lunedì 28 giugno 2021

Il giudizio negativo di Guccini sulla musica di oggi

 

In un’intervista rilasciata a “Repubblica”, Francesco Guccini ha espresso una valutazione poco lusinghiera sulla musica di oggi. E a mio avviso Guccini ha pienamente ragione.

Cosa sostiene Guccini?

“La musica di oggi? Ho 81 anni e non capisco niente, ma è anche vero che non ascolto musica, se non per caso. Quando sono in macchina con mia moglie lei mette la radio ma io le chiedo di spegnere. E comunque il problema è che non sembrano canzoni belle o brutte, mi sembrano inutili. ogni tanto mi viene da pensare a vecchissime canzoni come Signorinella, Vecchia America, c’erano storie, parole messe bene insieme. La realtà pullula di giovani cantautori, ma non arrivano a nessuno”.

E anche Morgan gli ha dato ragione.

A me non piace molto Morgan, per vari motivi, ma questa volta Morgan ha colto nel segno.

Morgan ha rilevato:

“Francesco Guccini ha ragione.

Oggi in Italia viviamo nel mezzo di una grande occasione perduta: ci sono due filoni fondamentali, il trap e l’indie, molto diversi l’uno dall’altro.

Il trap è la musica della strada, che in realtà ha più coraggio, molti dei testi sono audaci, azzardati, ma si muovono nella direzione sbagliata perché sono volgari e violenti. Hanno la forza della trasgressione, nelle loro canzoni c’è la lotta e la lotta nella canzone ci sta perfettamente, anche Guccini ce la metteva.

Ma questa lotta è tenuta a bada, controllata, manipolata, posseduta dal sistema. Il sistema controlla la rivoluzione ma la rivoluzione deve sfuggire al controllo, mentre invece i trapper sono catturati, sono ribelli in cattività.

L’indie è il vuoto dei contenuti.

In teoria i rappresentanti dell’indie potrebbero parlare, ne hanno la possibilità, ma sono borghesi che fingono di essere ribelli, radical chic, producono musica che non ha valore morale, contenuto, lotta, parlano solo di stronzate, raccontano le loro seratine e i loro amorini, cavolate della vita borghese media.

Sono travestiti da ribelli ma quando vanno a casa fanno i conti con le famiglie che gli dicono con chi si devono sposare. E quindi abbiamo canzoni senza cantautori, canzoni esteticamente pregevoli in cui dentro si respira il vuoto della nostra società, canzoni inefficaci.

Ecco, la canzone di oggi è fatta da leoni in gabbia o da leoni che dimenticando la loro natura si sono messi in giacca e cravatta. 

Morgan parla di occasione perduta perché “i giovani ci sono, sono tanti, ma non colgono l’occasione che hanno davanti”.

Il cantautore “è un umanista, è una figura che mette insieme il vecchio e il nuovo, il trasgressivo e l’istituzionale, una figura di grande equilibrio, perché comunica quello che per le persone è importante e le accompagna per tutta la vita.

E’ un ruolo fondamentale per il benessere della gente, perché le canzoni sono parte del nostro universo emotivo. Se pensiamo solo al denaro non andiamo da nessun parte, se parliamo di musica, di filosofia, di poesia, di canzone, potremmo essere migliori”.

Io apprezzavo e apprezzo soprattutto tre cantautori, Guccini appunto, che ha smesso di esibirsi, De Andrè, che è morto, e De Gregori, che per fortuna continua a comporre e ad esibirsi.

I tre sono dei “giganti” rispetto ai cantautori e alle cantautrici di oggi.

Non c’è alcun dubbio.

Io credo che si stia assistendo ad un evidente declino della musica italiana.

Aggiungo che tale declino si inserisce, a mio avviso, nell’ambito di un più generale declino della cultura italiana.

Sarebbe interessante provare a individuarne le cause.

Ma non è questa la sede per farlo e, poi, non credo di essere in grado di farlo.

Comunque, quello che è certo, Guccini ha ragione, purtroppo.


giovedì 24 giugno 2021

Inaccettabile l'ingerenza del Vaticano sul ddl Zan

 

Il Vaticano ha comunicato al Governo italiano che alcune parti del cosiddetto disegno di legge Zan sarebbero in contrasto con il Concordato tra Chiesa e Stato. A me sembra che tale posizione del Vaticano costituisca un’inaccettabile ingerenza nelle attività dello Stato italiano.

A sostegno della mia contrarietà nei confronti della posizione del Vaticano, riporto integralmente l’intervista rilasciata dal costituzionalista Gaetano Azzariti alla versione on line de “La Repubblica”, anche perché condivido pienamente i contenuti dell’intervista.

Innanzitutto, professor Gaetano Azzariti, lei insegna diritto costituzionale alle Sapienza. Siamo di fronte a un’ingerenza o a un atto lecito  del Vaticano sul ddl Zan? 

A me pare che la nota del Vaticano sia inopportuna nella forma e discutibile nella sostanza. 

Una stroncatura la sua. E’ sicuro? 

Le ricordo quello che stabilisce l'articolo 7 della nostra Costituzione sui rapporti tra Stato e Chiesa, nel quale è esplicitamente scritto che “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. Ciò, credo, precluda ogni richiesta di modifica espressa su una legge in itinere. 

Lei dunque parla proprio di interferenza. 

Vorrei precisare che la reciproca indipendenza tra Stato e Chiesa non comporta certo l'impossibilità di critica o anche manifestazioni di dissenso da parte di una delle due istituzioni nei confronti dell'altra. Tanto è vero che già due interventi in dissenso sul ddl Zan sono stati formulati dalla Cei, nonché molte associazioni cattoliche e quotidiani (penso in particolare all'Avvenire), legittimamente esprimono di continuo critiche e il punto di vista cattolico.

Sì, certo. Ma qui stiamo parlando di una nota ufficiale diretta da uno Stato a un altro. 

Esatto, proprio questo è il punto. Il documento è stato inviato dal segretario vaticano per i rapporti con gli Stati in via ufficiale alla Farnesina per chiedere al governo di intervenire sul Parlamento. Con un'esplicita richiesta di rimodulazione del testo, in base a presunte violazioni concordatarie. 

Scusi, ma queste violazioni ci sarebbero? 

Ma non è affatto questo il problema. Eventuali e presunte violazioni concordatarie potranno essere sindacate a legge approvata dalle autorità giudiziarie italiane, nonché per eventuali profili di incostituzionalità dalla Consulta. I giudizi non dovranno però essere sollevati direttamente da uno Stato straniero, qual è il Vaticano, ma da parti processuali. Sto parlando dei sacerdoti, dei docenti nelle scuole cattoliche, delle stesse associazioni cattoliche, tutti titolari di eventuali e specifici interessi a ricorrere. 

Ma perché, se possono farlo esponenti a vario titolo del mondo cattolico, non può farlo ufficialmente il Vaticano? 

Perché in tal caso si viene a produrre una impropria ingerenza di uno Stato sovrano su un'altro, e che si tratti del Vaticano, degli Stati Uniti o della Russia poco cambia.

La nota vaticana è precisa, dice che alcuni passaggi della legge Zan  ridurrebbero i diritti della Chiesa sulla  libertà di organizzazione e di pubblico esercizio di culto.

Sono diffusi i timori che il ddl Zan possa incidere sulla libertà di manifestazione del pensiero, non solo dei cattolici, ma di chiunque sia contrario a orientamenti sessuali che vanno al di là del rapporto tra uomo e donna. Personalmente ritengo infondati questi timori per una precisa ragione. 

E quale sarebbe? 

Chi critica sul punto la legge Zan confonde tra propaganda e istigazione. La propaganda permette di divulgare qualunque opinione, anche le più avverse sugli orientamenti sessuali, ed è salvaguardata esplicitamente dal ddl. L'istigazione invece comporta un pericolo concreto di atti violenti e discriminatori. 

Scusi, ma leggendo la nota vaticana non ha l'impressione che la Chiesa pretenda di essere pienamente libera di criticare comportamenti che vanno oltre le coppie tradizionali e tema invece di finire inquisita?

Ma guardi che questa battaglia è già stata vinta dai cattolici in Parlamento alla Camera quando il liberale Enrico Costa, facendosi paladino anche dei timori della Chiesa cattolica, ha fatto inserire un esplicito articolo, il numero 4, in cui viene fatta salva la libertà di critica, purché non determini il concreto pericolo di atti violenti o discriminatori. E d'altronde tanto la Consulta sin dal 1958, quanto la Cassazione dal 2015, hanno sempre distinto tra opinioni, giudizi e atti idonei a creare un effettivo pericolo. 

Il nostro governo come dovrebbe rispondere alla Santa sede? 

L'inopportunità politica di questo passaggio formale del Vaticano è che si inserisce impropriamente nel già fin troppo vivace dibattito in corso sulla legge Zan. Qualunque cosa facciano adesso il Parlamento, il governo e le forze politiche sarà comunque letto come una reazione a questo passo che mi spingerei a definire controproducente. 

Vorrà dire che stavolta la posta in palio è molto alta. 

Io non mi spiego, alla fine, perché mai i reati d'odio già previsti da anni dalla legge Mancino e che riguardano il razzismo, l'etnia, la nazione, nonché giustamente anche la religione, e che non sono mai stati posti in discussione tantomeno dalla Chiesa cattolica, oggi con la legge Zan non possano essere estesi anche ai motivi fondati sul sesso, sull'orientamento sessuale e sulle disabilità. 

 

Comunque, io credo, la gravità dell’ingerenza deriva soprattutto dal fatto che il Vaticano è intervenuto nel processo di formazione di una legge, come quella in questione, e non nei confronti di una legge definitivamente approvata dal Parlamento italiano.

Infatti, si sarebbe potuto attendere l’approvazione della legge e poi esponenti cattolici avrebbero potuto sollevare la questione di fronte alla Corte costituzionale, in considerazione del fatto che il Concordato risulta inserito nella Costituzione.

Resta da stabilire se la posizione espressa dal Vaticano sia stata resa nota precedentemente al Papa.

Sia in un caso che nell’altro il giudizio nei riguardi del Papa sarebbe fortemente negativo.

In un caso si dimostrerebbe la debolezza del Papa nei confronti di alcuni settori del Vaticano, nell’altro si dimostrerebbe che il Papa è molto meno innovatore di quanto generalmente si pensi, anche e soprattutto fra i laici.

lunedì 21 giugno 2021

Necessario l'obbligo della vaccinazione

 

E’ probabile che circa il 20% degli adulti rifiutino di vaccinarsi, secondo alcuni sondaggi effettuati. E’ del tutto evidente che la certezza di una tale percentuale si avrà quando nei mesi di settembre e di ottobre terminerà la prima fase della vaccinazione in Italia.

Se si verificherà davvero quella percentuale, se davvero circa 10 milioni di italiani rifiuteranno di vaccinarsi contro il Covid-19, già alcuni medici sostengono la necessità di prevedere l’obbligatorietà della vaccinazione almeno per gli adulti.

E a me tale posizione sembra più che giusta.

I medici Sergio Abrignani e Sergio Harari, in un articolo pubblicato da “Il Corriere della Sera” sono stati espliciti circa la necessità di imporre l’obbligo della vaccinazione.

Infatti se saranno 10 milioni gli italiani che rifiuteranno di vaccinarsi per mancanza di fiducia e che rischiano così di rendere inefficace la copertura della campagna vaccinale, per evitare che il virus possa continuare a replicarsi e a uccidere, sarebbe utile renderlo il farmaco obbligatorio per gli adulti.

Più nel dettaglio cosa sostengono i due medici citati?

“…Accettare di avere una fetta significativa della popolazione adulta non vaccinata per rifiuto all’immunizzazione, che le stime valutano attorno al 17% degli italiani ovvero circa 10 milioni, significa spalancare una porta al virus e offrirgli una nuova possibilità di continuare a replicarsi, infettare, uccidere, consentendo il mantenimento della circolazione virale…

Più saremo in grado di ridurre le sue possibilità di attecchire tra di noi, maggiori saranno le probabilità di circoscrivere i focolai epidemici…

Tra i vaccinati sono presenti anche soggetti fragili nei quali le vaccinazioni sono meno efficaci (trapiantati d’organo, immunodepressi, malati di tumore) e questi, se contagiati, possono sviluppare forme pericolose di Covid-19…

E’  bene cominciare a discutere della necessità di un obbligo vaccinale per tutta la popolazione adulta, almeno fino a quando non avremo vaccini disponibili anche per la fascia pediatrica.

Nessun atto medico è scevro da possibili effetti collaterali e non lo erano neanche le vaccinazioni contro la poliomielite e il vaiolo la cui obbligatorietà e estensiva diffusione ha permesso di liberare il mondo da queste gravissime malattie che appestavano da secoli le vite degli uomini.

E’probabile che necessiteremo di ulteriori richiami, o per garantire la durata nel tempo dell’immunità, o per proteggerci da nuove varianti virali: dobbiamo prepararci per tempo..

La macchina organizzativa sviluppata dal generale Figliuolo ha permesso di mettere in sicurezza gran parte del Paese, ma finita l’emergenza vaccinale non sarà finito tutto e gli attuali hub vaccinali dovranno essere riallocati alle loro normali destinazioni d’uso…

Per cui è bene pianificare da subito la logistica e la strutturazione di una organizzazione che possa nel prossimo futuro gestire i richiami di 50 milioni di italiani in pochi mesi o nuove necessità vaccinali, con flessibilità, tempestività e efficacia.

Né si può immaginare che questi compiti continuino a ricadere, come oggi, in gran parte sugli ospedali che devono invece riprendere le loro normali attività assistenziali a pieno regime…

Inoltre, è bene che il Paese si renda il più possibile svincolato da fattori non direttamente controllabili e per questo il governo sta cercando di implementare un piano nazionale di produzione dei vaccini sotto licenza…”.

E così concludono Abrignani e Harari: “Obbligatorietà vaccinale, pianificazione flessibile e tempestiva di una struttura in grado di garantire, al di fuori dell’emergenza, immunizzazioni rapide a tutta la popolazione, produzione indipendente sotto licenza dei vaccini, sono i cardini per una vera e duratura liberazione del Paese dalla pandemia”.

Sono completamente d’accordo e, limitandomi all’obbligatorietà vaccinale, mi sembra che essa debba essere assolutamente prevista, sempre che il 20% della popolazione italiana rifiuti di vaccinarsi, per vari motivi.

giovedì 17 giugno 2021

L'inflazione non deve fare paura

 

In vari Paesi, negli ultimi periodi, si è registrato un certo aumento dell’inflazione. I prezzi sono cresciuti non molto ma, in alcuni casi, in misura maggiore rispetto alle aspettative. E’ un fenomeno preoccupante? Per ora non sembrerebbe.

Innanzitutto, perché l’aumento del tasso di inflazione dovrebbe essere causa di preoccupazione?

Soprattutto perché potrebbe determinare un cambiamento nelle politiche monetarie adottate dalla banche centrali, che diventerebbero meno espansive, determinando anche un aumento dei tassi di interesse. Infatti quelle politiche, generalmente, sono legate all’andamento dell’inflazione.

Se ciò avvenisse la ripresa economica mondiale si attenuerebbe e il ritorno ai livelli del Pil ante pandemia potrebbe protrarsi nel tempo.

In realtà le banche centrali, a partire dalla Bce e dalla Fed americana, non sembrano preoccuparsi più di tanto.

Per la verità proprio ieri la Fed ha deciso che entro il 2023 potrebbe aumentare i tassi di interesse. Comunque entro il 2023.

Infatti le banche centrali considerano l’aumento, peraltro lieve, dell’inflazione del tutto temporaneo e quindi non tale da rendere necessaria una modifica sostanziale delle loro politiche monetarie.

E, a mio avviso, le banche centrali hanno pienamente ragione.

Per vari motivi.

Negli Stati Uniti non ci attendono aumenti salariali consistenti, poiché il potere contrattuale dei lavoratori dipendenti rimane debole, nonostante la riduzione del tasso di disoccupazione.

Poi, l’Europa è solo all’inizio della ripresa economica, il Giappone sta combattendo con un ristagno atavico e anche la Cina, che è uscita per prima dalla tragedia del Covid, quanto meno sul piano economico, sta facendo di tutto per non far “surriscaldare” l’economia.

Inoltre i consumatori americani non sono ancora intenzionati ad aumentare considerevolmente i consumi e la stessa situazione si sta verificando in Europa.

Peraltro anche gli stessi mercati finanziari sono convinti che non ci siano al momento rischi di un aumento considerevole e costante dell’inflazione.

lunedì 14 giugno 2021

In sei comuni del Viterbese ancora arsenico nell'acqua

 

Bruxelles si è rivolta alla Corte di giustizia Ue per deferire l’Italia a causa dell’eccessiva presenza di arsenico negli acquedotti pubblici. Tecnicamente, l’accusa è quella di non aver rispettato la direttiva sull’acqua potabile, e il caso da cui parte tutto, come riporta www.euractiv.it, è quello di sei comuni della provincia di Viterbo, in cui i livelli di arsenico nell’acqua potabile superano i valori stabiliti dalla direttiva stessa. Il superamento della soglia riguarda Bagnoregio, Civitella d’Agliano, Fabrica di Roma, Farnese, Ronciglione e Tuscania. Nelle zone di Bagnoregio e Fabrica di Roma, inoltre, sono state superate anche le soglie di sicurezza per il fluoruro.

Tali informazioni sono contenute in un articolo di Lorenzo Misuraca pubblicato su www.ilsalvagente.it.

Nel maggio 2014, ricorda Euractiv, la Commissione europea aveva inviato all’Italia una lettera di messa in mora, seguita da un parere motivato nel gennaio 2019 riguardante 16 zone di approvvigionamento idrico della provincia di Viterbo.

Ma da allora la situazione è stata regolarizzata solo in 10 di queste zone.

Bruxelles spiega ora: “Sebbene la Commissione accolga con favore sia l’adozione da parte dell’Italia di misure che vietano o limitano l’approvvigionamento idrico nelle zone interessate, sia l’invio ai consumatori di informazioni sulla situazione, ad oggi sei zone di approvvigionamento non sono ancora pienamente conformi alla direttiva specifica della Commissione. La Commissione deferisce quindi l’Italia alla Corte di giustizia”

Secondo la direttiva 98/83/CE sull’acqua potabile, gli Stati membri devono garantire che le acque destinate al consumo umano siano salubri e pulite.

Sull’arsenico, in particolare, il limite massimo stabilito è di 10 microgrammi per litro, mentre in alcune zone del viterbese i valori sono anche 5 volte più alte. 

Il contenuto di arsenico c’è da molti anni ma il problema si è fatto urgente dalla fine del 2003 quando è entrato in vigore il decreto legislativo n. 31 del 2001, che ha recepito una direttiva della Commissione europea e ha ridotto i parametri da 50 microgrammi per litro a 10.

Da quel momento le Regioni hanno dovuto fare ricorso a una serie di deroghe, che il ministero della Salute, di concerto con quello dell’Ambiente, solitamente ha concesso.

Solo nel Lazio, nel 2009, erano 92 i comuni “non a norma”, distribuiti tra Viterbo (62, una provincia infestata), Roma e Latina.

E nonostante ciò nel marzo 2010, un decreto del ministero della Salute concedeva deroghe sulla tolleranza per vanadio, clorito e trialometani, altre sostanze nocive, compreso ovviamente l’arsenico.

E mentre si attendevano gli interventi del “piano di rientro”, i Comuni dell’hinterland e la Asl inviavano messaggi chiari alla cittadinanza: niente dentifrici al fluoro per bambini, niente integratori e alimenti con elevato contenuto di fluoro e, soprattutto, niente acqua del rubinetto fino ai 14 anni.

Addirittura, sempre nel 2010,  “In base alle prescrizioni di Regione e ministero”, spiegava Fernando Maurizi, l’allora segretario dell’Ordine nazionale dei chimici e a capo di una società di consulenza nel settore ambientale e alimentare, “queste aziende non possono commercializzare fuori dal territorio alimenti prodotti con l’acqua ‘potabile’ della zona”.

Le imprese avevano dovuto di corsa dotarsi di un impianto proprio di potabilizzazione, ma questo, certo, non tranquillizza chi quell’acqua la beve tutti i giorni.

L’Agenzia internazionale di ricerca sul cancro lo classifica come cancerogeno di classe 1, ossia certo per l’uomo.

Quindi è auspicabile non venirci mai in contatto, tanto che secondo l’Organizzazione mondiale della sanità la quantità di arsenico nelle acque dovrebbe essere pari a zero.

Del resto le problematiche sanitarie determinate da questo metallo sono ben note e costante oggetto di studi e ricerche.

Ci sono evidenze scientifiche che pongono in correlazione diretta l’arsenico con il tumore al polmone, alla vescica, ai reni e alla cute.

Inoltre l’esposizione attraverso l’acqua è stata associata al cancro del fegato e del colon.

Ma non è tutto. Secondo alcuni studi questo metallo sarebbe un interferente endocrino, ossia mimerebbe gli ormoni con conseguenze sul sistema cardiovascolare, neurologico ed endocrinologico.

E’ inconcepibile ed inaccettabile che ancora oggi i sei comuni del Viterbese presentino valori dell’arsenico nell’acqua del tutto fuori norma.

Le Amministrazioni comunali, la Regione del Lazio, il Governo nazionale, non hanno fatto nulla per ridurre, o ancora meglio, eliminare l’arsenico nell’acqua in quei sei comuni?

mercoledì 9 giugno 2021

Umbria, una sanità per il Covid da sei meno meno

 

Non tutto ha funzionato bene in Umbria nella gestione dell’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Covid. Secondo uno studio di Luca Ferrucci e Cecilia Chirieleison, docenti del dipartimento di Economia e di Scienze politiche dell'Università di Perugia. l’Umbria ha appena raggiunto la sufficienza.

Le variabili prese in considerazione sono state: la capacità di fare tamponi, il numero delle rianimazioni per 100 abitanti, la percentuale di vaccini inoculati rispetto a quelli ricevuti e gli ultrasessantenni vaccinati.

Lo studio ha preso in esame tutte le regioni italiane.

La sanità umbra. che un tempo era un fiore all'occhiello, oggi è all'ottavo posto nella classifica, ma con una vistosa e importantissima caduta nelle vaccinazioni degli ultrasessantenni dove risulta al quattordicesimo posto.

Negativo il piazzamento per quanto riguarda il numero delle rianimazioni.

Buona invece la percentuale di vaccini fatti rispetto a quelli consegnati e la capacità di fare tamponi.

Per quanto riguarda l’intensità dei tamponi, di particolare rilievo appare il posizionamento dell’Umbria, prima regione che precede non solo il nord-ovest ma anche tutte le altre regioni del centro e del sud.

 Al contrario, regioni come la Calabria, Puglia e Basilicata sono apparse molto “distanti” dai valori conseguiti dalle regioni “migliori” sopra indicate. Sicuramente, la minore intensità di contagio che alcune regioni del Mezzogiorno hanno “registrato” appare più una conseguenza di fattori extra- sanitari che non per l’utilizzo intenso delle politiche di prevenzione tramite tamponi.

Per quanto concerne l’intensità dei posti in terapia intensiva nelle diverse regioni italiane ad inizio pandemia e al 3 giugno 2021, in circa 15 mesi, l’incremento è particolarmente visibile in tutte le regioni, addirittura a livello nazionale si passa da 8,5 (ogni 100.000 abitanti) a 15. 

Si tratta cioè di quasi un raddoppio della presenza regionale di questi posti in terapia intensiva.

Ma come si sono comportate le singole regioni?

E anche con questo indicatore si possono evidenziare numerose differenziazioni.

Vi sono regioni come la Valle d’Aosta che, partendo da sotto la media nazionale, hanno conseguito il primo posto nel ranking, posizionandosi addirittura con 24 posti ogni 100.000 abitanti. Molto buono appare anche il posizionamento del Veneto, seguito da Bolzano, e da una prima regione del Sud, ovvero la Sicilia.

Invece, questa dotazione resta relativamente “marginale” - anche rispetto alla media nazionale - in talune regioni del Mezzogiorno, come la Calabria, la Campania e il Molise, nonché una prima regione del Centro, ovvero l’Umbria.

Relativamente all’efficacia dei piani di vaccinazione, è indubbio che problemi organizzativi e logistici di carattere europeo e nazionale hanno impattato sulla possibilità concreta di gestire, con efficienza ed efficacia, da parte dei singoli Governi regionali, questi piani di vaccinazione.

Ma è altresì evidente che non tutti i Governi regionali hanno mostrato una capacità organizzativa di gestire la somministrazione, con rapidità, a favore delle persone aventi condizioni di salute particolarmente critiche.

E’ stato, ad esempio, dimostrato ampiamente il rischio esistenziale di persone aventi particolari patologie oppure aventi età anagrafiche particolarmente rilevanti.

Per questa ragione, in questo lavoro si è deciso di selezionare due soli indicatori per un confronto inter-regionale, ossia l’entità (in percentuale) dei vaccini somministrati rispetto a quelli ricevuti e la copertura vaccinale completa delle persone ultra-sessantenni.

L’analisi dei valori del primo indicatore mostra il posizionamento di leader nazionale da parte della Lombardia, seguita però da due regioni del centro (Umbria e Marche) e da una del Sud (Abruzzo).

Al contrario, territori come la Sardegna, la Valle d’Aosta e Trento sono nella parte conclusiva del ranking nazionale.

In altri termini, “tradizionali” schemi possibili di interpretazione e valutazione delle realtà regionali - ad esempio, fondate sulla tripartizione Nord-Centro- Sud, oppure sulla dicotomia Regioni speciali versus quelle ordinarie o, infine, regioni grandi versus quelle piccole - appaiono non particolarmente utili.

La capacità di somministrare alte percentuali di vaccini consegnati mostra una differenziazione molto forte, andando dal 93.3% della Lombardia sino all’84.8% della Sardegna.

L’analisi dei valori del secondo indicatore relativo alla “copertura” vaccinale completa per gli ultra-sessantenni dimostra che le regioni migliori sono tutte del nord, a partire dalla Lombardia, Emilia-Romagna, Valle d’Aosta, Veneto e Liguria.

Questo ranking nazionale termina con il posizionamento di regioni come la Sardegna, Trento, il Friuli Venezia Giulia e la Campania. Sempre nelle retrovie troviamo anche Bolzano, l’Umbria e la Sicilia.

Occorre rilevare che nello studio  gli autori si sono limitati a considerare unicamente gli ultra-sessantenni, quale target anagraficamente molto rilevante ai fini del contenimento, grazie alla vaccinazione completa (e non alla somministrazione unicamente della prima dose per taluni vaccini), del rischio di contagio e conseguente possibile decesso.

E’ stata infine compilata una classifica finale, utilizzando i quattro indicatori sintetici già citati.

Considerando il punteggio massimo teorico pari a 100, le migliori Regioni sono risultate l’Emilia Romagna e il Veneto, seguite dalla Lombardia.

Buono appare il posizionamento dell’Abruzzo, prima regione del Sud, mentre il ranking nazionale viene “chiuso” da quattro regioni del Sud, rispettivamente il Molise, la Campania, la Calabria e la Sardegna.

L’Umbria è all’ottavo posto, lievemente superiore alle Marche e meglio della Toscana e del Lazio, regioni con le quali sovente avviene un confronto in termini di indicatori socio-economici.

In linea di massima, l’Umbria appare “virtuosa” per la capacità dimostrata di perseguire una politica dei tamponi e sui vaccini somministrati rispetto a quelli consegnati.

Invece, sul piano dei posti in terapia intensiva e della vaccinazione agli ultra-sessantenni, il suo posizionamento è insoddisfacente.

Come dire, una regione con chiaro- scuri molto accentuati, mentre altre regioni hanno saputo fare meglio (anche se non eccezionali) su tutti e quattro gli indicatori.

giovedì 3 giugno 2021

Banca d'Italia, poca attenzione alle considerazioni del Governatore

 

Il 31 maggio scorso, come ogni anno, il Governatore della Banca d’Italia, attualmente Ignazio Visco, ha pronunciato le sue “Considerazioni”, che rappresentano un’importante occasione per fare il punto sulla situazione economica del nostro Paese e sulle sue prospettive.

Da alcuni anni, però, le considerazioni del Governatore della Banca d’Italia suscitano, nei media, un’attenzione notevolmente inferiore a quella che si verificava in passato.

Il motivo principale, a mio avviso, risiede nel fatto che, anno dopo anno, è aumentata l’importanza della Banca centrale europea e il peso dei suoi presidenti, soprattutto da quando lo diventò Mario Draghi.

E, oggettivamente, le competenze di tutte le banche centrali dell’Unione europea si sono ridotte considerevolmente e i loro presidenti hanno destato interesse soprattutto per le loro posizioni manifestate in seno agli organismi della Bce.

Aggiungo che Ignazio Visco non ha le capacità di leadership che alcuni suoi predecessori hanno avuto, da Ciampi allo stesso Draghi, i quali non a caso hanno svolto o svolgono ruoli di notevole rilievo negli organismi di governo, nella presidenza del Consiglio e nella presidenza della Repubblica.

Comunque le considerazioni di Visco pronunciate il 31 maggio sono state interessanti, sebbene non fortemente innovative.

Visco è sembrato, soprattutto, svolgere un’azione di supporto a quella che sta portando avanti Draghi come presidente del Consiglio.

Le valutazioni di maggiore rilievo esposte da Visco hanno riguardato la previsione di un’accelerazione dell’attività economica, nella seconda metà dell’anno corrente, e la consapevolezza che il Recovery Plan rappresenterà una “formidabile” sfida per il rilancio dell’Italia, naturalmente se ben attuato e calibrato con una attenta “complementarietà” tra intervento statale e mercato.

Il Recovery Plan, secondo Visco, se efficacemente eseguito, nella realizzazione degli investimenti come nell’attuazione delle riforme, potrebbe elevare la crescita potenziale annua dell’economia italiana di poco meno di un punto percentuale nella media del prossimo decennio, consentendo di tornare a tassi di incremento del prodotto che la nostra economia non consegue da anni.