lunedì 29 giugno 2020

Sempre più difficile essere madri



L’Italia si è presentata alle porte di un’emergenza senza precedenti come quella causata dal coronavirus con oltre 6,2 milioni di madri con un almeno un figlio minorenne. Molte di loro sono costrette a rinunciare alla carriera professionale (tra i 25 e i 54 anni solo il al 57% delle madri risulta occupata rispetto all’89,3% dei padri), non possono appoggiarsi ad una rete per la prima infanzia (solo il 24,7% dei bambini frequenta un  servizio socio-educativo per la prima infanzia) e spesso ammettono di aver modificato qualche aspetto della propria attività lavorativa per cercare di conciliare lavoro e vita privata. 

E’ questo il quadro preoccupante che emerge dall'analisi di Save the Children “Le Equilibriste:la maternità in Italia 2020”, dal quale emerge chiaramente che la condizione delle madri in Italia non riesce a superare alcuni gap, come quello molto gravoso del carico di cura, che costringe molte di loro ad una scelta netta tra attività lavorativa e vita familiare.

Una situazione già critica che è ulteriormente peggiorata con l’emergenza Covid-19, specie per le 3 milioni di lavoratrici con almeno un figlio piccolo (con meno di 15 anni), circa il 30% delle occupate totali. 

Le mamme nell’ultimo periodo sono sempre più “equilibriste”: nonostante quasi la metà di quelle intervistate (44,4%) stia proseguendo la propria attività lavorativa in modalità agile, tra queste, solo il 25,3% ha a disposizione una stanza separata dai figli e compagni/e/mariti dove poter lavorare, mentre quasi la metà (42,8%) è costretta a condividere lo spazio di lavoro con i familiari.

In questo periodo, per 3 mamme su 4 tra quelle intervistate (74,1%) il carico di lavoro domestico è aumentato, sia per l’accudimento di figli/e, anziani/e in casa, persone non autosufficienti, sia per le attività quotidiane di lavoro casalingo (spesa, preparazione pasti, pulizie di casa, lavatrici, stirare).

All’interno dei nuclei familiari, comunque, le mamme continuano ad avere netta la sensazione che tutto “pesi sulle loro spalle”: solo per una mamma su cinque la situazione di emergenza ha rappresentato un’occasione per riequilibrare la ripartizione del lavoro di cura e domestico con le altre persone che vivono insieme a lei (19,5%).  

E’ ancora più precaria la situazione delle donne che vivono in condizioni di vulnerabilità socio-economica.

In un’altra recente indagine, emerge come il carico di cura nelle famiglie vulnerabili  sia sulle spalle delle donne, senza il supporto degli uomini: sono praticamente da sole a occuparsi dei figli (51,7%), a pulire la casa e lavare i vestiti (l’80,2%), a fare la spesa (50,3%), cucinare (70,5%). 

“Con l’avvio della fase tre, le più penalizzate rischiano di essere le madri lavoratrici, circa il 6% della popolazione italiana.

Con la mancata riapertura dei servizi per la primissima infanzia molte donne, soprattutto quelle con retribuzioni più basse e impiegate in settori dove è necessaria la presenza fisica, rischiano di dover decidere di non rientrare al lavoro, aggravando la già difficile situazione dei livelli occupazionali femminili italiani.

Per quelle che invece potranno lavorare in smart working, è forte il rischio di un carico eccessivo di lavoro e di cura” ha rilevato Antonella Inverno, responsabile politiche per l’infanzia di Save the Children, che così ha proseguito “Non è solo la chiusura dei servizi per la prima infanzia a preoccupare le madri, ma anche la gestione della didattica a distanza, che soprattutto per le scuole primarie, necessita di un continuo supporto da parte di un adulto a casa, e soprattutto la gestione del carico emotivo dei figli, ancora oggi dimenticati dalla politica nella fase della ripartenza.

E’ necessario adottare al più presto un piano straordinario per l’infanzia e l’adolescenza, che metta al centro i diritti dei minorenni, perché le famiglie non devono essere lasciate sole ad affrontare le sfide educative e sociali che la crisi sanitaria ha imposto”. 

Sul fronte occupazionale, l’Italia rimane tra i paesi in Europa con il divario di genere più consistente (18 punti di distanza tra donne e uomini rispetto alla media europea di 10 punti a vantaggio maschile), divario che all’indomani dell’emergenza Covid19, rischia di diventare incolmabile. 

Nel nostro Paese per la fascia di età 20-64 anni ad essere occupato nel 2018 era il 72,9% degli uomini a fronte del 53,1% delle donne. Inoltre persiste una considerevole distanza che separa le donne 15-64enni occupate del Nord (59,7%) dal quelle del Sud (32,8%). 

Secondo l’Istat in particolare le madri occupate sono il 69,4% al Nord, il 65,1% al Centro e appena il 35,9% nel Mezzogiorno, poco più di una su tre.

Spesso sono disoccupate o inattive, ma anche con tipi di contratti precari e a termine ed è per questo che, ben il 46% di loro non può usufruire dei congedi parentali, che il decreto Rilancio destina solo ai lavoratori dipendenti.

giovedì 25 giugno 2020

I problemi della sanità italiana evidenziati dal coronavirus


Poche luci e molte ombre sul servizio sanitario nazionale, penalizzato da riduzioni di spesa pubblica e sempre maggiore carenza di personale medico e infermieristico. Alla vigilia della pandemia, il sottofinaziamento della sanità, insieme alla “devolution” che ha di fatto creato 21 diversi sistemi sanitari regionali diversamente performanti, ha determinato conseguenze per i cittadini, che non hanno potuto avere le stesse garanzie di cura. Questa la principale conclusione della diciottesima edizione del rapporto “Osservasalute”.

Il rapporto è stato curato dall’osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni Italiane che opera nell’ambito di Vihtaly, spin off dell’Università Cattolica, presso il campus di Roma.

Il rapporto è stato il frutto del lavoro di 238 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano che operano presso università, agenzie regionali e provinciali di sanità, assessorati regionali e provinciali, aziende ospedaliere e aziende sanitarie, Istituto superiore di sanità, Consiglio nazionale delle ricerche, istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori, ministero della Salute, agenzia italiana del farmaco, Istat.

Emblematici i principali dati economici: dal 2010 al 2018 la spesa sanitaria pubblica è aumentata di un modesto 0,2% medio annuo, molto meno dell’incremento del Pil che è stato dell’1,2%.

Al rallentamento della componente pubblica delle risorse finanziarie ha fatto seguito una crescita più sostenuta della spesa privata delle famiglie, pari al 2,5%.

Nel 2018, la spesa sanitaria complessiva, pubblica e privata sostenuta dalle famiglie, ammontava a circa 153 miliardi di euro, dei quali 115 miliardi di competenza pubblica e circa 38 miliardi a carico delle famiglie.

I tagli alla spesa non sono stati sempre accompagnati da un aumento di efficienza dei servizi, e spesso si sono tradotti piuttosto in una riduzione dei servizi offerti ai cittadini.

Per esempio, dal 2010 al 2018 il numero di posti letto è diminuito di circa 33.000 unità, con un decremento medio dell’1,8%, continuando il trend in diminuzione osservato già a partire dalla metà degli anni ’90.
  
“La crisi drammatica determinata da Covid-19 ha improvvisamente messo a nudo fino in fondo la debolezza del nostro sistema sanitario e la poca lungimiranza della politica nel voler trattare il servizio sanitario nazionale come un’entità essenzialmente economica alla ricerca dell’efficienza e dei risparmi, trascurando il fatto che la salute della popolazione non è un mero ‘fringe benefit’, ma un investimento con alti rendimenti, sia sociali sia economici”, ha affermato il direttore dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica.

L’esperienza vissuta ha dimostrato che il decentramento della sanità, oltre a mettere a rischio l’uguaglianza dei cittadini rispetto alla salute, non si è dimostrato efficace nel fronteggiare la pandemia.

Le Regioni non hanno avuto le stesse performance, di conseguenza i cittadini non hanno potuto avere le stesse garanzie di cura. Il livello territoriale dell’assistenza si è rivelato in molti casi inefficace, le strategie per il monitoraggio della crisi e dei contagi particolarmente disomogenee, spesso imprecise e tardive nel comunicare le informazioni”, ha rilevato il direttore scientifico dell’osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane Alessandro Solipaca. 

martedì 23 giugno 2020

Grave lo stop all'aborto farmacologico in day hospital in Umbria



Il Consiglio regionale dell’Umbria, guidato dalla presidente leghista della Giunta Donatella Tesei, ha abrogato la delibera del 2018 che aveva introdotto la possibilità di effettuare in day hospital l’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica. Tale scelta è stata giustamente criticata da molti ed è diventato un caso nazionale.

Amica (l’associazione medici italiani contraccezione e aborto) e l’associazione Luca Coscioni hanno espresso la loro contrarietà nei confronti di tale scelta del Consiglio regionale dell’Umbria.

“La pandemia Sars CoV-2 ha costretto le società scientifiche ad emanare raccomandazioni per l’interruzione volontaria della gravidanza, riconosciuta anche nel nostro Paese come urgenza indifferibile.

In particolare ‘si raccomanda di privilegiare la metodica farmacologica in regime ambulatoriale, che permette minori accessi in ospedale, garantendo quindi un minore rischio di contagio’.

In assoluta controtendenza, nei giorni scorsi, il Consiglio regionale dell’Umbria ha abrogato la delibera che nel dicembre 2018 aveva introdotto il regime di ricovero in day hospital per l’interruzione volontaria della gravidanza  farmacologica.

‘Risulta difficile comprendere i motivi di questo gravissimo ritorno indietro, che mette in pericolo il diritto alla salute e all’autodeterminazione delle donne  hanno dichiarato Filomena Gallo e Mirella Parachini – rispettivamente segretario e vicesegretario dell’associazione Luca Coscioni - e Anna Pompili, co-fondatrice di Amica.

Se i membri del Consiglio regionale umbro sono a conoscenza di dati scientifici nuovi, sarebbero tenuti, a tutela della salute pubblica nazionale e internazionale, a renderli pubblici, al fine di rivalutare la sicurezza della procedura.

Altrimenti, proprio alla luce dei dati di letteratura scientifica, che rendono possibile l’interruzione volontaria della gravidanza farmacologica, dovrebbero muoversi in direzione totalmente opposta, ammettendo, oltre al ricovero in day hospital, anche il regime ambulatoriale come avviene in molti paesi oramai da anni’.

‘Per questo motivo Amica e l’associazione Luca Coscioni chiedono un incontro urgente con la presidente del Consiglio regionale e con l’assessore competente, al fine di garantire l’accesso alla procedura farmacologica, fortemente ostacolato da questa irresponsabile ed ingiustificata decisione, al fine di garantire anche alle donne dell’Umbria procedure aggiornate, basate sull’evidenza scientifica’”.

giovedì 11 giugno 2020

Stop alle armi in Egitto


Fermare l’invio delle armi all’Egitto di al-Sisi. E’ questo l’obiettivo della campagna lanciata da Amnesty International, Rete della Pace e Rete Italiana Disarmo, denominata #StopArmiEgitto.

Con questa campagna si chiede al governo di bloccare qualsiasi ipotesi di nuove forniture militari all’Egitto.

Le associazioni, poi, sollecitano deputati e senatori a pretendere un dibattito aperto e chiaro in Parlamento su questa ipotesi di “contratto armato” che “tocca punti nodali della politica estera e di difesa dell’Italia”.

La notizia di un maxi contratto con il Cairo è apparsa in questi giorni sulla stampa e prevedrebbe, ricordano le associazioni, due fregate multiruolo Fremm costruite per la marina miliare italiana ed ora destinate all’Egitto (la Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi, del valore di 1,2 miliardi di euro), di altre quattro fregate, 20 pattugliatori (che potrebbero essere costruiti nei cantieri egiziani), di 24 caccia multiruolo Eurofighter e altrettanti aerei addestratori M346.

Tale decisione andrebbe discussa in Parlamento vista la dimensione della commessa, soprattutto ad un Paese – continuano le associazioni pacifiste - che “sostiene direttamente l'offensiva militare in Libia del generale Haftar fornendo basi di supporto e, probabilmente, materiali militari alle truppe di Haftar”.

Inoltre, l’Egitto “a seguito del colpo di Stato promosso dal generale Abdel Fattah al Sisi, le autorità hanno fatto ricorso a una serie di misure repressive contro i manifestanti e i dissidenti, tra cui sparizioni forzate, arresti di massa, torture e altri maltrattamenti, uso eccessivo della forza e gravi misure di limitazione della libertà di movimento”.

Del resto “le autorità egiziane non solo non hanno mai contribuito a fare chiarezza sul barbaro omicidio di Giulio Regeni” ma continuano ad ignorare le richieste dell’Italia per il rilascio di Patrick Zaki, attivista, ricercatore egiziano di 27 anni e studente dell’Università di Bologna, che si trova dal 7 febbraio 2020 in detenzione preventiva fino a data da destinarsi.

La nuova campagna si articolerà essenzialmente diffondendo messaggi, prese di posizione, iniziative di sostegno di molti personaggi noti e di tutti coloro che vorranno esprimere il proprio dissenso “verso questa ipotesi grave, negativa e contraria alle norme nazionali ed internazionali che regolano l’export di armamenti”, spiegano i promotori.

Per sostenere questa richiesta ci si può mobilitare sui social network in questi modi: girando un video di 30 secondi esplicitando il dissenso alla vendita di armi all’Egitto e il sostegno alle richieste di Amnesty International, Rete della Pace, Rete Italiana per il Disarmo. E terminando il video dicendo “#StopArmiEgitto” e usando questo hashtag per fare pressione su esponenti governativi e parlamentari.

Altro modo è scattare una foto con le grafiche delle campagna, ancora una volta usando l’hashtag #StopArmiEgitto per collegarsi all’azione congiunta, come pure diffondere il materiale informativo sulla situazione dei diritti umani e sul commercio di armi italiane in Egitto creato per questa mobilitazione e che si trova sui siti e sugli account di Amnesty International, Rete della Pace, Rete Italiana per il Disarmo.

lunedì 8 giugno 2020

Preoccupante: il tasso di disoccupazione è diminuito...



Rispetto al mese di marzo, secondo l’Istat si è verificata, in Italia, una consistente diminuzione del tasso di disoccupazione, sceso al 6,3% (-1,7 punti) e, tra i giovani, al 20,3% (-6,2 punti). Ma tale diminuzione non può essere valutata positivamente, come generalmente avviene, perché ad essa si è accompagnata una notevole crescita degli inattivi, +5,4% (pari a +746.000 unità), +5% tra le donne (pari a +438.000 unità) e +6% tra gli uomini (pari a +307.000). Il tasso di inattività si è attestato al 38,1% (+2,0 punti).

Cosa è avvenuto?

In seguito alle notevoli difficoltà occupazionali derivanti dalla chiusura di molte attività economiche, connesse alla diffusione del coronavirus, è aumentato considerevolmente il numero di coloro i quali non hanno cercato più lavoro perché sapevano di non trovarlo, e quindi sono diventati inattivi, e quindi il tasso di disoccupazione si è ridotto.

Infatti viene considerato disoccupato, dall’Istat ma anche dagli istituti statistici di tutti gli altri Paesi, chi cerca attivamente un lavoro, non semplicemente chi non ha un lavoro.

La gravità della situazione del mercato del lavoro, in Italia, nel mese di aprile, è ulteriormente dimostrata da un altro dato: la diminuzione dell’occupazione (-1,2% pari a -274.000 unità) è stata generalizzata, coinvolgendo le  donne (-1,5%, pari a -143.000), gli uomini (-1,0%, pari a -131.000), i dipendenti (-1,1% pari a -205.000), gli indipendenti (-1,3% pari a -69.000) e tutte le classi d’età, portando il tasso di occupazione al 57,9% (-0,7 punti percentuali).

Confrontando il trimestre febbraio-aprile 2020 con quello precedente (novembre 2019-gennaio 2020), l’occupazione è risultata in evidente calo (-1,0%, pari a -226.000 unità) per entrambe le componenti di genere.

Sono diminuite nel trimestre anche le persone in cerca di occupazione (-20,4% pari a -497.000), mentre sono aumentati gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+5,2% pari a +686.000 unità). 
Il netto calo congiunturale dell’occupazione ha determinato una flessione rilevante anche rispetto al mese di aprile 2019 (-2,1% pari a -497.000 unità), verificata per entrambe le componenti di genere, per i dipendenti temporanei (-480.000), per gli autonomi (-192.000) e per tutte le classi d’età, con le uniche eccezioni degli over50 e dei dipendenti permanenti (+175.000). 
Il tasso di occupazione è sceso di 1,1 punti percentuali.

Quanto verificatosi nel mercato del lavoro italiano, nel mese di aprile, dimostra inoltre che i dati statistici relativi al sistema economico devono essere ben interpretati se si intende evitare di formulare valutazioni frettolose ed errate.