Attualmente
la Siria è molto frammentata. Possono essere individuati diversi territori nei
quali sono diversi coloro che governano, o quanto meno comandano. E queste
differenti parti della Siria sono però ancora contraddistinte da notevoli
problemi nonostante la guerra sia, almeno apparentemente, terminata.
In un articolo pubblicato da “Il Sole 24 ore”, Roberto Bongiorni esamina in modo molto interessante tale situazione.
Quali sono queste parti della Siria?
C’è la Siria del presidente Bashar al-Assad, uscito vincitore da una guerra sanguinosa grazie all’intervento dell’esercito russo nel 2015 e dei suoi alleati mediorientali, Hezbollah e Iran.
E’ la parte più estesa di un Paese frantumato, su cui il presidente “quasi a vita”, succeduto al padre Hafez nel 2000, esercita sui conflitti un controllo piuttosto limitato.
C’è il Kurdistan siriano, meglio conosciuto come la regione del Rojava, dove dal 2011 le autorità curde hanno costituito l’“amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est” affidando la loro difesa alle milizie dello Ypg. Un territorio che abbraccia anche parte della provincia di Raqqa, un tempo capitale del Califfato islamico, dove vivono anche molti arabi.
C’è la Siria nord-occidentale in corrispondenza soprattutto della provincia di Idlib.
Qui si trova l’ultima roccaforte dell’opposizione sunnita, l’ultimo riparto dell’ormai esiguo Libero esercito siriano e di molti gruppi islamici, tra cui pericolose formazioni affiliate ad al-Qaeda.
Infine c’è la Siria dell’Isis.
Non’è un’entità fisica perché da alcuni anni Daesh è orfano del suo Califfato. E dal 2021 anche del suo leader, Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurayshi. Ciononostante i suoi estremisti, presenti soprattutto nella parte centro-settentrionale del Paese, sono sempre pronti a colpire laddove si crea un vuoto di potere.
Giunta al suo dodicesimo anno la guerra civile siriana è divenuta un conflitto a bassa intensità. Ma che non ha conosciuto pause.
Il risultato è davanti agli occhi di tutti: su una popolazione che, prima della guerra, raggiungeva i 23 milioni di abitanti, più di sette milioni hanno abbandonato il Paese. Altri sette milioni restano sfollati interni.
Tra il 2019 e il 2021 i prezzi di diversi generi alimentari di base sono aumentati dell’800%.
Dodici anni di guerra hanno restituito un Paese dove le infrastrutture sono distrutte e il sistema sanitario è fatiscente.
La regione più problematica è proprio la provincia di Idlib, da anni una sorta di protettorato turco,. Qui si trovano gli sfollati degli sfollati, costretti a fuggire di casa cinque, sette anche dieci volte in pochi anni.
“In questa regione vivono circa 4,4 milioni di persone - ha dichiarato Brent Galli, responsabile del progetto Idlib, Siria occidentale, di Medici senza frontiere. Oltre un milione vive nei 1.400 piccoli campi profughi, dove l’accesso umanitario è difficile”.
In questa “Siria turca” il governo di Ankara ha realizzato numerose infrastrutture per trasferire parte dei rifugiati che ospita sul suo territorio. In molte città si utilizza solo la lira turca.
Assad vede come fumo negli occhi la presenza turca a Idlib. Un astio che è ricambiato da Ankara. Un tempo cordiali amici, dal 2012 il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e Assad si sono trovati sui due fronte opposti della guerra civile, scambiandosi ripetutamente pesanti insulti.
Comunque è la popolazione civile che si trova in grande difficoltà.
Infatti Brent Galli ha aggiunto: “Siamo in inverno. Sulle alture i profughi si trovano a dover scegliere se spendere i pochi soldi per la salute o per scaldarsi, peraltro spesso con stufe a cherosene che provocano malattie polmonari. In pianura il fango rende impraticabili diverse strade. Da settembre, nel Nord-Ovest sono stati registrati 11.000 casi di colera”.
E termina così Bongiorni: “I conflitti lunghi si lasciano dietro vittime, feriti, persone mutilate e invalide. E tanti, tantissimi traumi. Sono le ferite dell’anima. Invisibili ma difficilmente sanabili. E in questa Siria dilaniata, dove Idlib è la regione che sanguina di più, la gente ha paura di non avere un futuro. Teme di vivere in questo limbo, senza mai più tornare alle proprie case”.
Ed è proprio la situazione della popolazione civile che mi preoccupa di più, al di là dei contrasti che sorgono tra chi governa le diverse parti della Siria. L’enorme numero degli sfollati, all’esterno e all’interno del Paese.
Di tale situazione non c’è la necessaria consapevolezza nei Paesi occidentali, soprattutto quando dalla Siria arrivano in quei Paesi molti migranti. Infatti prima di esprimere un giudizio negativo sull’arrivo di questi migranti si dovrebbe tener conto di quanto è avvenuto e avviene in Siria.
Purtroppo, generalmente, ciò non si verifica.