Secondo il nuovo
rapporto dell’Unicef “Ogni bambino è vita”, nonostante i grandi successi
ottenuti nella riduzione della mortalità infantile globale (0-5 anni), il tasso
di mortalità neonatale (0-1 anno) rimane allarmante, in particolare nei
Paesi più poveri del mondo. Ogni anno 2,6 milioni di neonati
non sopravvivono al primo mese di vita. Addirittura, un
milione di essi muoiono nello stesso giorno in cui sono venuti
alla luce. Altri 2,6 milioni nascono morti.
Ciascuna di queste morti è una tragedia, soprattutto
perché molto spesso è prevenibile.
Oltre l’80% delle morti neonatali è causata da
parto prematuro, complicanze durante il travaglio e il parto, nonché infezioni
come setticemia, meningite e polmonite. Cause analoghe, in particolare le
complicanze durante il travaglio, sono responsabili di gran parte delle morti
perinatali.
Milioni di giovani vite potrebbero essere
salvate ogni anno se madri e neonati potessero accedere a un’assistenza
sanitaria di qualità, a una buona alimentazione e ad acqua pulita. Ma troppo
spesso anche queste misure basilari sono fuori dalla portata delle madri e dei
neonati che ne hanno più bisogno.
Il tasso di mortalità dei bambini di età
compresa tra 1 mese e 5 anni è diminuito notevolmente negli ultimi decenni. Ma
i progressi nel ridurre la mortalità dei neonati - di età inferiore a 1 mese -
sono stati meno incisivi, perché ancora oggi ne muoiono 7.000 al giorno.
Ciò è in parte dovuto al fatto che le morti
neonatali sono difficili da affrontare con un singolo farmaco o intervento, ma
richiedono un approccio sistematico. E’ anche dovuto alla mancanza di slancio e
di impegno globale per la sopravvivenza neonatale.
Si sta fallendo verso i più giovani e i più
vulnerabili del pianeta, e quando sono in gioco così tanti milioni di vite
umane, il tempismo è fondamentale.
Come evidenzia il rapporto, il rischio di morte
neonatale varia enormemente in base a dove nasce un bambino.
I bambini nati in Giappone hanno le più alte
probabilità di sopravvivere, solo 1 neonato su 1.000 muore durante i primi 28
giorni. I bambini nati in Pakistan hanno le aspettative peggiori: ogni 1.000
bambini nati, 46 muoiono prima della fine del loro primo mese - quasi 1 su 20.
La sopravvivenza neonatale è strettamente legata
al livello di reddito di un paese. I Paesi ad alto reddito hanno un tasso medio
di mortalità neonatale (il numero di decessi per mille nascite) pari a 3.
A confronto, i Paesi a basso reddito hanno un
tasso di mortalità neonatale di 27.
Questo divario è emblematico: se ogni Paese
riducesse il proprio tasso di mortalità neonatale al tasso medio dei Paesi ad
alto reddito, o inferiore, entro il 2030, si potrebbero salvare 16 milioni di
vite appena nate.
Tuttavia, il livello di reddito di un Paese è
solo uno dei parametri. In Kuwait e negli Stati Uniti d’America, entrambi Paesi
ad alto reddito, il tasso di mortalità neonatale è 4. Questo è solo leggermente
migliore rispetto ai Paesi a reddito medio-basso come lo Sri Lanka e l’Ucraina,
dove il tasso di mortalità neonatale è 5. Il Ruanda, un paese a basso reddito,
ha più che dimezzato il proprio tasso di mortalità neonatale negli ultimi
decenni, riducendolo da 41 nel 1990 a 17 nel 2016, il che mette il Paese ben al
di sopra dei Paesi a reddito medio-alto come la Repubblica Dominicana, dove il
tasso di mortalità neonatale è 21.
Ciò dimostra che l’esistenza della volontà
politica di investire in sistemi sanitari solidi, che diano la priorità ai
neonati e raggiungano i più poveri e i più emarginati, riveste un’importanza
fondamentale e può fare la differenza, anche dove le risorse sono limitate.
Inoltre, i tassi di mortalità nazionale spesso
nascondono variazioni all’interno dei Paesi: i bambini nati da madri senza
istruzione affrontano un rischio di morte durante il periodo neonatale quasi
doppio rispetto ai bambini nati da madri con almeno un’istruzione secondaria.
I bambini nati nelle famiglie più povere hanno
oltre il 40% di probabilità in più di morire durante il periodo neonatale
rispetto a quelli nati nelle famiglie meno povere. Se consideriamo le cause
alla radice, questi bambini non muoiono per ragioni mediche come il parto
pretermine o la polmonite. Muoiono perché le loro famiglie sono troppo povere o
emarginate per accedere alle cure di cui hanno bisogno. Tra tutte le
ingiustizie del mondo, questa è probabilmente la più grave.
La buona notizia è che il progresso è possibile,
anche quando le risorse sono scarse. I successi registrati in paesi come il
Ruanda danno speranza e sono di insegnamento per altri Paesi impegnati a
garantire la vita a tutti i bambini.
Nello specifico, dimostrano che ci sono due
passi fondamentali da compiere:
- aumentare l’accessibilità all’assistenza
sanitaria
- migliorare la qualità di tale assistenza
Bassi livelli di accessibilità ai servizi
sanitari materni e neonatali forniti da operatori qualificati sono strettamente
correlati ad alti tassi di mortalità neonatale. In Somalia, un paese con uno
dei più alti tassi di mortalità neonatale al mondo (39), c’è un solo medico,
infermiera o ostetrica per ogni 10.000 abitanti. Nella Repubblica
Centrafricana, dove il tasso di mortalità neonatale è 42, ce ne sono solo tre.
In confronto la Norvegia, che ha un tasso di
mortalità neonatale di 2, ha 218 operatori sanitari qualificati per ogni 10.000
abitanti. Il Brasile, un Paese a reddito medio-alto con un tasso di mortalità
neonatale di 8, ne ha 93.
Migliorare l’accessibilità ai servizi sanitari
materni e neonatali è quindi un primo passo necessario per ridurre i tassi di
mortalità neonatale.
E comunque, se la qualità dei servizi è scarsa, la
semplice presenza di una struttura sanitaria o di un operatore sanitario non è
sufficiente per fare la differenza tra la vita e la morte.
Salvare vite umane non è mai semplice e nessun
governo o nessuna istituzione, singolarmente, riuscirà a porre fine alle morti
neonatali prevenibili. Fornire assistenza sanitaria di qualità a prezzi
accessibili per ogni madre e bambino, a partire dai più vulnerabili,
richiederà:
- strutture: presidi sanitari puliti e
funzionanti dotati di acqua, detergenti ed elettricità disponibili per ogni
madre e bambino;
- professionisti: assumere, formare, mantenere e
gestire un numero adeguato di medici, infermiere e ostetriche con le conoscenze
e le competenze necessarie per salvare vite appena nate;
- strumenti: rendere i 10 farmaci e le
attrezzature salvavita più importanti disponibili per ogni madre e bambino;
- emancipazione: riconoscere alle ragazze
adolescenti, alle madri e alle famiglie il potere di chiedere e ricevere
assistenza di qualità.