martedì 26 aprile 2022

Filo Putin l'Anpi e la marcia Perugia Assisi?

Hanno suscitato polemiche alcune posizioni espresse dai vertici dell’Anpi (associazione nazionale dei partigiani italiani) e dagli organizzatori della marcia straordinaria per la pace Perugia-Assisi svoltasi il 24 aprile relativamente alla guerra in Ucraìna. C’ è stato chi li ha accusati di essere filo Putin o quanto meno equidistanti.

Forse alcuni dei dirigenti dell’Anpi e alcuni organizzatori della marcia per la pace potranno essere a favore di Putin.

Quello che è certo, comunque, che alcune posizioni da loro espresse sono più che discutibili.

Per quanto riguarda l’Anpi, dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraìna da parte della Russia di Putin, in un comunicato si poteva leggere, pur criticando l’invasione “L’invasione russa dell’Ucraina è l’ultimo drammatico atto di una sequenza di eventi innescata dal continuo allargamento della Nato ad Est vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia”.

Inoltre dopo i massacri di Bucha, in un altro comunicato dell’Anpi, c’era scritto che era necessario costituire “una commissione d'inchiesta internazionale guidata dall'Onu e formata da rappresentanti di Paesi neutrali per appurare cosa davvero è avvenuto, perché è avvenuto, chi sono i responsabili”.

Le critiche si sono rivolte soprattutto nei confronti del neopresidente dell’Anpi, Pagliarulo, di cui sono stari ricordati alcuni post, risalenti al 2014 e al 2015, tra cui quelli in cui parlava di “regime nazistoide di Kiev responsabile di eccidi efferati, assassinii e torture” durante la prima guerra nel Donbass, denunciando “l’espansionismo della Nato” verso Est, ossia verso la Russia e un altro in cui Pagliarulo scriveva “C’è il cattivo Putin - come sempre gli americani hanno diabolicamente dipinto il leader di un Paese prima di aggredirlo -, e poi ci sono i buoni, fra cui la Nato”.

Dopo le polemiche Pagliarulo ha in parte corretto il tiro, dichiarando: “La resistenza ucraina è resistenza, doverosa e legittima. E l'invasione russa è da condannare, senza se e senza ma”.

Mi sembra evidente che le posizioni dell’Anpi, e del suo presidente, debbano essere fortemente criticate, in un contesto in cui dovrebbe essere evidente che c’è un aggressore, la Russia del dittatore Putin, e un aggredito, l’Ucraìna guidata da Zelenski, eletto democraticamente.

Le critiche nei confronti degli organizzatori della marcia straordinaria per la pace Perugia-Assisi si sono incentrate sullo slogan e sul manifesto alla base della marcia.

Lo slogan era “Fermatevi”, mettendo sullo stesso piano la Russia e l’Ucraìna, l’aggressore e l’aggredito.

Nel manifesto non si citava Putin e non si criticava esplicitamente la sua aggressione dell’Ucraìna.

Anche in questo caso si esprimeva una certa equidistanza tra l’aggressore e l’aggredito e si criticava la corsa al riarmo, e quindi, implicitamente, la necessaria fornitura di armi all’Ucraìna da parte dei governi dei Paesi occidentali.

Ugualmente, a mio avviso, tali posizioni degli organizzatori della marcia per la pace devono essere fortemente criticate, pur se occorre riconoscere che non tutti i partecipanti si riconoscevano in quelle posizioni come del resto non tutti gli iscritti all’Anpi sono d’accordo con le dichiarazioni dei vertici della loro associazione.

mercoledì 20 aprile 2022

Il 95% degli afgani è alla fame

Il 95% della popolazione dell’Afghanistan soffre di fame. L’Afghanistan è un Paese di 40 milioni di abitanti bisognosi di assistenza. Human Rights Watch l’ha definita come la più grave emergenza umanitaria degli ultimi anni, un’emergenza prossima a divenire la peggiore catastrofe degli ultimi Trenta.

L’Afghanistan viveva di aiuti dall’Occidente e da altri Paesi. Questi aiuti sono venuti meno, con le sanzioni derivanti dal fatto che i talebani hanno preso il potere. Anche gli aiuti provenienti dall’Onu sono stati sospesi.

Ed è diventato un Paese lontano dai riflettori dei media internazionali, quasi archiviato nella mente di chi segue la politica internazionale.

I talebani non hanno capacità né forza sufficienti per riorganizzare il Paese.

L’Afghanistan è un non-Paese dove la gente appunto muore di fame.

Un terzo delle famiglie ha perso l’intero reddito familiare, circa il 36% acquista cibo a debito, mentre il 24% ha dichiarato di averlo fatto in precedenza.

Milioni di bambini sono obbligati a lavorare, o vivono per strada, senza cibo né protezione e in condizioni igieniche terribili. Molte famiglie li cedono in cambio di cibo.

Nelle zone più povere si arriva a nutrirsi di erba per sopravvivere e vincere la fame.

Numerose sono poi le intossicazioni causate all’inalazione di fumi tossici, dato che spesso, per scaldarsi o cucinare, si danno alle fiamme materiali plastici in mancanza di legna da ardere.

Inoltre, in Afghanistan si comincia a morire di malattie normalmente curabili, come il morbillo o la difterite.

Nel solo 2022, ci sono stati più di 18.000 casi di morbillo e 142 bambini sono morti a causa di questa patologia.

Secondo Save the Children, da quando, nello scorso agosto, i talebani hanno preso il potere, la povertà è salita alle stelle e 14 milioni di bambini affrontano livelli di fame che mettono la loro vita a rischio.

I genitori sono costretti a fare scelte drastiche per sopravvivere, come ritirare i figli da scuola e mandarli a lavorare, venderli e, nel caso delle femmine, farle sposare precocemente.

L'annullamento da parte dei talebani della decisione di consentire alle ragazze di tornare a scuola mette ancora più le adolescenti a rischio di matrimonio precoce e nega loro il diritto all'istruzione.

Molte madri sono anche costrette a partorire in casa perché non possono permettersi il trasporto o le spese mediche, mettendo a rischio sia la propria vita che quella del bambino.

Save the Children ha chiesto ai leader mondiali che hanno partecipato alla conferenza virtuale per gli aiuti all’Afghanistan, recentemente tenutasi, di raggiungere l'obiettivo di 4,4 miliardi di dollari necessari per alleviare la crisi umanitaria in Afghanistan.

Solo il 13% circa dei fondi necessari sono stati stanziati finora.

“I donatori devono impegnarsi e sostenere generosamente il piano di risposta umanitaria per il 2022 o i bambini continueranno a morire. La realtà è così semplice e tragica allo stesso tempo che deve far riflettere”, ha dichiarato il direttore di Save the Children per l’Afghanistan, Chris Nyamandi.

“I nostri team non hanno mai visto nulla di simile alla devastazione e alla disperazione a cui stiamo attualmente assistendo. L'economia è crollata lasciando milioni di bambini completamente dipendenti dagli aiuti umanitari. Senza finanziamenti sufficienti per gli aiuti, i bambini continueranno a perdere la vita a causa di malattie prevenibili e malnutrizione.

La comunità internazionale dovrà adempiere ai propri obblighi nei confronti dell'Afghanistan oppure vedremo i bambini afgani cadere di nuovo, dimenticati e abbandonati a sé stessi.

Ciò include il mantenimento del loro sostegno all'istruzione, nonostante la revoca dei talebani. Sospendere i fondi per l'istruzione servirà solo a minare l'accesso all'educazione da parte di ragazze e ragazzi”.

“Vogliamo anche ricordare al mondo - ha inoltre aggiunto - che se è vero che i fondi aiuteranno a mantenere in vita i bambini e le loro famiglie, le agenzie umanitarie non possono sostituire un'economia funzionante.

Se i governi internazionali non si muovono con urgenza per sbloccare le risorse finanziarie e affrontare la crisi di liquidità, sempre più famiglie afghane sprofonderanno ulteriormente nella povertà e nel debito.

Faremo tutto il possibile ma, con il ritmo con cui cresce il bisogno, non possiamo raggiungere tutti i bambini e gli adulti che hanno un disperato bisogno di sostegno per sopravvivere”.

Infatti, l’obiettivo prioritario non può che essere rappresentato dall’eliminazione delle sanzioni, delle restrizioni economiche.

Esse non puniscono solo i Talebani, il cui comportamento peraltro non agevola quell’eliminazione (arresti arbitrari, violazione dei diritti umani, limitazioni per le donne), diventano una sorta di punizione collettiva per un’intera popolazione che non ha scelto il regime che la governa.

Una rappresentante di Save the Children ha, infine, affermato: “Ciò che mi rattrista è che questa crisi si poteva in gran parte prevenire. Le sanzioni contro i Talebani l’hanno invece acuita. E il mondo occidentale pare averla dimenticata”.

mercoledì 13 aprile 2022

Il lavoro femminile è ancora insufficiente

Nel 2021 l’occupazione femminile è cresciuta rispetto all’anno precedente. Ma le donne che lavorano sono ancora troppo poche. Questo è uno dei dati elaborati dalla fondazione Moressa e forniti dall’Istat, recentemente resi noti.

Infatti, nel 2021, era ancora troppo bassa l’incidenza dell’occupazione femminile sul totale dell’occupazione, essendo infatti pari al 42,2%.

La situazione rimaneva preoccupante soprattutto in alcune regioni, in primo luogo in quelle meridionali.

Infatti quell’incidenza era in Campania pari al 35,3%, in Sicilia al 35,8% e in Calabria al 36,3%.

Comunque l’incremento dell’occupazione femminile appare più strutturale.

Essa è concentrata nei servizi (oltre il 70% di occupate), mentre l’occupazione maschile è presente in modo rilevante anche nell’industria delle costruzioni.

Ma mentre l’occupazione femminile è cresciuta in tutti i settori (solo nel commercio è diminuita), la crescita dell’occupazione maschile si è verificata quasi esclusivamente nel settore delle costruzioni.

Quindi è necessario che l’occupazione femminile cresca ancora di più.

Secondo la fondazione Moressa, un nuovo impulso all’occupazione femminile potrebbe essere fornito dall’attivazione di una delle misure del “Recovery Plan”, il Pnrr, la certificazione della parità di genere.

Le imprese che potranno godere di questa certificazione avranno dei vantaggi fiscali.

Sei gli obiettivi rilevanti per ottenere la certificazione della parità di genere:

il rispetto dei principi costituzionali di parità e eguaglianza;

l’adozione di politiche e misure per favorire l’occupazione femminile e le imprese femminili, anche con incentivi per l’accesso al credito e al mercato ed agevolazioni fiscali;

l’adozione di misure che favoriscano l’effettiva parità tra uomini e donne nel mondo del lavoro tra cui pari opportunità all’accesso al lavoro, parità reddituale, pari accesso alle opportunità di carriera e di formazione, piena attuazione del congedo di paternità in linea con le migliori pratiche europee;

la promozione di politiche di welfare a sostegno del lavoro “silenzioso” di chi si dedica alla cura della famiglia;

l’adozione di misure specifiche a favore delle pari opportunità, in linea con quanto stabilito dall’articolo 3.2 della Costituzione (uguaglianza sostanziale);

per quanto riguarda gli appalti, l’integrazione del principio dell’equità di genere nella normativa nazionale affinchè la sua adozione diventi riferimento qualora fosse richiesto alle organizzazioni pubbliche e private di ogni settore e dimensione di certificare la sostenibilità e l’adozione di politiche di genere.

domenica 10 aprile 2022

Profughi di serie A e profughi di serie B


Circa 85.000 profughi provenienti dall’Ucraìna sono stati accolti, in pochi giorni, in Italia. Questo è un fatto molto positivo, ovviamente. Il numero di questi profughi è pari al numero dei profughi, provenienti da altri Paesi, soprattutto dall’Africa, che sono arrivati in un intero anno, nel 2021.

Ma gli altri profughi, quelli provenienti dall’Africa prevalentemente, spesso non sono stati ben accolti, diversamente da quanto avvenuto per i profughi dall’Ucraìna.

Peraltro dall’Ucraìna sono venuti in Italia anche alcuni africani che lavoravano in quel Paese ed hanno incontrato delle difficoltà, poi superate, per trovare un alloggio.

Quindi è legittimo sostenere che i profughi provenienti dall’Ucraìna hanno avuto un trattamento decisamente migliore di quello che generalmente ha contraddistinto i profughi africani.

E’ vero che, nei due casi, la tipologia dei profughi è molto diversa: dall’Ucraìna sono arrivati soprattutto donne e bambini, mentre dall’Africa prevalentemente uomini giovani.

Le loro caratteristiche e le loro esigenze quindi sono notevolmente differenti. Ma anche i profughi provenienti dall’Africa spesso fuggono dalle guerre (si calcola che attualmente in tutto il mondo ci siano circa 30 conflitti armati spesso “invisibili”) o comunque da condizioni economiche insopportabili.

E pertanto come spiegare questo diverso trattamento?

C’è solo una spiegazione, a mio avviso: razzismo che colpisce i profughi che vengono dall’Africa.

E’ una favola che i profughi africani tolgono lavoro agli italiani. Potrebbero ricoprire posti di lavoro che gli italiani non intendono occupare. Questo potrebbe avvenire soprattutto se l’esodo degli africani avvenisse in modo controllato e finalizzato anche a trovar loro un’occupazione entro breve tempo.

Esigenza questa che quanti fuggono dall’Ucraìna per il momento non hanno perché intendono, prima possibile, rientrare nel loro Paese.

Può essere eticamente scomodo rilevare che, diversamente dai profughi ucraìni, coloro che fuggono dall’Africa, e in misura minore coloro che provengono da altri continenti, sono oggetto di pregiudizi razzisti.

Ma io credo che tale atteggiamento razzista nei loro confronti esista davvero.

E quindi sarebbe necessario che questo atteggiamento scompaia e che la politica europea nei confronti degli immigrati, da qualunque Paese provengano, sia omogenea, frutto di una strategia comune, anche perché se l’immigrazione che possiamo chiamare “normale”, quindi non quella causata dalla guerra in Ucraìna, potrebbe, se ben controllata e ben gestita, essere un’opportunità per l’Europa per far fronte alla domanda di lavoro da parte delle imprese che rimane senza risposte ed anche per contrastare il progressivo invecchiamento della popolazione, tramite un incremento del tasso di natalità.

mercoledì 6 aprile 2022

Salvini e Meloni con Orbàn amico di Putin


Orbàn, il premier uscente dell’Ungheria, che non ha condannato esplicitamente l’aggressione di Putin e non ha adottato le sanzioni contro la Russia decise dall’Unione europea, ha vinto di nuovo le elezioni politiche svoltesi domenica scorsa in Ungheria. Sia Salvini che la Meloni si sono congratulati con Orbàn.

Salvini, inoltre, non ha espresso nessun giudizio nei confronti della strage di Bucha e ha criticato la scelta del governo italiano di espellere 30 diplomatici russi perché accusati di essere agenti dei servizi segreti della Russia.

La decisione di Giorgia Meloni di congratularsi con Orbàn non può che essere valutata negativamente, proprio per la posizione che il leader ungherese ha espresso nei confronti dell’aggressione all’Ucraìna decisa da Putin.

E tale decisione è in contraddizione con l’appoggio che Fratelli d’Italia ha concesso al governo nella scelta di fornire armi all’Ucraìna.

Peraltro la posizione di Orbàn nei confronti di Putin ha fatto saltare il cosiddetto patto di Visegrad in quanto la Polonia, la Repubblica Ceca e la Slovacchia hanno espresso chiaramente la loro contrarietà nei confronti dell’aggressione russa.

La decisione di Matteo Salvini è ancora più criticabile perché la Lega fa parte della maggioranza di governo, pur se anche in altre occasioni le dichiarazioni del leader leghista sono state oscillanti e non in netto contrasto con la Russia di Putin quando, ad esempio, come ho prima rilevato, ha criticato la scelta di espellere dall’Italia i diplomatici russi, quando ha taciuto sulla strage di Bucha e quando, pur approvando la decisione del governo di fornire armi all’Ucraìna, ha più volte rilevato che si deve puntare soprattutto sulle trattative tra il Paese aggressore e quello aggredito.

Del resto le posizioni, oscillanti, di Salvini non stupiscono se si considera che, nel recente passato, Salvini e la Lega hanno espresso giudizi fortemente positivi sull’azione di Putin e che è ancora in vigore un accordo di collaborazione tra la Lega e Russia Unita, il partito che sostiene il dittatore russo.

Comunque il rapporto stretto instaurato, non da oggi, dalla Meloni e da Salvini con Orbàn rende poco credibili i due leader della destra italiana come autentici democratici.

Orbàn, infatti, oltre ad essere un sostenitore di Putin, ha governato l’Ungheria con scarso rispetto dei valori democratici, ad esempio limitando la libertà di stampa e ostacolando in tutti i modi i suoi oppositori.

E’ bene quindi che gli elettori italiani quando dovranno andare a votare, a giugno in alcune elezioni amministrative, e, successivamente, nel 2023 probabilmente, nelle elezioni politiche, tengano conto di queste posizioni di Salvini e della Meloni.

Infatti un’eventuale vittoria, soprattutto in occasione delle elezioni politiche del 2023, del centro-destra, nel cui ambito un ruolo importante sarà svolto da Fratelli d’Italia e dalla Lega, potrebbe far nascere un governo non in linea con la posizione della quasi totalità dei Paesi occidentali nelle relazioni con la Russia di Putin, se ancora quest’ultimo sarà presidente.

domenica 3 aprile 2022

Sanità, con l'intramoenia le liste di attesa sono brevi...

 

Le prestazioni sanitarie erogate regime di  intramoenia nel 2020 sono diminuite del 33%, rispetto al 2019, a causa della pandemia.  Il 57,1% delle prestazioni ha avuto un tempo di attesa inferiore ai 10 giorni e il 28,4% tra gli 11 e i 30/60 giorni.

Questi e altri dati sono contenuti nella “relazione sullo stato di attuazione delle modalità organizzative dell’attività intramuraria” e nel “report dei monitoraggi ex ante dei tempi di attesa per l’attività libero professionale intramuraria”, realizzati dall’Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.

Il dato più interessante mi sembra il seguente:

in riferimento ai tempi di attesa, si è riscontrato che:

il 57,1% delle prenotazioni ha avuto un tempo di attesa inferiore ai 10 giorni;

il 28,4% delle prenotazioni è stato fissato tra gli 11 e i 30/60 giorni (30 giorni per la visita specialistica, 60 giorni per le prestazioni strumentali);

per il 14,5% delle prenotazioni si è dovuto attendere oltre i 30/60 giorni.

La maggior parte delle richieste (circa il 78% del totale) hanno riguardato le visite specialistiche     mentre il 22% delle prenotazioni sono state rappresentate dalle prestazioni diagnostiche.

Le visite più prenotate in intramoenia sono state la visita cardiologica, la visita ginecologica e la visita ortopedica.

La mammografia è stata la prestazione con giorni di attesa più alti (solo 1/3 con prenotazione entro i dieci giorni).

Il 91% delle prestazioni è stato erogato esclusivamente all’interno degli spazi aziendali, l’8% esternamente all’azienda ma secondo le tipologie previste (studi privati collegati in rete o presso altre strutture pubbliche previa convenzione). Solo un residuale 1% di attività viene svolta ancora presso studi non ancora collegati in rete.

Dall’analisi dei volumi relativi alle prestazioni ambulatoriali, è emerso che analizzando il rapporto tra i volumi di visite specialistiche erogate in intramoenia e i volumi di quelle erogate in regime istituzionale si sono registrati, a livello nazionale, valori compresi tra il 3% (visita fisiatrica e visita oncologica) e il 29% (visita ginecologica), mentre esaminando quello tra i volumi di prestazioni diagnostiche si sono verificati valori compresi tra l’ 1% (tac, elettrocardiogramma dinamico (holter), elettromiografia, mammografia monolaterale, risonanza magnetica, spirometria globale) e il 42% (ecografia ginecologica).

Valeria Fava, responsabile delle politiche per la salute di Cittadinanzattiva, ha così commentato, tra l’altro, il rapporto: “…Occorre tuttavia accelerare da parte delle Regioni l’approvazione dei piani straordinari per il recupero delle prestazioni sospese a causa del Covid-19, vigilare e rendere trasparenti i dati sull’andamento dei recuperi, sui modelli organizzativi adottati dalle Regioni per garantire il ripristino delle prestazioni, sulle tempistiche previste e sull’utilizzo dei fondi stanziati.

In alcune realtà il rapporto tra prestazioni erogate in intramoenia e nel canale istituzionale (che non deve superare il 100%, ossia per ogni prestazione erogata nel canale intramurario ce ne deve essere almeno una erogata nel pubblico) ha evidenziato che per i cittadini il ricorso all’intramoenia non è una libera scelta ma una scelta obbligata.

Il rapporto ha certificato infatti che, in 13 regioni su 21, si sono rilevate situazioni in cui il suddetto rapporto è stato superiore al 100% soprattutto nell’ambito della visita e della ecografia ginecologica”.

Io ritengo che sia particolarmente negativo il fatto che i tempi di attesa delle prestazioni erogate in regime di intramoenia siano considerevolmente più bassi rispetto ai tempi di attesa delle prestazioni ordinarie, i quali spesso sono, in modo inaccettabile, molto alti, superando anche l’anno.

Pertanto, mi sembra opportuno, per diminuire considerevolmente i tempi di attesa delle prestazioni ordinarie, anche limitare o addirittura abolire il ricorso alle prestazioni intramoenia.