incarichi per le donne


Poche ministre nel governo Draghi. Pochi incarichi di rilievo per le donne anche nelle aziende. Differenze retributive tra donne e uomini che svolgono lo stesso lavoro. Questi argomenti sono stati oggetto di notevole attenzione, negli ultimi giorni, da parte dei media.

Certo sono questioni importanti.

Sarebbe necessario che il numero delle ministre fosse maggiore.

Sarebbe necessario che, anche in altri ambiti, ad esempio nelle aziende, fossero di più le donne che assumono incarichi dirigenziali.

Sarebbe necessario che non vi fossero differenze retributive fra donne e uomini che svolgono lo stesso lavoro.

Io credo però che ancora più importante è il fatto che il numero delle lavoratrici è molto basso. Fra le giovani è ancora più basso.

Le differenze con gli altri Paesi sono notevoli.

Peraltro, sono state soprattutto le donne che hanno perso il lavoro in seguito agli effetti economici causati dalla pandemia.

Quindi sarebbe indispensabile attuare interventi di varia natura per accrescere, considerevolmente, l’occupazione femminile, soprattutto fra le giovani e soprattutto nel Meridione.

Non mi soffermo su quali interventi devono essere attuati. Fra l’altro sono ben noti.

Ma questi interventi non vengono attuati.

Pertanto, l’obiettivo prioritario, per le donne, è l’aumento dell’occupazione.

L’aumento del numero delle ministre e del numero delle donne che assumono incarichi dirigenziali in altri ambiti viene dopo.

Si potrebbe sostenere che se il numero delle ministre fosse maggiore sarebbe più facile promuovere una politica rivolta ad accrescere l’occupazione femminile. E’ giusto sostenerlo.

Rimane il fatto che, a mio avviso, l’obiettivo fondamentale, prioritario, è l’incremento dell’occupazione femminile.

lunedì 15 febbraio 2021

Perchè ho fiducia in Mario Draghi

 

Mario Draghi è diventato presidente del Consiglio. Io ho fiducia in Mario Draghi. Credo che potrà fare bene nel suo nuovo incarico, nonostante che i problemi cui si troverà di fronte saranno molti e di notevole rilievo, dall’emergenza sanitaria all’emergenza economica a quella sociale.

I motivi che mi spingono ad avere fiducia in Mario Draghi sono diversi.

Certamente il ruolo che ha svolto come presidente della Banca centrale europea.

Ma per me è forse più importante un altro motivo.

Mario Draghi è stato uno degli allievi di Federico Caffè, uno dei principali economisti italiani del Novecento, con il quale, fra l’altro, si è laureato.

Caffè insegnò per molti anni alla facoltà di economia dell’università La Sapienza di Roma.

Caffè può essere definito, senza dubbio, un keynesiano.

Riteneva che l’intervento pubblico in economica fosse indispensabile. Infine riteneva che l’economia di mercato fosse contraddistinta da limiti insuperabili.

E per superare quei limiti, per tentare ad esempio di raggiungere l’obiettivo della piena occupazione, o almeno per avvicinarcisi, era necessario l’intervento pubblico. Di qui la notevole attenzione di Caffè alla politica economica.

Caffè era molto interessato agli effetti sociali determinati dalle misure di politica economica e riteneva che esse dovevano anche essere finalizzate al verificarsi di un’equa distribuzione dei redditi.

Quindi Caffè si occupava anche di temi di natura etica che, generalmente, vengono trascurati dagli economisti.

Si potrebbe sostenere che Mario Draghi non sempre, nei suoi diversi incarichi, abbia rispettato i principi ispiratori del pensiero economico di Federico Caffè.

Ma, nell’ambito del suo incarico più importante, quello di presidente della Bce, io ritengo che li abbia rispettati, soprattutto quando ha attuato una politica monetaria fortemente espansiva, peraltro non tradizionale e caratterizzata da contenuti fortemente innovativi, scontrandosi soprattutto con esponenti politici ed economici tedeschi.

Perché non dovrebbe rispettare le “lezioni” di Federico Caffè anche come presidente del Consiglio?

Io ritengo che lo farà, se non gli verranno frapposti ostacoli insuperabili soprattutto da parte dei rappresentanti dei partiti che sostengono la sua maggioranza di governo.

Ma, attualmente, i partiti sono molto deboli e di conseguenza i margini a disposizione di Mario Draghi sono molto ampi.

giovedì 11 febbraio 2021

Zacki e Regeni, prima gli interessi economici e poi i diritti umani

 

E’ passato un anno dall’inizio della carcerazione di Patrick Zacki. Le autorità egiziane continuano a non collaborare per l’individuazione degli assassini di Giulio Regeni. E questo anche perché le pressioni esercitate sull’Egitto dal governo italiano sono state del tutto insufficienti.

Non stupisce tale situazione.

Infatti per le autorità di governo italiane, come per quelle di molti altri Paesi, vengono prima gli interessi economici e poi la tutela dei diritti umani.

L’unico modo, credo, per ottenere dei risultati concreti nelle vicende che riguardano Zacki e Regeni sarebbe l’attuazione di sanzioni economiche nei confronti dell’Egitto.

Il condizionale è d’obbligo, infatti, molto spesso, nel mondo, prima della tutela dei diritti umani viene la tutela degli interessi economici.

Io capisco che adottare sanzioni economiche nei confronti dei Paesi che calpestano i diritti umani non è facile.

Le ripercussioni negative sulle imprese dei Paesi che adottassero sanzioni economiche sono evidenti. Molti posti di lavoro sarebbero a rischio.

Ma di fronte a palesi e pesanti violazioni dei diritti umani non si può far finta di niente e limitarsi a dichiarazioni o ad appelli.

E, ripeto, il problema non riguarda solamente l’Italia, tutt’altro.

Un esempio è sufficiente, il caso di Aleksej Navalny.

Dopo la recente condanna di Navalny da parte delle autorità russe, molti Paesi europei hanno protestato vivacemente.

L’alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, Josep Borrell, si è recato a Mosca per chiedere la scarcerazione di Navalny. La scarcerazione non è avvenuta, mentre alcuni diplomatici europei sono stati espulsi.

Ma Germania e Francia non sembrano intenzionate di applicare nuove sanzioni economiche nei confronti della Russia. La Germania, ad esempio, non vuole interrompere la costruzione del gasdotto Nord Stream 2 che la collega con la Russia.

Sarebbe pertanto necessario che i governi che sostengono l’importanza della tutela dei diritti umani si attivassero concretamente, non solo a parole, appunto anche con sanzioni economiche, nei confronti dei Paesi che si rendono colpevoli di inaccettabili violazioni di quei diritti.

lunedì 8 febbraio 2021

Draghi non è un conservatore

 

Dopo che Mario Draghi è stato incaricato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di tentare di formare un nuovo governo, talvolta è stato accusato di essere un “uomo delle banche” e, di conseguenza, di aver assunto in passato delle posizioni in campo economico conservatrici.

In realtà le sue posizioni, e le sue decisioni, non possono essere considerate conservatrici. Tutt’altro.

Soprattutto quando è stato presidente della Banca centrale europea, Draghi è stato un innovatore.

Le sue decisioni hanno cambiato radicalmente il modo di operare della Bce, incontrando in questo modo le critiche, e le opposizioni, di chi in Europa riteneva opportuno che la Bce attuasse una politica monetaria tradizionale e conservatrice, primo fra tutti il presidente della Banca centrale tedesca, Jens Weidmann.

Invece Mario Draghi ha attuato una politica monetaria fortemente espansiva, facendo in modo, tra l’altro, che la Bce acquistasse, diversamente dal passato, quantitativi molto consistenti di titoli pubblici emessi dai Paesi europei.

Pertanto Draghi ha operato affinchè i Paesi dell’Unione europea avessero a disposizione un’ ampia liquidità a tassi di interesse molto bassi.

E la politica monetaria promossa da Draghi è stata determinante affinchè i Paesi dell’Unione europea fossero in grado di uscire dalla crisi economica che li ha contraddistinti negli anni passati.

Inoltre, recentemente, dopo la pandemia, Draghi, in più occasioni si è espresso a favore di una forte crescita della spesa pubblica, anche finanziata in deficit, senza la quale sarebbe impossibile affrontare la nuova e molto pesante crisi economica, determinata dalla diffusione del Covid-19.

E, quindi, Draghi ha sostenuto che il debito pubblico dei Paesi europei, in questo periodo, non poteva che aumentare.

Certamente, ha distinto tra debito pubblico buono e debito cattivo, il primo determinato dall’effettuazione di investimenti, in primo luogo rivolti a migliorare le condizioni economiche e non delle giovani generazioni, il secondo determinato da spese correnti improduttive.

Ma queste sue considerazioni sono giuste se si vuole che il debito pubblico provochi un  forte aumento del Pil.

Per questi motivi, Mario Draghi non può essere considerato un conservatore, un vero riformista invece.

E ha dimostrato di esserlo non a parole ma con i fatti, soprattutto quando è stato presidente della Banca centrale europea.

giovedì 4 febbraio 2021

Gli adulti italiani sono ignoranti?

 

In uno studio dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) si analizzano i livelli di istruzione degli adulti in Italia. I principali risultati dello studio sono tutt’altro che confortanti. Peraltro confermano quanto è emerso da altre ricerche precedenti.

Infatti l’Italia ha quasi 13 milioni di adulti con un livello di istruzione basso (categoria Isceo-2, equivalente alla terza media).

Più di un adulto su due è potenzialmente bisognoso di riqualificazione a causa di competenze obsolete o che a breve lo diventeranno, a causa dell’innovazione e del cambiamento tecnologico in atto nel mondo del lavoro, oppure perché, nonostante la laurea, possiedono scarse capacità digitali, di alfabetizzazione e di calcolo..

E la quota di adulti che partecipa ad attività di istruzione e di formazione è tra le più basse a livello internazionale. Ci si attesta a un modestissimo 24% contro il 52% della media Ocse.

I circa 13 milioni di adulti italiani con basso livello di istruzione rappresentano circa il 20% della popolazione adulta europea con un basso livello di istruzione, a testimonianza di un’emergenza formativa piuttosto ampia che caratterizza, da tempo, il nostro Paese.

Quindi l’emergenza formativa non riguarda solo gli studenti, ma anche gli adulti appunto.

Per essere ancora più chiari, gran parte degli adulti con un livello di istruzione basso riescono, con difficoltà, a leggere testi brevi su argomenti familiari e a individuare informazioni specifiche, e, soprattutto, non sono in grado di associare testo e informazioni.

Altri dati, più conosciuti, non possono essere trascurati.

La popolazione di 25-64enni che dispone di un diploma di laurea, in Italia, è ferma al 19,6%, contro un valore medio europeo pari al 33,2%.

Inoltre l’Italia è in coda per i giovani laureati nelle discipline Stem (Science, Tecnhology, Engineering and Mathematics), le più ricercate: nel 2019 solo il 24,6% dei 25-34enni ha una laurea in queste materie tecnico-scientifiche (il 37,3 % sono uomini, appena il 16,2% sono donne).

Cosa fare quindi?

Io credo che occorra intensificare notevolmente gli interventi per la formazione continua.

Si deve creare un vero e proprio sistema nazionale integrato per l’apprendimento permanente  e il riconoscimento delle competenze della popolazione in Italia.

lunedì 1 febbraio 2021

Dei vaccini agli africani non ci interessa niente

 

In Europa ci si preoccupa molto della adeguata disponibilità dei vaccini contro il Covid-19 in modo tale da poter coinvolgere, in tempi relativamente brevi, gran parte della popolazione dei diversi Paesi.

Tale preoccupazione è dovuta al fatto che, fino ad ora, solo poche società farmaceutiche hanno realizzato vaccini efficaci e sicuri ed inoltre non tutte hanno intenzione di rispettare gli impegni, relativi ai quantitativi dei vaccini da rendere disponibili, che avevano preso con l’Unione europea.

Questa preoccupazione è più che giustificata perché se, in qualche modo, non si riuscirà ad avere i quantitativi necessari per rendere immune gran parte della popolazione europea in tempi relativamente brevi, la lotta contro il Covid-19 diventerà molto più difficile del previsto.

Ma ci si dovrebbe preoccupare anche della necessità di vaccinare quanti abitano nei diversi Paesi dell’Africa, e nei Paesi, di altri continenti, più poveri.

Invece, nessuno, o quanto meno, pochi si interessano di fare in modo che la vaccinazione si estenda anche all’Africa e agli altri Paesi meno sviluppati economicamente.

Peraltro i Paesi africani non dispongono delle risorse economiche per acquistare i vaccini, generalmente molto costosi, e neanche dell’organizzazione necessaria per attuare una campagna vaccinale molto estesa quale quella contro il Covid 19.

L’Organizzazione mondiale della sanità ha evidenziato il problema.

Ma devono essere i Paesi più ricchi, o le istituzioni internazionali a cui aderiscono, a farsi carico della necessità di vaccinare le popolazioni dei Paesi più poveri.

Lo dovrebbero fare, del resto, non solo per solidarietà ma anche perché, ad esempio, se molti africani non saranno interessati dalla vaccinazione, il Covid 19 potrebbe nuovamente colpire gli abitanti dei Paesi più ricchi, pur se vaccinati, anche perché si potrebbero generare delle varianti del virus non aggredibili dai vaccini fino ad ora prodotti.

Forse i Paesi più ricchi pensano che debba essere la Cina ad attivarsi per vaccinare gli africani, pur sapendo che la Cina lo potrebbe fare per aumentare la dipendenza economica dei Paesi africani nei suoi confronti?

Io non mi stupisco di questo generale disinteresse dei Paesi più ricchi riguardo alla necessità che la campagna vaccinale si estenda anche ai Paesi più poveri.

Infatti i Paesi ricchi molto spesso si disinteressano di altri problemi che colpiscono i Paesi più poveri, dalle altre malattie, alla fame, ai numerosi conflitti armati.

Io spero che i Paesi ricchi mutino atteggiamento, ma non sono molto fiducioso che lo facciano davvero.