In campagna elettorale la Lega, per quanto riguarda le pensioni, sta
sostenendo una proposta, la cosiddetta quota 41 (si fa riferimento agli anni di
contribuzione), apprezzata anche da Sinistra italiana, capeggiata da Fratoianni,
e dai sindacati.
Un’alleanza, questa sulle pensioni, anomala certamente.
Ma la proposta suscita perplessità non tanto, o non soltanto, per chi la sostiene, ma soprattutto per i suoi contenuti che, a mio avviso, risultano inaccettabili.
Per arrivare a tale conclusione è sufficiente citare alcune parti dell’articolo di Massimo Taddei, pubblicato su www.lavoce.info, relative al calcolo dei costi derivanti dall’eventuale attuazione della proposta in questione, che si basa soprattutto su alcune valutazioni formulate dall’Inps:
“…Innanzitutto, vanno considerate due premesse: la prima è che l’Inps, nel suo calcolo, fa l’assunzione che il 100% dei potenziali beneficiari aderirebbe a quota 41.
Potrebbe sembrare una stima eccessiva, ma, considerando l’elevata anzianità contributiva degli eventuali beneficiari e, quindi, la quasi totale mancanza di penalizzazione sull’assegno pensionistico, il ‘take-up’ della misura non dovrebbe allontanarsi di molto da questa cifra.
In secondo luogo, l’Inps ha stimato il costo di quota 41 assumendo che il metodo di calcolo dell’assegno pensionistico non cambi.
Secondo i calcoli dell’Inps, nel breve-medio periodo il costo di quota 41 varierebbe da poco meno di 5 miliardi nel primo anno a oltre 9 nel decimo anno di entrata in vigore.
Nel corso di un decennio, la spesa superiore rispetto al sistema attuale sarebbe di circa 75 miliardi, più di quanto l’Unione europea ha concesso all’Italia come contributi a fondo perduto all’interno delle risorse per il Pnrr.
Per quanto riguarda l’impatto di lungo periodo, l’Inps stima che la modifica al sistema porterà dei vantaggi dopo il 2040, quando inizierà a registrarsi un risparmio dovuto ai minori assegni pensionistici a causa dell’uscita anticipata dal lavoro.
Per tutto il periodo precedente, però, continuerà a registrarsi una spesa pensionistica più elevata rispetto allo scenario attuale, che, seppur inferiore ai massimi di 9 miliardi nel 2031, avrà ancora un peso consistente sui conti pubblici nei dieci anni successivi al picco di spesa.
75 miliardi nei primi dieci anni di implementazione della misura sembrano davvero troppi perché quota 41 risulti sostenibile per le casse dello Stato, anche perché coloro che andrebbero in pensione sarebbero sostituiti solo in minima parte da giovani …
E infatti, se si guarda a quanto è già avvenuto con quota 100, si può dichiarare senza dubbio che anticipare il momento della pensione per i più anziani non garantisce la sostituzione sul mercato del lavoro da parte dei giovani: nel caso di quota 100, per ogni due lavoratori andati in pensione con la misura, è entrato sul mercato del lavoro un solo nuovo lavoratore (peraltro non necessariamente giovane), determinando un calo dell’occupazione…”
Quindi è legittimo sostenere quota 41 costerebbe troppo ed, inoltre, come avvenuto con quota 100, toglierebbe risorse finanziarie che potrebbero essere destinate ai giovani, favorendo ad esempio un loro inserimento, non precario, nel mercato del lavoro.
Ancora una volta, quindi, con quota 41, non si penserebbe affatto ai giovani, da parte delle autorità di governo, ma anzi loro verrebbero penalizzati.
Non sarebbe certo una novità, ma tale situazione non potrebbe comunque essere valutata positivamente, tutt’altro.