Nel
2015 il Pil (prodotto interno lordo) in Italia è cresciuto anche in seguito ad
un lieve aumento dell’economia illegale. Lo certifica un rapporto dell’Istat.
Ed è più che probabile che la stessa situazione si sia verificata negli anni
successivi. E’ certo comunque che l’economia illegale svolga un ruolo piuttosto
importante, nell’ambito del sistema economico italiano.
Così scrive Eleonora Montani:
“L’11 ottobre
è stato reso noto il report dell’Istat sui dati dell’‘economia non osservata’
nei conti nazionali negli anni 2012-2015. Il report, che stima il prodotto
dell’economia sommersa e delle attività illegali, enfatizza il ‘lieve aumento
dell’economia illegale nel 2015’.
Una buona notizia: il Pil sale e con lui il
benessere di tutti noi. Ma come la mettiamo con l’indubbio disvalore delle
attività che contribuiscono al segno positivo nel segmento di attività
illegale?...”
“Sono tre le attività illecite che contribuiscono
alla formazione del prodotto interno lordo: il traffico di sostanze
stupefacenti, i servizi della prostituzione e il contrabbando di tabacco.
Nel corso degli anni, nonostante un calo
dell’economia non osservata attribuibile a una diminuzione della cifra del
sommerso, la stima delle attività illegali si è mantenuta costante quando non è
aumentata.
In base all’ultimo dato reso noto dall’Istat, si
stima che le attività illegali abbiano generato un valore aggiunto pari a 15,8
miliardi di euro, 0,2 miliardi in più rispetto all’anno precedente…”.
“Al di là di ogni considerazione di ordine economico sulla necessità di
utilizzare un sistema omogeneo tra i Paesi dell’Unione europea e di comprendere
nelle stime dei conti nazionali tutte le attività che producono reddito, appare
evidente la profonda contraddizione insita in questa scelta.
Se da un punto di vista economico si può ritenere neutro lo status
giuridico del reddito, in uno stato di diritto la criminalità dovrebbe essere sempre
combattuta.
Tanto più in Italia, dove la stretta relazione tra mafia ed economia non è
certo una novità.
Già Giovanni Falcone sosteneva che per colpire la mafia occorre colpire i
suoi interessi economici e ne metteva in evidenza la centralità per le
organizzazioni criminali.
Le indagini più recenti hanno poi rivelato una intensa crescita dei legami
tra economia lecita ed economia illecita. Di più, le ricostruzioni delle
attività della realtà criminale hanno messo in luce come il traffico di
sostanze stupefacenti possa essere considerata la principale fonte di reddito
delle organizzazioni criminali.
Anche sotto questo punto di vista, appare allora lecito interrogarsi
sull’opportunità della scelta di ricomprendere nel Pil voci riconducibili alle
attività delle organizzazioni mafiose, come se lo stato riconoscesse e si
avvalesse dei benefici prodotti dall’antistato”.
Gli interrogativi che si pone Eleonora Montani sono legittimi.
Io credo però che riconoscere, anche statisticamente, che l’economia criminale,
le mafie, occupino una posizione di tutto rilievo nell’ambito del sistema
economico italiano non si possa evitare, anche perché fornire dati il più
possibile attendibili sull’importanza dal punto di vista economico delle
attività illegali può rappresentare un’ulteriore dimostrazione della necessità
di contrastarle.
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